SORANZO, Giovanni
SORANZO, Giovanni. – Nacque tra gli anni Sessanta e gli anni Settanta del Cinquecento a Venezia, dal matrimonio dell’avvocato Iacopo Soranzo con Cipriana Badoer, nobildonna veneziana, sposa in seconde nozze di Giovanni Iacopo Balduzzi e madre di altri tre figli: Francesco, Giuseppe e Giovanni Tommaso, tutti ricordati da Soranzo nella raccolta delle sue Rime.
Dottore in filosofia e in utroque iure, elesse la poesia come sua principale occupazione, e la prima opera che diede alle stampe fu la favola pastorale Aminta (1594).
Dalla fine del Cinquecento al 1605 si divise tra Genova e Firenze, come dimostrano molti suoi contatti con personaggi di spicco di queste due città, tra cui Gabriello Chiabrera, Ottavio Rinuccini, Andrea Rovetti, Giulio Salineri, ma soprattutto Giovan Battista Pinelli e Piergirolamo Gentile Ricci. A Firenze entrò a far parte, con il nome di Appagato, dell’Accademia degli Spensierati, al cui principe, Francesco Vinta, sono dedicate le Rime fiorentine del 1604, stesso anno in cui uscì il poemetto sacro Adamo, accompagnato da sedici canzoni. Posto tra le fonti dell’Adamo di Giovan Battista Andreini, il testo ebbe anche una seconda edizione (1606), sprovvista però dei testi delle sedici canzoni e dotata di due interessanti incisioni raffiguranti la Creazione di Adamo ed Eva e la Cacciata dall’Eden.
In questi stessi anni, Soranzo strinse amicizia con professionisti del teatro, come appunto gli Andreini, e con il pittore Giovanni Battista Paggi, il quale infatti soggiornò a Firenze dal 1581 al 1599 e successivamente introdusse il poeta nelle grazie di Giovan Carlo Doria. Tra le sedici canzoni allegate all’edizione genovese dell’Adamo compare anche Gli Innocenti, che fornisce un fondamentale contributo alla datazione dell’opera di Paggi, dedicata allo stesso soggetto e oggi perduta.
Giunto a Milano nel 1606, grazie all’intercessione dell’accademico Inquieto Orazio Seroni, sfruttando i festeggiamenti per la nascita del principe di Spagna Filippo Domenico Vittorio, Soranzo si segnalò all’attenzione del conte di Sale Francesco d’Adda (1571-1644), nobile eccentrico in cerca di un cantore delle proprie gesta: gli dedicò l’egloga Allegrezze di Milano (1606) e il poemetto in ottava rima I giuochi di Marte, testi riproposti nella raccolta complessiva delle Rime, edita verso la fine dello stesso anno e divisa in quattro parti.
Nella dedicatoria a Carlo Emanuele I di Savoia premessa al volume, Soranzo si presenta come un uomo dotato di una vasta conoscenza di Paesi stranieri; dalla lettera a Francesco d’Adda, premessa alla prima edizione delle Allegrezze, apprendiamo inoltre che aveva esercitato la professione di soldato, combattendo nelle campagne militari in Savoia e nelle Fiandre a favore del sovrano spagnolo.
La prima parte delle Rime, dedicata a Carlo Emanuele I come la seconda, è composta da sonetti ad amici e a personaggi influenti (Benedetto Pamoleo, Gentile Ricci, Pietro Capponi, Tommaso Stigliani, Federico Borromeo). La seconda parte è costituita in prevalenza da madrigali, cui si aggiungono tre sestine, tre canzoni e i diciannove Scherzi di ispirazione chiabreresca già compresi nelle Rime fiorentine. La terza parte, dedicata a Seroni, raccoglie le canzoni di argomento encomiastico per Carlo Emanuele di Savoia, il contestabile Juan Fernández de Velasco, il cardinale Borromeo, l’ambasciatore veneziano Antonio Paoluzzi ed Emanuele Filiberto Roero conte di Rovigliasco; seguite dalle canzoni morali, in gran parte dedicate a canonici. La quarta parte contiene le Rime sacre, tra cui spiccano i versi per Maria Vergine e la ristampa della canzone Gli Innocenti.
Dalla raccolta emerge anche il nome della vedova che con il poeta intrattenne una difficile relazione: Costanza Acciari.
Entro il 1609 Soranzo portò a compimento Il Battista, sacra rappresentazione in prosa, di cui curò la messa in scena per un convento femminile, la pastorale Il ballo del fiore e il trattato formativo-cavalleresco in veste dialogica, anch’esso dedicato all’Adda, L’idea del cavaliero. In appendice al Battista, lo stampatore milanese Pietro Martire Locarni pubblicò venti sonetti descrittivi dei quadroni di san Carlo, dedicati al cardinale Borromeo, con il quale Soranzo era entrato in corrispondenza tramite Antonio Giggeo.
L’ambientazione dell’Idea del cavaliero a Brescia testimonia il passaggio di Soranzo anche per questa città, dove strinse amicizia con i nobili Francesco Luzzago e Girolamo Martinengo. Nel 1610 videro la luce i madrigali Degli amori di Uranio e dello sdegno di Virbio, indirizzati al cavaliere lodigiano Lancellotto Corradi. Gli stessi madrigali vennero riproposti interamente in una seconda stampa del 1612, della quale nella Biblioteca nazionale di Torino si conserva un esemplare recante note autografe, dedicata agli Uniti di Bareggio. Dalla prefatoria, indirizzata agli stessi accademici, apprendiamo che l’autore era in cerca di nuovi sostegni e di nuove frequentazioni, ovviamente offrendo in cambio gli encomi su cui si fondava la propria carriera di letterato.
Il poema Armidoro giunse alle stampe nel 1611: diviso in quarantadue canti per un totale di circa 36.500 versi in ottava rima, ha per dedicatario e per protagonista lo stesso conte Francesco d’Adda. Ambientato in epoca contemporanea, rappresenta un curioso esempio di continuazione dell’Orlando furioso, contaminato da diffuse citazioni della Gerusalemme tassiana: l’elemento eroico, sempre strettamente connesso al motivo encomiastico, permette di delineare una complessa rete di rapporti tra gli artisti, i letterati, i teatranti, i musici e i nobili più influenti del periodo.
Dalle tre lettere a Soranzo contenute nell’epistolario latino di Aquilino Coppini apprendiamo con certezza che il poeta lasciò il capoluogo lombardo alla fine del 1612, per recarsi a Roma. La successiva investitura religiosa, registrata anche da Emmanuele Antonio Cicogna, è attestata dalla pubblicazione del De mysterijs missae... (1617), opera didattica rivolta ai giovani sacerdoti, nel cui frontespizio l’autore è definito appunto «venetus presbyterus ac philosophus». Nella città capitolina entrò a far parte dell’Accademia degli Umoristi e strinse rapporti con i cardinali Roberto Ubaldini, Ludovico e Alessandro Ludovisi: in occasione della salita al soglio pontificio di quest’ultimo compose l’orazione latina De laudibus beatissimi papae Gregorii XV (1621), mentre a Ubaldini dedicò un carme pubblicato nel 1623. L’ultima opera e l’ultima traccia che ci è giunta di Soranzo è il ragionamento Dell’amore della patria, stampato a Città di Castello nel 1630.
Si ignora la data di morte.
Opere. Aminta, Vicenza 1594; Dell’Adamo, i duo primi libri con sedici canzoni per diversi, Genova 1604 (Bergamo 1606); Rime fiorentine, Firenze 1604; Allegrezze di Milano, Milano 1606; Delle rime la prima [-quarta] parte, Milano 1606; I giuochi di Marte, Milano 1606; Il ballo del fiore. Favola pastorale, Venezia 1609; Il Battista, overo narrazione della cagione per la quale fu fatto morire il glorioso San Giovanni Battista, Milano 1609; Galeria di sonetti in lode di S. Carlo Borromeo, Milano, Biblioteca Ambrosiana, ms N 220 sup. (s. d., ma 1609); L’idea del cavaliero, in due parti divisa, Milano 1609; Degli amori di Uranio e dello sdegno di Virbio, madrigali, Milano 1610; L’Armidoro, Milano 1611; Madriali di Giovanni Soranzo, Milano 1612; De mysterijs missae..., Venezia 1617; De laudibus beatissimi papae Gregorii XV, Roma 1621; In obitum Romuli Paradisi... Oratio, Roma 1623; Dell’amore della patria, e che si dee morire per difenderla dai nemici ferri, Città di Castello 1630.
Fonti e Bibl.: E.A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, III, Venezia 1830, pp. 405 s.; M. Maylender, Storia delle accademie d’Italia, Bologna 1930; F. Vazzoler, Letteratura e ideologia aristocratica a Genova nel primo Seicento, in Letteratura ligure. La Repubblica aristocratica (1528-1797), I, Genova 1992, pp. 217-316; V. Farina, La grande Strage degli Innocenti nel palazzo del carrugio del Gelsomino. Tra versi ed ottave: Giovan Carlo Doria e Giovan Battista Paggi secondo G. S., in Giovan Carlo Doria, promotore delle arti a Genova nel primo Seicento, Firenze 2002, pp. 34-40 (in appendice si trovano edite tre canzoni di Giovanni Soranzo: Dori, La pittura e Gli Innocenti, pp. 85-91); G. Chiabrera, Lettere (1585-1638), a cura di S. Morando, Firenze 2004; F. Fiaschini, L’«incessabil agitazione». Giovan Battista Andreini tra professione teatrale, cultura letteraria e religione, Pisa 2007; R. Antonioli, Il Parnaso dell’‘Armidoro’. G. S. e il suo poema per i contemporanei (1611), in Studi secenteschi, LI (2010), pp. 107-150; R. Carpani, Educazione, edificazione, intrattenimento: tracce di teatro nei monasteri milanesi in età spagnola, in Barocco Padano 7, Atti del Convegno internazionale..., Milano... 2009, a cura di A. Colzani - A. Luppi - M. Padoan, Como 2012, pp. 703-742. Sui rapporti di Soranzo con il mondo dell’arte intervengono M. Tanzi, La Zenobia di don Álvaro, Milano 2015 e P. Vanoli, Il ‘Libro di lettere’ di Girolamo Borsieri: arte antica e moderna nella Lombardia di primo Seicento, Milano 2015; R. Antonioli, Il mito di Armidoro. G. S. e il suo poema milanese (1611), Bologna 2017; Ead., Sulle orme di Orlando: il firmamento nell’orologio, in La galleria di palazzo in età barocca dall’Europa al Regno di Napoli, a cura di Vincenzo Cazzato, Lecce 2018, pp. 20-25.