ROSSI, Giovanni
– Nacque a Parigi il 19 febbraio 1887, da Giovanni e da Domenica Andreani.
Il padre, modesto imbianchino originario di Pino (Varese), morì un mese dopo la sua nascita per una polmonite: per questo Rossi, battezzato come Giacomo Andrea, prese il nome del genitore. La madre, sarta, con due figli in tenera età (il fratello Carlo era nato nel 1884), lasciò Parigi per trasferirsi nella casa paterna a Tronzano Lago Maggiore. Terminate le elementari, seguendo le orme del fratello, Rossi entrò nel 1896 nel collegio dei barnabiti a Cremona per poi passare nei seminari dell’arcidiocesi ambrosiana prima a Seveso (Monza), poi a Milano per gli studi teologici. Il 5 giugno 1909 fu ordinato sacerdote dal cardinale Andrea Carlo Ferrari, di cui, pochi giorni dopo, divenne segretario.
In Ferrari, al quale dedicò anche una biografia (Il cardinal Ferrari, Assisi 1956), Rossi trovò un riferimento spirituale e un modello sacerdotale cui attinse per tutta la vita. Risale a questi anni anche la maturazione del fecondo rapporto di amicizia con Angelo Roncalli, allora segretario del vescovo di Bergamo Giacomo Radini Tedeschi. Nel pieno della temperie modernista, Rossi visse al fianco di Ferrari il sinodo del 1910 e la visita pastorale del 1911-14. Dopo la Grande Guerra fu tra i propulsori del dinamico sviluppo di iniziative che fece della Chiesa ambrosiana il laboratorio di un cattolicesimo che, pur nel solco dell’intransigentismo, si propose di «parlare alla modernità per farla cristiana» (Moro, 2000, p. 549). In sodalizio con Francesco Olgiati impostò l’impegno come assistente ecclesiastico dell’Unione giovani cattolici milanesi e il lavoro con Armida Barelli che portò alla nascita, nel febbraio 1918, della Gioventù femminile cattolica milanese.
Tra il 1919 e il 1921 fu tra i promotori dell’Università cattolica del S. Cuore. Tuttavia è nella Casa del popolo – pensata da Ferrari come una grande struttura in grado di accogliere le opere sociali della diocesi – che Rossi espresse la sua piena adesione alle istanze modernizzatrici. In quest’ambito, con il consenso del cardinale, nacque l’idea della Comunità di S. Paolo in cui portò a maturazione i programmi di rinnovamento dell’apostolato: il nuovo soggetto associativo, secondo lo statuto approvato il 17 novembre 1920, si configurò come una «societas fidelium» di laici impegnati nella diffusione della fede cristiana, inaugurando un’inedita comunità mista di clero e laici (uomini e donne).
La Comunità assicurò il funzionamento della Casa del popolo (ribattezzata Opera cardinal Ferrari nell’agosto 1921) secondo un modello che combinava l’orientamento cristologico della catechesi e una mentalità aziendalistica per una moderna assistenza sociale. A Milano presero avvio le attività, tra cui un segretariato del popolo, le scuole professionali e una tipografia.
Le tensioni con settori importanti della Chiesa milanese, passata sotto la guida di Eugenio Tosi, dovute soprattutto alla natura ibrida della Comunità e alla sua eccessiva autonomia, portarono al passaggio della creatura di Rossi alle dipendenze vaticane (congregazione dei Religiosi). Dal 27 novembre 1924 la Comunità assunse dunque il nome di Compagnia di S. Paolo e, seppur snaturata nel suo fondamento laicale, poté allargare il raggio delle attività, come confermato dall’affidamento dell’amministrazione de L’Osservatore romano. La sregolata espansione degli anni successivi, alimentata da Rossi fidando sulle aperture di credito di soggetti imprenditoriali e bancari e sull’appoggio del regime fascista, condusse ai travagli dei primi anni Trenta. All’apertura di una nuova casa dell’Opera a Gerusalemme nel 1923, seguirono quelle di Roma (1924), Parigi (1926), Buenos Aires (1927), Bologna (1927), dove fu acquisita anche la gestione de L’Avvenire d’Italia, e Firenze con l’acquisto della Libreria editrice fiorentina (1928). La crisi della Compagnia scoppiò nel giugno 1930 quando la società anonima che costituiva la base finanziaria dell’Opera venne dichiarata fallita (Toschi, 1990, pp. 124-127).
La nomina nel 1931 di un amministratore apostolico della Compagnia aprì una fase non priva di contrasti che, se portò Rossi alle sofferte dimissioni da superiore generale – caldeggiate dalla S. Sede e formalizzate il 31 dicembre 1931 –, lo condusse anche a un ripensamento delle linee d’impegno. Al centro della sua azione si fece largo la prospettiva di una laicità carismatica capace di annunciare il vangelo attraverso un movimento di penetrazione e conquista missionaria (Zizola, 1997, pp. 124-126). Trovò in questa fase pieno sviluppo l’intuizione delle missioni paoline, iniziate dalla Compagnia già tra il 1925 e il 1926. Il trasferimento del gruppo di Rossi a Roma nel 1933 sancì anche geograficamente l’esistenza di due differenti anime all’interno della Compagnia di S. Paolo. Con l’affinamento del metodo missionario, testimoniato dall’attività in numerose città italiane, si definirono anche i cardini teologici della nuova esperienza: nel 1936 fu inaugurato a Roma lo Studium Christi, un laboratorio di ricerca e approfondimento della cultura cristologica.
L’uscita del Breviario paolino (Roma 1939) – in cui Rossi chiarì l’impostazione delle linee della spiritualità dei paolini – fece da premessa alla definitiva uscita dalla Compagnia nel settembre 1939. La complessa transizione trovò sbocco nel dicembre dello stesso anno: il gruppo di Rossi fu accolto dal vescovo monsignor Giuseppe Placido Nicolini ad Assisi dove, dopo il nullaosta della congregazione del Concilio, fu istituita la Pro civitate christiana.
Senza obbligo di vita comune né di voti tradizionali per i suoi membri (sacerdoti, donne, uomini), la nuova associazione laicale di diritto diocesano si pose obiettivi di cristianizzazione della società attraverso un’evangelizzazione fondata su «istituzioni di cristologia e attività di catechesi cristiana, opportune, moderne, sociali» (Archivio Pro civitate christiana, Atti ufficiali, statuto del 24 dicembre 1939). Il varo delle riviste Rocca (giugno 1940) e Il Regno (maggio 1942), pensate l’una come organo di divulgazione cristologica, l’altra come «areopago della società moderna» (Il Regno, I (1942), 2, p. 2), ne accompagnò il radicamento.
Un’identità che Rossi definì attivando il primo corso di studi cristiani nel 1940, cui fecero seguito la nascita dell’Osservatorio cristiano (un centro di raccolta di giornali, riviste e libri su Gesù Cristo) e, dal 1942, lo sviluppo delle Domus christianae animate da nuclei di volontari in diverse città italiane. Su tali basi maturò, già in quei mesi, il progetto di una cittadella cristiana immaginata come una «città dello spirito [...] tutta orientata a far conoscere [...] la divinità di Nostro Signore Gesù Cristo» (Rocca, II (1941), 22, p. 4).
Nel 1946 la partecipazione della Pro civitate christiana alle ‘missioni del papa’ della pontificia commissione assistenza fu il segnale del ritrovato feeling di Rossi con la S. Sede. L’udienza del gennaio 1948 con il sostituto alla segreteria di Stato, Giovanni Battista Montini, confermò la buona disposizione vaticana verso il progetto della cittadella (Zizola, 1997, p. 229). Sulla Rocca Rossi la descrisse come una sorta di moderna «abbazia benedettina»: luogo di incontro e di dialogo con quelle classi dirigenti e intellettuali alla guida del Paese che mostrassero segni di inquietudine e di ricerca spirituale (Rocca, VII (1948), 21, pp. 1 s.).
Il profilo assunto dalla Pro civitate christiana fu evidente nei mesi delle elezioni dell’aprile 1948. Pur accogliendo i fondamenti religiosi della battaglia «per Cristo o contro Cristo» (Rocca, VII (1948), 4, p. 2), la pubblicazione sul Regno degli articoli di due aderenti al Fronte popolare come Salvatore Quasimodo e Sem Benelli (VII (1948), 10) preluse al confronto con il comunismo degli anni successivi, distinguendo la Pro civitate christiana come luogo aperto al dibattito culturale e politico, al dialogo con i non credenti e con il mondo dell’arte.
Il 1951 segnò il decollo della cittadella attraverso il contributo economico e organizzativo dell’imprenditore Furio Cicogna, che portò all’inaugurazione delle prime strutture nel settembre 1953. Un mese prima Rossi era stato coinvolto da Montini in un’indagine sui problemi della Chiesa italiana: nel pieno della polarizzazione ideologica, egli puntò sulla necessità dell’approfondimento spirituale e biblico per fronteggiare la crisi religiosa (Zizola, 1997, p. 257). La ripresa delle grandi missioni nelle città convalidò la linea «più moderata e spirituale» della Pro civitate christiana rispetto alle crociate del gesuita Riccardo Lombardi (Battelli, 1986, p. 265): un elemento che emerse evidente nelle missioni volute dal cardinale di Bologna Giacomo Lercaro nel maggio 1953 e dal patriarca di Venezia Roncalli nel marzo 1955.
La nomina al soglio di Roncalli nell’ottobre 1958 segnò un momento di svolta per il progetto di apostolato di Rossi, suggellato dal breve del 7 dicembre 1959 con cui Giovanni XXIII eresse la Pro civitate christiana a pia associazione primaria. Nel 1960 la partecipazione all’annuale corso di studi cristiani di Montini, Lercaro e di Johannes Willebrands, da poco a capo del nuovo segretariato per l’Unità dei cristiani, fu il preludio al ruolo non marginale assunto dalla cittadella negli anni del rinnovamento conciliare. Nominato perito del Concilio nel 1962, Rossi fece di Rocca una delle riviste più attive nel dibattito nazionale e di Assisi un luogo di confronto avanzato sulle prospettive aperte dall’aggiornamento giovanneo. In tale contesto si colloca anche il rapporto tra Rossi e Pier Paolo Pasolini, che nel 1962 trovò alla cittadella l’ispirazione per Il Vangelo secondo Matteo, che, non senza polemiche nel mondo cattolico, fu girato con la consulenza della Pro civitate christiana.
Gli ultimi anni di Rossi si caratterizzarono per la ripresa di un rapporto con la Compagnia di S. Paolo (fu nominato presidente onorario nel 1974), ma anche per le tensioni postconciliari che afflissero la Pro civitate christiana. Alle accuse di una parte del mondo cattolico che la cittadella si stesse trasformando in un luogo di legittimazione della contestazione ecclesiale, si assommarono i travagli dell’associazione alle prese con una complessa riforma dei suoi statuti che aggiornasse l’impostazione laicale della comunità adeguandola al nuovo clima del Concilio.
Morì ad Assisi il 27 ottobre 1975.
Fonti e Bibl.: Il materiale relativo a Rossi si trova principalmente a Milano, nell’Archivio della Compagnia di S. Paolo, ad Assisi, nell’Archivio della Pro civitate christiana, e nell’Archivio storico della diocesi di Milano.
Per un quadro documentato su Rossi sono essenziali le due biografie: M. Toschi, Per la Chiesa e per gli uomini: don G. R. 1887-1975, Genova 1990; G. Zizola, Don G. R.: l’utopia cristiana nell’Italia del ’900, Assisi 1997, che pur divergono su alcuni sostanziali aspetti interpretativi.
Altri utili riscontri in G. Paolucci, La casa del popolo: origini e vicende dell’Opera Cardinal Ferrari, Milano 1980; G. Albanese, R. G., in Dizionario storico del movimento cattolico in Italia 1860-1980, II, Casale Monferrato 1982, pp. 556-559; G. Battelli, Vescovi, diocesi e città a Bologna dal 1939 al 1958, in Le Chiese di Pio XII, a cura di R. Riccardi, Roma-Bari 1986, pp. 257-282; G. Penco, Storia della Chiesa in Italia nell’età contemporanea, I, 1919-1945: dalla crisi liberale alla democrazia, Milano 1986, pp. 276 s.; R. Moro, La religione e la «nuova epoca». Cattolicesimo e modernità tra le due guerre mondiali, in Il modernismo tra cristianità e secolarizzazione. Atti del Convegno..., Urbino... 1997, a cura di A. Botti - R. Cerrato, Urbino 2000, pp. 513-573; T. Subini, Il dialogo tra Pier Paolo Pasolini e la Pro Civitate Christiana sulla sceneggiatura de Il Vangelo secondo Matteo, in Attraverso lo schermo. Cinema e cultura cattolica in Italia, II, Dagli anni ’30 agli anni ’60, a cura di R. Eugeni - D.E. Viganò, Roma 2006, pp. 223-237.