SORANZO, Giovanni
– Figlio di Antonio procuratore di S. Marco, nacque a Venezia attorno al 1245, probabilmente nella parrocchia di S. Angelo nel sestiere di San Marco, dove si trovava il palazzo del ramo della famiglia al quale egli apparteneva.
La data si desume dall’età (67 anni) che una fonte cronachistica (G.G. Caroldo, Istorii Veneţiene, II, De la alegerea dogelui Marino Morosini la moartea dogelui Bartolomeo Gradenigo (1249-1342), a cura di Ş.V. Marin, 2009, p. 131) attribuisce a Soranzo al momento della elezione a doge. Risulta pertanto da rigettare l’ipotesi, formulata senza elementi di prova da parte di genealogisti di epoca moderna, secondo la quale sarebbe invece nato nell’isola di Burano nel 1240.
La carriera pubblica di Soranzo anteriormente all’elezione al dogado è almeno in parte ricostruibile sulla base di testimonianze documentarie e narrative, pur non potendosi escludere del tutto la possibilità di qualche caso di omonimia. Egli fu più volte eletto fra i componenti del Maggior Consiglio negli anni 1264, 1266-1268, 1270, 1275, 1281, 1295. Fu inoltre podestà di Parenzo nel 1284, e durante questo mandato incorse nella scomunica comminatagli dal vescovo locale antiveneziano e favorevole al patriarcato di Aquileia; fu membro del Minor Consiglio e quindi consigliere ducale nel 1290 subito dopo l’elezione a doge di Pietro Gradenigo; e ancora podestà di Chioggia nel 1294, podestà di Isola d’Istria sul finire del XIII secolo (Venetiarum historia vulgo Petro Iustiniano Iustiniani filio adiudicata, a cura di R. Cessi - F. Bennato, 1964 p. 300), podestà di Pola nel 1299; ambasciatore (con Andrea Sanudo) presso Federico III re di Sicilia nel 1300; conte di Zara nel biennio 1301-1303; ambasciatore in Egitto nel 1304; conte di Zara per la seconda volta negli anni 1305-1307.
Oltre che per questi incarichi, Soranzo è ricordato anche per una brillante impresa militare condotta durante la sfortunata guerra contro Genova negli ultimi anni del XIII secolo. Nella primavera del 1296 salpò da Venezia al comando di una squadra navale in direzione di Costantinopoli. Giunto nella capitale dell’Impero bizantino, entrò nel Mar Nero, dove catturò una galea genovese posta a guardia del Bosforo; poi proseguì unendosi ad altre unità veneziane e raggiunse la Crimea, dove attaccò Caffa (principale colonia ligure in quel mare). Non espugnò la città, ma depredò e distrusse alcune galee e qualche nave del nemico. Dopo di che, sopraggiunto l’autunno, sospese le operazioni, entrò nell’Egeo e attraccò le sue unità nell’isola di Negroponte dove cedette il comando delle operazioni ad Andrea Dandolo, figlio dell’ex doge Giovanni, rientrando a Venezia dove venne accolto come un eroe.
Un decennio più tardi Soranzo fu poi uno dei protagonisti del conflitto che oppose Venezia alla Sede pontificia per il dominio su Ferrara. Dapprima fu inviato in qualità di ambasciatore presso il marchese Azzo VIII d’Este per offrirgli l’appoggio del doge Gradenigo contro i suoi nemici (1307); poi, scomparso l’estense all’inizio dell’anno successivo e occupata la città dai veneziani, fu designato dal doge come podestà di Ferrara dal novembre del 1308 al marzo del 1309; infine, scagliati l’interdetto e la scomunica su Venezia il 27 marzo 1309 da papa Clemente V e riconquistata Ferrara dalle truppe pontificie, assunse il comando di una flottiglia, con l’incarico di riprendere il controllo del basso corso del Po (ma l’esito fu negativo e Soranzo subì pesanti perdite).
Richiamato nello stesso anno a Venezia, malgrado l’insuccesso fu nominato procuratore di S. Marco, una carica prestigiosa che era già stata ricoperta dal padre e che spesso era il trampolino di lancio per l’elezione ducale; Soranzo era dunque uno dei più probabili successori del doge in carica. L’anno successivo si acuì nel patriziato la profonda spaccatura tra i favorevoli alla guerra e i contrari (che lamentavano le pesanti conseguenze sui traffici e i commerci derivanti dall’interdetto). I contrasti sfociarono (giugno del 1310) in una congiura che aveva lo scopo di rovesciare il doge e il governo, promossa da Marco Querini (imparentato con Soranzo, poiché una figlia di quest’ultimo, di nome Soranza, aveva sposato Nicolò Querini) e Baiamonte Tiepolo. Soranzo ebbe un ruolo nella vicenda, perché dopo il fallimento della congiura e la morte di Querini propiziò con un intervento di mediazione la resa di Tiepolo.
In ogni caso i problemi di politica estera e interna rimasero e né il doge Gradenigo nel suo ultimo anno di governo, durante il quale la città di Zara si ribellò nuovamente al dominio veneziano, né il suo successore, Marino Zorzi, che governò per soli undici mesi, furono in grado di risolverli. Scomparso Zorzi il 3 luglio 1312, apparve tuttavia evidente come fosse opportuno che a succedergli fosse qualcuno ben accetto sia alle forze ghibelline, che avevano appoggiato per oltre vent’anni Gradenigo, che a quelle ostili alla sua politica, in grado quindi di far scendere la tensione interna seguita alla congiura Querini-Tiepolo e, nel contempo, di riappacificarsi con il papa. Il 13 luglio 1312 Soranzo, che possedeva appunto queste caratteristiche, fu pertanto eletto doge.
La sua prima preoccupazione fu di porre fine in un modo o nell’altro ai due conflitti esterni, con il papa e con Zara. Fu Francesco Dandolo, suo futuro successore, a condurre ad Avignone lunghe e difficili trattative: il 26 gennaio 1313, Clemente V scrisse a Soranzo annunciando che Venezia era stata nuovamente accolta nella Chiesa e il 17 febbraio con la bolla Decet sedis sancì la fine della contesa, seppure a condizioni alquanto gravose per i veneziani. Quanto a Zara, invece, dopo il fallimento del tentativo del suo predecessore (1312), Soranzo la sottopose a uno stretto assedio, sino a che cedette; i rappresentanti della città dalmata sottoscrissero nel settembre del 1313 un trattato di sottomissione a Venezia.
Sul fronte interno, il nuovo doge non poté invece adottare criteri di clemenza, ma dovette rispettare le sentenze emesse contro i superstiti della congiura Querini-Tiepolo e i loro familiari (banditi da Venezia e in alcuni casi perseguiti e uccisi nei loro luoghi di esilio).
Anche sua figlia Soranza, bandita con il marito e rientrata senza autorizzazione in patria confidando nel sostegno del padre, fu soggetta a misure restrittive: il Consiglio dei dieci, creato all’indomani della fallita congiura per occuparsi dei reati contro lo Stato, decise che essa sarebbe potuta rimanere a Venezia ma confinata nel monastero di S. Maria delle Vergini, senza poterne uscire se non in casi particolari.
Dopo quasi un ventennio di guerre e di perdite umane e materiali, il governo di Soranzo si caratterizzò lungo tutta la sua durata per una costante ricerca della pace, risolvendo nei limiti del possibile le controversie internazionali con il ricorso alla diplomazia invece che alla forza. Non per nulla venne respinta l’ipotesi di una nuova crociata per la liberazione dei Luoghi Santi propagandata instancabilmente da Marino Sanudo nel suo Liber secretorum fidelium Crucis, composto fra il 1321 e il 1323, che pure aveva ricevuto accoglienze positive in altre sedi. Nell’ambito marittimo, si assistette invece a uno sviluppo dei traffici, occasionalmente ostacolati da alcuni episodi di pirateria da parte di turchi e genovesi nei mari orientali, ma favoriti da accordi siglati con l’Impero bizantino e quello di Trebisonda, i Regni di Armenia, Cipro, Sicilia e Tunisi, mentre fu sviluppata la rotta atlantica che portava fino alle Fiandre e all’Inghilterra. Nel settore terrestre Venezia mantenne un atteggiamento di non ingerenza nelle vicende riguardanti l’entroterra veneto, caratterizzate dall’aggressiva politica espansionistica di Cangrande Della Scala, con cui furono mantenuti buoni rapporti mediante un accordo siglato nel 1317. Furono inoltre stipulati per la prima volta o rinnovati trattati politici e commerciali che garantivano i transiti nella pianura Padana, con Bologna, Brescia, Como, Milano e altre località minori. Si procedette anche alla completa sottomissione della Dalmazia durante il terzo decennio del XIV secolo, con la dedizione di alcuni dei suoi centri maggiori, tra cui Sebenico, Spalato e Nona.
Il doge morì il 31 dicembre 1328 all’età di 83 anni e fu sepolto all’interno della chiesa di S. Marco, dove la sua tomba ancora si conserva.
Durante i suoi ultimi giorni di vita fu repressa con fermezza una nuova congiura promossa questa volta da alcuni esponenti della famiglia Barozzi che, sospettati di collegamenti esterni e rei confessi, furono giustiziati.
Dal testamento, fatto redigere l’8 agosto 1321, risulta che avesse sposato Francesca da Molin, dalla quale – o forse da una prima moglie di cui non si conosce il nome – ebbe tre figli maschi: Marino, sposato con una Caterina di cui si ignora il casato, Nicolò, premorto al padre e sepolto nella chiesa dei Ss. Giovanni e Paolo, Antonio (omonimo del nonno) detto Belello, nonché tre figlie femmine: la già citata Soranza, Elena, monaca a S. Giovanni Evangelista di Torcello, e Fontana, suora nel convento francescano di S. Maria.
Soranzo nutrì anche interessi culturali e fu in contatto con alcuni intellettuali dell’epoca, come il cancelliere Tanto responsabile per oltre quarant’anni della Cancelleria ducale nonché autore di poesie in latino, e il preumanista padovano Albertino Mussato, con cui ebbe uno scambio epistolare a proposito della nascita di tre leoncini da una coppia di leoni donata al doge da Federico III d’Aragona, evento ritenuto talmente curioso e insolito da essere considerato meritevole di venire registrato nel primo dei Libri pactorum, il più antico dei libri iurium del Comune di Venezia. Il doge conobbe inoltre personalmente Dante Alighieri in occasione di un’ambasceria condotta dal fiorentino a Venezia nel corso del 1321, poco prima della morte del poeta, per conto di Guido Novello da Polenta signore di Ravenna.
Un’immagine trecentesca di Giovanni Soranzo si poteva osservare fino ai primi decenni del secolo scorso in un registro contenente promissioni di dogi del XIII e XIV secolo conservato presso l’Archivio di Stato di Venezia. Il foglio che riportava l’immagine è stato però trafugato da tempo.
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