POGGI, Giovanni
POGGI, Giovanni. – Giovanni Poggi nacque a Firenze l’11 febbraio 1880 da Luigi e da Assunta Papini. Si laureò in lettere presso l’Istituto di studi superiori nel 1902 e si dedicò allo studio delle arti e alla ricerca documentaria: la ricerca e lo studio delle fonti archivistiche sarebbero rimasti sempre il fulcro dei suoi interessi di studioso.
La ratifica della legge 12 giugno 1902 n. 185 («Conservazione dei monumenti e degli oggetti di antichità e d’arte»), prima legge nazionale sulla tutela del patrimonio storico-artistico e delle opere d’arte, pose un punto fermo nella diatriba tra interesse pubblico e difesa dei diritti della proprietà privata. Tutt’altro che scevra da difetti, per lo più dovuti agli infiniti compromessi politici sui quali si era fondata la sua stesura, questa legge si pose come il primo strumento organico in materia di tutela.
Giovanni Poggi intraprese la carriera di funzionario delle Antichità e belle arti all’indomani dell’approvazione della nuova legge dello Stato italiano e ricoprì fin dal 1904 il ruolo di ispettore straordinario delle Regie Gallerie di Firenze sotto la direzione del ravennate Corrado Ricci. Si formò in quei primi anni del nuovo secolo al fianco di un uomo, Ricci appunto, che sarebbe passato alla storia come il ‘funzionario modello’ e che ebbe il merito di mettere per la prima volta sullo stesso piano lo studio dei monumenti e la loro conservazione.
Furono anni intensi per il patrimonio storico-artistico di Firenze: gli anni dei ‘ripensamenti’ espositivi delle regie collezioni (S. Sicoli, Corrado Ricci, in Dizionario biografico dei soprintendenti storici dell’arte (1904-1974), Bologna 2007, p. 515), dagli Uffizi alla Galleria di belle arti, dalla Galleria Palatina al Bargello, dalla moderna sistemazione del Gabinetto disegni e stampe alla nascita del Gabinetto fotografico delle Gallerie fiorentine. Fu incrementata la politica delle acquisizioni pubbliche cercando di ridurre il più possibile le autorizzazioni alle esportazioni di opere d’arte antiche; anche quando si trattò di limitare la libertà di azione di amici quali Frederick Stibbert, Arthur Acton, Herbert Percy Horne, Charles Loeser, Bernard Berenson, ossia i grandi collezionisti che all’inizio del Novecento risiedevano a Firenze.
Giovanni Poggi, Odoardo Hillyer Giglioli, Peleo Bacci, Nello Tarchiani e Carlo Gamba divennero i collaboratori più stretti di Corrado Ricci nella riorganizzazione e nel riordinamento delle Gallerie fiorentine, a cominciare dalla totale revisione e ricompilazione delle schede tecniche relative a ogni opera esposta o depositata nei magazzini.
Il 16 febbraio 1906 fu conferita a Giovanni Poggi la libera docenza in storia dell’arte medievale e moderna. Alla commissione esaminatrice fu presentata da Poggi una monografia su Niccola Pisano (oggi il manoscritto cartaceo di questa tesi, presentata il 10 dicembre 1905, è conservato presso il Kunsthistorisches Institut di Firenze).
Dal gennaio 1907, con concorso pubblico, Giovanni Poggi assunse la direzione del Museo nazionale del Bargello, dove rimase per i sei anni successivi, durante i quali, fra le altre cose, iniziò un sistematico riordinamento del museo.
Fu collaboratore fin dalla sua prima fondazione (1903) della Miscellanea d’Arte, rivista mensile di storia dell’arte medievale e moderna, fondata da Igino Benvenuto Supino e pubblicata dai Fratelli Alinari editori. Giovanni Poggi si presentava agli studi, «appena ventitreenne, […] con diversi articoli, tutti basati su ricerche archivistiche e tutti di particolare importanza» (Procacci, 1984). Due anni dopo, nel 1905, rimase l’unico redattore responsabile. Sotto la sua direzione la Rivista d’Arte approfondì la sua specializzazione nella pubblicazione di documenti d’archivio, distinguendosi per questa peculiarità da tutte le altre riviste di storia dell’arte.
Nei primi anni di attività nell’amministrazione pubblica la dedizione di Poggi alla ricerca e allo spoglio dei documenti raggiunse l’apice: la ricognizione di materiale, da lui svolta in archivi pubblici e privati, mise le basi delle imprese più imponenti del Poggi storico dell’arte. Questi furono gli anni in cui completò l’«esplorazione sistematica dei libri dell’Archivio dell’Opera» del duomo, una ricerca che doveva essere cominciata prima del 1903 (Il Duomo di Firenze, 1988), ma solo nel 1909 fu pubblicato il primo volume de Il Duomo di Firenze nelle prestigiose Italienische Forschungen del Kunsthistorisches Institut di Firenze. Sebbene a questa data avesse già raccolto anche la parte documentaria del secondo volume de Il Duomo di Firenze, la sua pubblicazione avrebbe avuto luogo solo venticinque anni dopo la sua morte, per cura di Margaret Haines e per volontà di Ugo Procacci e dell’Istituto germanico di Firenze, al quale Poggi aveva per tutta la vita manifestato la propria amicizia e fedeltà.
Mentre era direttore del Museo del Bargello, Giovanni Poggi compì il sensazionale ritrovamento delle Carte Vasari nell’archivio privato del conte Rasponi Spinelli (1908); le carte, che contenevano anche una ricca corrispondenza con Michelangelo, furono notificate nel 1919.
Nel 1910 il ministero della Pubblica Istruzione affidò a Corrado Ricci, Guido Biagi e Giovanni Poggi il compito di realizzare l’edizione nazionale del carteggio di Michelangelo, ma già dal 1900 Giovanni Poggi collaborava con l’ente Casa Buonarroti alla pubblicazione delle lettere dei corrispondenti di Michelangelo, secondo un primo progetto editoriale mai realizzato (Barocchi, 1965).
Anche l’impresa de Il carteggio di Michelangelo, che rimase «un miraggio ormai perseguito, dal 1918 in poi, dal solo Giovanni Poggi» (ibid.), venne pubblicata postuma, fra il 1965 e il 1983, per cura di Paola Barocchi e Renzo Ristori.
Pochi furono i progetti editoriali realizzati da Poggi rispetto alla copiosità delle ricerche da lui compiute, e le opportunità di studio si ridussero notevolmente man mano che gli incarichi pubblici affidatigli si fecero più alti e di maggiore responsabilità.
Era stata intanto approvata la legge 27 giugno 1907 n. 386 «sul Consiglio Superiore, gli uffici e il personale delle Antichità e Belle Arti», che istituì e introdusse sul territorio del Regno le soprintendenze, una rete di «agenzie di amministrazione e di conoscenza scientifica e di intervento tecnico» (Emiliani, 2007) facenti capo alla direzione generale del ministero della Pubblica Istruzione: nascevano così le soprintendenze ai Monumenti, le soprintendenze agli Scavi e ai Musei e le soprintendenze alle Gallerie, ai Musei medievali e moderni e agli Oggetti d’arte. La figura del soprintendente era preposta al coordinamento dei musei e dei siti nel territorio di competenza; quella del direttore era a capo e gestiva l’istituzione stessa.
Il 1° dicembre 1910, Giovanni Poggi fu nominato soprintendente ai Monumenti per le province di Firenze, Lucca, Massa, Livorno, Arezzo e Pisa; due anni dopo assunse anche la direzione della Galleria degli Uffizi.
Il suo operato si dimostrò subito di grande rilevanza: è legata infatti al suo nome la redazione del catalogo generale degli oggetti d’arte del Regno che il giovane soprintendente redasse per le opere d’arte delle province toscane, accrescendolo e dotandolo di moderni criteri di valutazione.
Con il 1911 si inaugurò a Firenze la stagione delle grandi mostre: la Mostra del ritratto italiano 1600-1861, commissio;nata a Ugo Ojetti dal sindaco di Firenze per celebrare i cinquant’anni dell’Unità d’Italia, fu una delle prime e delle più importanti esposizioni tese alla rivalutazione della pittura del Sei e del Settecento ed ebbe fra i suoi fautori, ancora una volta, Corrado Ricci e i fiorentini Carlo Gamba, Nello Tarchiani, Alfredo Lenzi e Giovanni Poggi.
Poggi si occupò personalmente anche della costituenda Galleria d’arte moderna, di cui nel 1913 fu inaugurata presso la Galleria dell’Accademia una prima selezione di opere. E fu grazie al suo impegno se nel 1924 fu trovata in palazzo Pitti la sede appropriata per la nuova Galleria d’arte moderna, che ebbe il suo primo direttore nell’amico Tarchiani.
Il 13 dicembre 1913 il suo alto senso di responsabilità lo portò a consegnare ai carabinieri di Firenze, insieme alla celeberrima tavola di Leonardo raffigurante la Gioconda, anche quel Vincenzo Peruggia, muratore italiano emigrato in Francia, che, dopo avere rubato l’opera due anni prima dal Musée du Louvre, cercò, proponendola a Poggi, di assicurarla per sempre al patrimonio italiano.
Con il sopraggiungere del primo conflitto mondiale nuovi gravi problemi si prospettarono ai funzionari delle belle arti e nuove mansioni coinvolsero Poggi nella tutela del patrimonio artistico anche fuori della Toscana, incarichi che poi, alla fine della guerra, si esplicarono nel riordino dei musei e delle gallerie fiorentine (quali gli Uffizi, l’Accademia, la Palatina) e nella costituzione di nuovi istituti statali e non.
Fu il caso del Museo degli Argenti, istituito nel 1919 per esporre i tesori del collezionismo mediceo e lorenese; o del complesso museale di Palazzo Vecchio, dove furono portate le sculture del Bargello e i dipinti dello Studiolo; oppure ancora del Museo dell’Opera del duomo, dove confluirono le statue provenienti dal complesso della cattedrale e del campanile, passate da molto tempo alle Gallerie (1822).
Il suo apporto alle grandiose rassegne espositive fiorentine della prima metà del secolo continuò con la Mostra sulla pittura italiana del Seicento e del Settecento, che si tenne nel 1922 a palazzo Pitti. La mostra, che si estendeva per più di cinquanta sale e contava oltre mille opere, fu pensata e organizzata da Ugo Ojetti, ma intatto rimase il parterre dei collaboratori: da Carlo Gamba a Luigi Dami, da Nello Tarchiani a Giovanni Poggi.
A seguire, la Mostra giottesca del 1937, il cui catalogo, con una prefazione di Poggi del settembre 1943, usciva incredibilmente stampato in quella data mentre il Paese si sfasciava dopo l’armistizio; e ancora il piccolo catalogo dell’altrettanto grandiosa Mostra del Cinquecento toscano, germe di tutti gli sviluppi postbellici del manierismo, inaugurata nell’aprile 1940, alla vigilia dell’entrata in guerra (Berti, 2005). La mostra fu la prima a trovare spazio tra le sale del primo piano di palazzo Strozzi, completamente restaurato e riallestito dopo che, nel 1938, «l’Istituto Nazionale delle Assicurazioni ne deliberò l’acquisto e, messosi d’accordo col Comune di Firenze nell’uso, ne decise il restauro» (Poggi, 1940, p. 10).
Il sopraggiungere del secondo conflitto mondiale caricò il soprintendente di una responsabilità infinitamente maggiore: tutte le sue energie dovettero essere convogliate nella protezione delle opere d’arte. Fu necessario realizzare, ove possibile, strutture protettive per i beni immobili; mentre si dovette pensare a ricoverare in ambienti sicuri le opere mobili e a individuare nelle campagne ville o palazzi che fungessero da depositi.
Migliaia furono le opere che dal novembre 1942 al 21 gennaio 1943 lasciarono Firenze per riparare in luoghi più sicuri. I rapporti diplomatici intessuti con abilità e perizia tanto con il fronte di liberazione quanto con l’esercito degli occupanti conferirono a Giovanni Poggi quel prestigio, riconosciutogli da entrambe le parti, che lo rese noto alla fine della guerra come il ‘soprintendente più autorevole e stimato d’Italia’.
Durante le ultime fasi della guerra, quando la situazione precipitò, ma con essa non la speranza di salvare dalla distruzione Firenze, fu diffuso lo storico messaggio del 30 luglio 1944, firmato dalle massime autorità della città, fra cui anche Poggi. Nel messaggio ci si rifaceva alle parole spese per Firenze dallo stesso Hitler e alla speranza che si cercasse «di non fornire all’avversario alcun motivo militare per assalire Firenze» (G. Vedovato, Difesa di Firenze e dei beni artistico-culturali, Firenze 1968, p. 14). Quattro giorni dopo, i ponti di Firenze furono fatti saltare: solo il ponte Vecchio fu risparmiato, ma non il quartiere a esso adiacente.
Dovette trascorrere quasi un anno prima che le opere d’arte che Poggi aveva ‘sfollato’ dagli Uffizi in soli quindici giorni tornassero a Firenze.
Finita la guerra, le capacità organizzative e cognitive di Poggi gli permisero, già dal 1946, di restituire ai visitatori quasi tutti i musei fiorentini; e si adoperò inoltre, anche in prima persona, per favorire e sostenere progetti ed eventi tesi a finanziare operazioni di restauro. Molti furono i contatti tenuti con prestigiose istituzioni americane chiamate a sponsorizzare iniziative culturali con lo scopo di reperire fondi per la ricostruzione della città. Provvidenziale si dimostrò per Firenze la presenza del Laboratorio di restauro (origine dell’odierno Opificio delle pietre dure), attivo fin dal 1934, costituito per volere di Ugo Procacci ma sostenuto dal direttore generale delle Antichità e belle arti Corrado Ricci e dal soprintendente Poggi.
Nel 1949 Giovanni Poggi fu messo a riposo per sopraggiunti limiti di età.
Nell’ambiente la notizia suscitò malumori, perché, nonostante egli fosse presente sulla scena da quasi mezzo secolo, la stima e l’affetto che si era guadagnato tra i colleghi e i collaboratori avevano contribuito a renderlo agli occhi di tutti una figura difficilmente sostituibile. La nomina immediata da parte del Comune di Firenze che lo volle a sopraintendere agli istituti e ai monumenti di propria competenza, fa pensare a una volontà forte della comunità fiorentina di mantenerlo ancora in prima linea nella difesa e nella conservazione del patrimonio artistico.
Il 26 maggio 1951 riaprì, dopo gli eventi bellici, la Casa Buonarroti e nell’occasione Giovanni Poggi, da sempre legato all’istituzione, fu nominato conservatore onorario.
Negli ultimi anni della sua vita, anche quando era ormai libero dagli incarichi di lavoro più gravosi, Giovanni Poggi preferì dedicarsi allo studio della storia e della letteratura di cui era sempre stato un fine conoscitore: la perfetta conoscenza delle lingue francese e tedesca gli consentiva una comprensione approfondita e diretta dei classici. Ma l’amarezza profonda di aver assistito alle calamità di ben due eventi bellici, il tormento per non essere riuscito a salvare per intero il patrimonio che gli era stato affidato e per il quale si sentiva responsabile, non gli permisero negli ultimi anni della sua vita di tornare a occuparsi serenamente degli studi e della ricerca (Procacci, 1988).
Giovanni Poggi è conosciuto in tutto il mondo per essere stato un ricercatore attento e intelligente, un profondo conoscitore delle fonti, un conservatore vero dotato di uno spiccato senso critico. Quasi settemila lettere costituiscono il carteggio del suo archivio privato, e quello che salta agli occhi scorrendo l’elenco dei mittenti è che i suoi interlocutori furono sempre i protagonisti della scena culturale e politica del suo tempo, molto oltre i confini nazionali.
Morì a Firenze il 27 marzo 1961.
Fonti e Bibl.: Il Duomo di Firenze: documenti sulla decorazione della chiesa e del campanile tratti dall’archivio dell’Opera, per cura di G. P., Berlino 1909, rist. anast. con note a cura di M. Haines, Firenze 1988; G. Poggi, Mostra del Cinquecento toscano in Palazzo Strozzi, Firenze 1940; F. Rossi, G. P., estr. da Bollettino d’Arte, 1961, n. 4, ottobre-dicembre, p. 380; P. Barocchi, Introduzione, in Il carteggio di Michelangelo. Edizione postuma di G. P., a cura di P. Barocchi - R. Ristori, I, Firenze 1965, pp. VII-XV; U. Procacci, Prefazione, in Rivista d’Arte, s. 4, XXXVII (1984), 1, pp. 3-8; M. Haines, Introduzione, in Il Duomo di Firenze, cit., ed. 1988, pp. XVII-XLII; U. Procacci, Ricordo di G. P., ibid., pp. XI-XIII; E. Lombardi, G. P. (1880-1961), in Guida agli archivi delle personalità della cultura in Toscana tra ’800 e ’900. L’area fiorentina, a cura di E. Capannelli - E. Insabato, Firenze 1996, pp. 500-503; L. Berti, Discorso letto in Palazzo Vecchio nel Salone dei Dugento a Firenze, in occasione del convegno «Il ritrovamento della Gioconda a Firenze», 26 gennaio 2005; Dietro le mostre: allestimenti fiorentini dei primi del Novecento (catal., Firenze), a cura di M. Tamassia, Livorno 2005; A. Emiliani, La nascita e il cammino del «sistema delle arti» (1907-2007), in Dizionario biografico dei soprintendenti storici dell’arte (1904-1974), Bologna 2007, pp. 17-29; E. Lombardi, G. P., ibid., pp. 476-480; Ead., G. P. (1880-1961), in Guida agli archivi di architetti e ingegneri del Novecento in Toscana, a cura di E. Insabato - C. Ghelli, Firenze 2007, pp. 292-296; E. Lombardi, Nota biografica, in L’Archivio di G. P. (1880-1961) Soprintendente alle Gallerie Fiorentine, Firenze 2011, pp. 29-41; M. Sframeli, G. P. soprintendente: cinquant’anni di tutela, ibid., pp. 9-16.