SANSEVERINO, Giovanni
– Non è nota la data di nascita di questo miles e doctor in utroque napoletano, la cui attività è documentata con certezza tra gli anni Trenta e Quaranta del Quattrocento.
Sebbene, come sembrano suggerire il nome e, soprattutto, le alte funzioni burocratiche ricoperte, sia probabile la sua appartenenza ai Sanseverino o a un loro ramo collaterale, non è stato possibile inserirlo con sicurezza entro gli schemi genealogici della potente famiglia baronale. Analogamente, poco si conosce anche della sua formazione; dubbia, sebbene plausibile, è infatti la sua identificazione con un tale Ioannes comes de Sancto Severino presente al conferimento dei gradi accademici in teologia nell’università di Padova il 10 agosto 1429. A Napoli risiedeva nel seggio di Capuana: è infatti testimoniato affittuario di due cugini Tomacelli per una casa in vico Santo Stefano (1447).
Giovanni Sanseverino fu – almeno nell’ultima fase del conflitto tra Alfonso d’Aragona e Renato di Lorena per il trono napoletano – un fedele sostenitore del Magnanimo; costui, poco prima della conquista e dell’ingresso in Napoli (1442-43), lo ricompensò con la reggenza della Vicaria e la luogotenenza vitalizia del Maestro Giustiziere per alcuni servizi (non meglio precisabili) prestati a lui e al fratello Pietro (morto nel 1438) durante la guerra. Già prima del 1440 ebbe l’ufficio di avvocato fiscale, che poi abbandonò con la nomina a reggente; il 1° aprile 1440 è infatti documentato creditore del proprio salario, che fu compensato con la donazione di una vigna – nei pressi di Gaeta – confiscata a un partigiano di Renato.
Nel parlamento del 1443 furono unificate in un unico tribunale – la Gran Corte della Vicaria – le due antiche curie con giurisdizione suprema della Gran Corte del Maestro Giustiziere e della Corte della Vicaria, che nell’ultima fase della dominazione angioina ebbero competenze affini, seppur non identiche. Al vertice dell’istituzione fu posto il reggente seu luogotenente del Maestro Giustiziere, vale a dire Sanseverino, i cui emolumenti dovevano essere percepiti sui proventi della Vicaria e che aveva alle sue dipendenze quattro giudici, quattro mastri d’atti, un notaio per le cause fiscali, dodici subactarii, un maestro di camera o erario e un conservatore del sigillo.
Nel 1448, ad esempio, tra il personale della Gran Corte v’erano i giudici Clemente Mundo de Sonnino, Francesco de Campis, Antonio di Giacomo di Traetto e Francesco de Ponzettis di Firenze e i mastri d’atti Valerio Paulillo di Napoli, Batio Coda di Pisa e Annecchino Longobardo di Castellammare di Stabia.
Nell’ottobre 1448 Sanseverino, che fin dal 1443 non aveva mai ricevuto il proprio stipendio, intentò causa contro il Maestro Giustiziere, Raimondo Orsini principe di Salerno, salvo poi cedere il suo credito al mercante Giovanni Miroballo, che riuscì in seguito a ottenere quanto dovuto. Il 22 aprile 1443 il Magnanimo confermò a Sanseverino la reggenza della Gran Corte a vita, nonostante il principe di Salerno, per recuperare almeno il controllo formale sulla nomina del suo luogotenente, avesse tentato di limitare il periodo di esercizio dell’ufficio. Nel gennaio del 1448 Alfonso d’Aragona rinnovò il mandato a Sanseverino ad beneplacitum per estendere ulteriormente il proprio controllo sull’ufficio del reggente, secondo una pratica ampiamente attestata presso la corte napoletana (Ryder, 1976, p. 149), perché il diritto di nomina del Mastro Giustiziere fosse soggetto alla revoca da parte del monarca.
Numerose sono le tracce degli interventi di Giovanni Sanseverino in qualità di reggente della Vicaria: ad esempio, nel 1444 ebbe ordine da Alfonso di procedere contro Giovanni de Gusmann, accusato di aver rapito una giovane di Teano; il 27 ottobre 1445 agì, su mandato regio, contro Giovanni de Campanea, detto Centopaghe per una casa che costui possedeva a Napoli; il 21 settembre 1447 intervenne nella disputa patrimoniale (conclusasi solo nel dicembre 1450) sull’eredità di Caterina Sanseverino tra Diana, moglie di Guglielmo Raimondo Moncada e contessa di Adernò, e il cugino Roberto, conte di Marsico.
Dalla cosiddetta relazione di Borso d’Este (1444), un insieme di pregevoli osservazioni sulla città di Napoli e sullo stato del Regno, si ricava anche che Giovanni Sanseverino faceva parte, in qualità di giurista e reggente della Vicaria, del Sacro Regio Consiglio, supremo tribunale d’appello cui potevano rivolgersi tutti i sudditi del sovrano aragonese.
Questo consiglio, distinto e autonomo da quello del re (da cui progressivamente si enucleò), era presieduto da un alto dignitario ecclesiastico ed era costituito, nel 1444, dai sette Grandi Ufficiali del Regno, da alcuni nobili ed ecclesiastici – sia regnicoli sia iberici –, da due alti funzionari dotati di competenze giuridiche e contabili (il reggente della Gran Corte e uno tra i presidenti della Regia Camera della Sommaria) e da quattro dottori in legge; tuttavia, vi prendevano quasi sempre parte anche i principali segretari regi (Ryder, 1976, p. 96).
Nel quinto decennio del XV secolo Sanseverino fu continuativamente anche uno dei presidenti della Regia Camera della Sommaria, istituzione con sede nel Castelnuovo sotto il cui controllo e giurisdizione rientrava l’intero apparato amministrativo, permanente e specializzato, volto alla gestione delle risorse finanziarie del Regno: il 2 gennaio 1443 (N. Toppi, De Origine..., 1655-1659, I, p. 148) o 1444 (Gentile, 1909, p. 15) fu tra coloro che sottoscrissero una causa di falso intentata contro il regio tesoriere di Abruzzo, Andrea de Sanctis di Ortona a Mare, e contro i suoi due sostituti Antonello de Gennaro e Enrico Barone. Il suo nome compare inoltre anche negli elenchi, seppur parziali, dei presidenti della Sommaria per gli anni 1444 e 1446.
Tra il settembre del 1445 e l’agosto del 1447 Giovanni Sanseverino fu giustiziere della provincia di Principato Citra per la nona e la decima indizione, carica ottenuta a seguito della rinuncia in suo favore del catalano Pere de Botifar, che aveva ricevuto questo ufficio a vita. Poiché era impegnato nella reggenza della Vicaria, il 2 ottobre 1445 ebbe inoltre la facoltà di nominare un suo sostituto per l’amministrazione della provincia. L’11 agosto 1446, per debellare i banditi che infestavano il Principato Citra, gli fu concessa una speciale giurisdizione simile a quella che era stata conferita per lo stesso motivo al viceré di Terra di Lavoro, Alfonso de Cardenas, nel luglio del 1443.
Ignota è la sua data di morte; tuttavia l’avvicendamento alla reggenza della Vicaria (era reggente, nell’agosto 1450, Giovanni de Caponibus) e la sua assenza negli elenchi dei presidenti della Sommaria del 1449, del 1452 e del 1457 suggeriscono di collocare il suo decesso tra il 1449 e il 1450.
Nonostante la scarsità delle notizie biografiche su Giovanni Sanseverino, il profilo professionale e istituzionale che emerge è quello di miles e burocrate incardinato in tutti gli organismi che maggiormente contribuivano a dare unità all’amministrazione regia. Le sue attività al servitium della monarchia aragonese e privilegi ottenuti lo configurano, dunque, come esponente di quella élite di estrazione nobiliare legata al sovrano ampiamente radicata nelle strutture amministrative del Regno.
Fonti e Bibl.: Napoli, Biblioteca nazionale, Privilegi dei Sanseverino, ms. XVIII 36, cc. 12-19; C. De Lellis, Notizie diverse di famiglie della città e del Regno di Napoli ricavate da pubblici archivi, processi e contratti particolari, ms. XA1, c. 128v; ms. X A 2, c. 89v; N. Toppi, De Origine omnium tribunalium nunc in Castro Capuano fidelissimae civitatis Neapolis existentium, I-III, Napoli 1655-1659, passim; C. Foucard, Descrizione della città di Napoli e statistica del Regno nel 1444, in Archivio storico per le province napoletane, II (1877), pp. 725-757; Fonti aragonesi a cura degli archivisti napoletani, IV, Frammenti dei registri «Commune Summariae» (1444-1459). Frammenti di cedole della Tesoreria di Alfonso I (1446-1448), a cura di C. Salvati, Napoli 1964, pp. 6, 38; Acta graduum academicorum Gymnasii Patavini ab anno 1406 ad annum 1450..., a cura di G. Zonta - G. Brotto, I, Padova 1970, p. 728; Dispacci sforzeschi da Napoli, I, a cura di F. Senatore, Napoli 1997, pp. 3-19.
P. Gentile, La politica interna di Alfonso V d’Aragona nel Regno di Napoli dal 1443 al 1450, Montecassino 1909, p. 15; G.M. Monti, Le origini della Gran Corte della Vicaria e la codificazione dei suoi riti, in Annali del Seminario giuridico economico della R. Università di Bari, II (1929), 2, pp. 3-134; P. Gentile, Lo Stato napoletano sotto Alfonso I d’Aragona, in Archivio storico per le province napoletane, LXII (1937), pp. 1-56, LXIII (1938), pp. 1-56; R. Moscati, Nella burocrazia centrale di Alfonso d’Aragona: le cariche generali, in Miscellanea in onore di Roberto Cessi, I, Roma 1958, pp. 365-377; A. Ryder, The Kingdom of Naples under Alfonso the Magnanimous. The making of a modern State, Oxford 1976, pp. 97, 99, 101, 106, 148 s., 152, 161, 200, 324, 327; M. Del Treppo, Il Regno aragonese, in Storia del Mezzogiorno, a cura di G. Galasso - R. Romeo, IV, Il regno dagli Angioini ai Borboni, Roma 1986, pp. 89-201; R. Delle Donne, Burocrazia e fisco a Napoli tra XV e XVI secolo. La Camera della Sommaria e il Repertorium alphabeticum solutionum fiscalium Regni Siciliae Cisfretanae, Firenze 2012, pp. 341, 528; E. Russo, Il registro contabile di un segretario regio nella Napoli aragonese, in Reti Medievali Rivista, 2013, vol. 14, n. 1, pp. 415-547; R. Chilà, Une cour à l’épreuve de la conquête: la société curiale et Naples, capitale d’Alphonse le Magnanime (1416-1458), Thèse pour obtenir le grade de Docteur, délivrée par l’Université Paul Valéry - Montpellier III et l’Università degli studi di Napoli Federico II, 2014, passim.