PEZZOTTI, Giovanni
– Nacque a Milano il 24 dicembre 1809, figlio cadetto di Carlo e Carolina Adrizzoli.
Il padre, originario di Trescore Balneario nella Bergamasca, si trasferì nei primissimi anni dell’Ottocento a Milano tenendovi «un fiorito commercio di pellami, pelo di cammello, lane, vini di lusso e spiriti in Contrada di Sant’Antonio» (Milano, Biblioteca Ambrosiana, Carte Lodovico Corio, R 163 inf., f. 2, n. 78).
Compiuti gli studi ginnasiali, Giovanni approfondì i rudimenti della matematica ed ebbe accesso ai liberi corsi universitari di astronomia dell’ateneo pavese, che si tenevano allora alla Specola di Brera. Fu lì che dal 1826 al 1830 seguì le lezioni dell’astronomo Francesco Carlini, distinguendosi per precocità, assiduità e diligenza. Legati al mondo della formazione scolastica – e in particolare a gruppi di studenti di veterinaria – furono anche i primi passi in direzione della politica, mossi quando l’instaurazione della Monarchia di Luglio in Francia infiammò di speranze i patrioti di molta parte d’Italia, in particolare nei ducati padani e nello Stato pontificio. Cesenate e studente di veterinaria era infatti Luigi Visanetti che lo affiliò forse alla setta d’origine romagnola dei Figli della patria, ovvero a una propaggine della stessa in Lombardia, dove per il carnevale del 1831 era stata programmata un’insurrezione. Così il 10 marzo 1831 l'abitazione milanese di Pezzotti fu oggetto di una perquisizione da parte della polizia, che portò alla luce, oltre ad alcuni classici del pensiero illuminista, diversi opuscoli a stampa e manoscritti pieni di «argomenti antipolitici e esaltati» (Arch. di Stato di Milano, Processi politici, cart. 123, pz. 19). Immediatamente tradotto in carcere e interrogato dal magistrato Paride Zajotti in merito a uno scambio sedizioso di versi poetici con altri sospettati (vi si parlava «dei troni» che dovevano crollare e «dell’insorgimento di tutta l’Italia», ibid., pz. 169), negò risolutamente ogni addebito, senza poter evitare drammatiche contraddizioni e conseguenti parziali ammissioni che ne sancirono il prolungato stato di arresto, conclusosi solo nel novembre 1831. La vicenda dell’incriminazione si sarebbe definitivamente conclusa nel febbraio 1832, quando Pezzotti, pur considerato «imbevuto di principj liberali, e di massime rivoluzionarie» e benché ritenuto chiaramente mendace e «perverso» nel suo «modo di pensare» (ibid.), fu assolto dall’accusa di alto tradimento, mancando le prove di una sua effettiva affiliazione settaria non meno che di una sua diretta partecipazione ad azioni sovversive.
Dopodichè Pezzotti scompare dalle fonti fino all’inizio della stagione rivoluzionaria. La sua attività cospirativa tra il primo processo e il 1848 può essere dunque parzialmente ricostruita solo attraverso le memorie di alcuni protagonisti di quegli anni. Tuttavia, trattandosi di memorie retrospettive, esse risultano inclini ad appropriarsi dell’immagine di chi era già diventato o si voleva far diventare un martire. È il caso, in particolare, delle testimonianze di Mazzini, da un lato, e di Montanelli, dall’altro, che fin dalla morte di Pezzotti si preoccuparono di avvalorarne l’appartenenza al proprio schieramento. Nodo principale da sciogliere riguardò naturalmente l’affiliazione alla Giovine Italia, decisivo per decretarne la più o meno lunga militanza mazziniana. Laddove Mazzini volle fare subito del «povero Pezzotti» (SEI, LXXVII, 1938, p. 318) uno dei «nostri» (ibid., p. 333) lasciando poi ambiguamente intendere come tale legame avesse implicato una relazione diretta con l’associazione segreta da lui fondata, Montanelli fornì tutt’altra versione dei fatti. Per lui l’evoluzione della militanza di Pezzotti era da inquadrare in una marcata avversione proprio nei confronti della Giovine Italia; anzi, poiché le «eloquenti predicazioni» (Montanelli, 1855, p. 211) della setta mazziniana sarebbero suonate incomprensibili ai ceti popolari, progetto esplicito e consapevole di Pezzotti («repubblicano tutto d’un pezzo, giacobino ortodosso») sarebbe stato quello di «instaurare fratellanza che allacciasse la gioventù delle università e gli uomini del popolo» (ibid.). Ostile alla «teodemocrazia» del genovese, egli avrebbe dunque «ricusato arrolarsi alla Giovine Italia» (ibid., p. 212). Successivamente, venuto a contatto con il gruppo capeggiato a Pavia da Pietro Maestri, si sarebbe adoperato in organizzazioni di tipo rivoluzionario prive di rituali esoterici e aventi come scopo precipuo quello di allargare la rete di contatti cospirativi fra gli atenei lombardi, ampliando al tempo stesso i legami «colle fratellanze repubblicane di Francia» (ibid., p. 213). Pezzotti sarebbe stato insomma parte integrante di quella «fratellanza scientifico-manesca dei democratici» (ibid., p. 214) che avrebbe costituito, sull’asse Milano-Pavia, uno dei due poli di maggior richiamo per la gioventù irrequieta, nello specifico quella più pronta ad attaccar briga con gli Austriaci. L’altro gruppo esplicitamente evocato da Montanelli sarebbe stato quello più letterario capitanato da Cesare Correnti e riunito attorno alla strenna Il Presagio, la cui nascita – secondo la più tardiva ricostruzione dello stesso Correnti – fu effettivamente figlia della non ancor ricomposta divisione del movimento patriottico (la teatrale descrizione di Correnti del volontario allontanamento del gruppo di Pezzotti, inizialmente coinvolto nel progetto, induce a dubitare dell’interpretazione di Marino Berengo che ebbe invece a includerlo nel novero dei compilatori). Le due anime della gioventù rivoluzionaria trovarono tuttavia in seguito un terreno d’incontro sul piano ideologico, rendendo possibile la ricomposizione del fronte antiaustriaco e l’avvento stesso delle Cinque giornate.
Benché lo scontro sulla memoria evocato poc’anzi riecheggi nelle scarne ricostruzioni storiche successive – le une disposte ad accreditare la versione mazziniana (Alessandro Luzio), le altre a dare maggior credito a quella di Montanelli (giudicato da Franco Della Peruta testimone attendibile) – rendendo difficile, per mancanza di riscontri, sciogliere le singole questioni, pare assodato che la militanza di Pezzotti vada comunque considerata di lungo corso; mentre essa non è affatto in discussione nel cosiddetto lungo Quarantotto. Prima dello scoppio rivoluzionario Pezzotti figurava tra gli avventori del caffè del Cappello, luogo egualmente frequentato dalla gran parte degli appartenenti al gruppo democratico-repubblicano.
Sul finire del 1847 fu, insieme ai fratelli Giovanni e Gaetano Cantoni, tra i protagonisti dell’organizzazione dello sciopero del fumo, mentre il mattino del 18 marzo 1848 fu presente alla riunione in casa di Attilio De Luigi che ‘decretò’ lo scoppio della rivoluzione. Nei giorni immediatamente successivi ebbe il ruolo di aggiunto nel comitato di difesa retto da Riccardo Ceroni, facendone talvolta le veci. Fu membro nonché vicepresidente della Società repubblicana che, sorta ai primi d’aprile e presieduta da Giuseppe Sirtori, era – come testmoniato dal nome – fautrice di un programma politico schiettamente repubblicano; e che, assai vicina alle posizioni mazziniane (tanto da ventilare la fusione con l’Associazione nazionale italiana, la cui sezione lombarda ebbe in Pezzotti uno dei fondatori), nel corso della sua attività promosse diverse iniziative politiche (dimostrazioni, petizioni, catechismi popolari). Membro del comitato centrale dell’Associazione, dopo il Quarantotto fu esule a Lugano, divenendo un costante punto di riferimento per Mazzini e adoperandosi per la diffusione non solo dell’Italia del Popolo, ma anche delle pubblicazioni della Tipografia elvetica di Capolago e, per conto della giunta d’emigrazione italiana della frontiera svizzera di cui era elemento assai attivo, del Repubblicano della Svizzera italiana. Rientrato a Milano nel corso del 1850, continuò a cospirare, frequentando il salotto di Giulietta Pezzi e la casa di Francesco Brioschi. Diventato secondo Giuseppe Ferrari un vero e proprio «alter ego di Mazzini» (Della Peruta, 1958, p. 385) nonché figura di punta del comitato centrale per la Lombardia nato per riorganizzare le trame insurrezionali, nel tentativo di diffondere le cartelle del prestito nazionale promosso dal leader genovese funse da tramite tra i comitati di Milano, Mantova, Brescia e Verona, in un momento in cui tuttavia la vigile attenzione delle autorità austriache avrebbe condotto di lì a breve alcuni dei congiurati sul patibolo di Belfiore. Benché avvisato da Giovanni Battista Carta dell’imminente pericolo, fu arrestato la mattina del 25 giugno 1852 e, per timore di lasciarsi andare, sotto tortura, a rivelazioni compromettenti, si suicidò nella notte tra il 25 e il 26 impiccandosi a un’inferriata del Castello Sforzesco, come fu successivamente accertato da un’inchiesta di parte austriaca che ne impose l’autopsia.
Era in procinto di sposarsi con la benestante mantovana Matilde Gonzales.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Milano, Processi politici, cart. 123; Archivio storico dell’Osservatorio di Brera, Archivio amministrativo vecchio, cart. 25, f. 127; Milano, Biblioteca Ambrosiana, Carte Lodovico Corio, Studi e materiali per la storia del Risorgimento, R 163 inf., f. 2; Ibid., Archivio storico civico, Stato civile, Nascite, anno 1809, n. 66, n. 4636; Rubrica del ruolo generale della città di Milano, 1811-1835, vol. 16, sez. Pe, p. 10; 1835-1865, vol. 43, sez. Pes-Pez-Pisc, p. 2 (altri volumi offrono informazioni più dettagliate sui genitori, il fratello Giuseppe e le numerose sorelle di Pezzotti); Ibid., Biblioteca nazionale Braidense, Aut. B XXVIII, Carteggio (1848-1858) del Comitato pel soccorso della Emigrazione in Castelletto Ticino. Due missive del 1849 sono conservate in: Como, Archivio del Museo del Risorgimento Giuseppe Garibaldi, cart. XIX – C., n. 12; Bergamo, Biblioteca Angelo Maj, Archivio Camozzi, fald. 42. Per quanto riguarda le fonti coeve a stampa, le più importanti sono: Scritti editi e inediti di Giuseppe Mazzini [SEI], I-CVI, Imola 1906-1943, in particolare il volume XXXVII, Epistolario (XX), pp. 168-170 (per gli altri volumi si veda ad indices); G. Montanelli, Memorie sull’Italia, e specialmente sulla Toscana, dal 1814 al 1850, II, Torino 1855, pp. 210-215. Si veda anche Archivio triennale delle cose d’Italia dall’avvenimento di Pio IX all’abbandono di Venezia, III, Chieri 1855, ora in Tutte le opere di Carlo Cattaneo, a cura di L. Ambrosoli, V, 2, Milano 1974, pp. 1689, 1794, 1856. Fra le testimonianze: F. Venosta, I martiri della rivoluzione lombarda. Dal settembre 1847 al febbraio 1853, Milano 1862, pp. 495 s.; C. Correnti, Il battesimo del vecchio Presagio, in Il Nuovo Presagio. Strenna del P. Istituto de’ Rachitici pel 1881, Milano 1880 (ora in Scritti scelti, edizione postuma per cura di T. Massarani, I, Roma 1891, pp. 87-106); R. Bonfadini, Mezzo secolo di patriottismo. Saggi storici, III, Milano 1887, pp. 368 s.; V. Ottolini, La rivoluzione lombarda del 1848 e 1849. Storia, Milano 1887, pp. 26, 59; G. De Castro, I processi di Mantova e il 6 febbrajo 1853, Milano 1893, pp. 234-237; G. Visconti Venosta, Ricordi di gioventù. Cose vedute o sapute, 1847-1860, Milano 1904, pp. 81, 249; R. Barbiera, Il salotto della contessa Maffei, Milano 1914, p. 166. Su momenti particolari della biografia di Pezzotti si vedano: A. Luzio, I Martiri di Belfiore e il loro processo. Narrazione storica documentata, Milano 1924, pp. 118-125 (parzialmente già in Corriere della sera, Milano, 1° ottobre 1905); F. Della Peruta, I democratici e la rivoluzione italiana. Dibattiti ideali e contrasti politici all’indomani del 1848, Milano 1958, nuova ed. ibid. 2004, ad ind.; Id., Mazzini e i rivoluzionari italiani. Il ‘partito d’azione’ 1830-1845, Milano 1974, pp. 54 e 393-394; Processi politici del Senato Lombardo-Veneto (1815-1851), a cura di A. Grandi, Roma 1976, p. 105; M. Berengo, Intellettuali e librai nella Milano della Restaurazione, Torino 1980, p. 181; G. Martinola, Gli esuli italiani nel Ticino, II, 1848-1870, Lugano 1994, ad ind.; F. Della Peruta, Milano nel Risorgimento. Dall’età napoleonica alle Cinque giornate, Milano 1998, pp. 95 s.; Belfiore, a cura di C. Cipolla, II, Costituti, documenti tradotti dal tedesco ed altri materiali inediti del processo ai comitati insurrezionali del Lombardo Veneto, 1852-1853, Milano 2006, ad ind. (ma spesso impreciso); G. Luseroni, Giuseppe Mazzini e i democratici nel Quarantotto lombardo, Roma 2007, ad ind.; A. Arisi Rota, I piccoli cospiratori. Politica ed emozioni nei primi mazziniani, Bologna 2010, p. 65, 93, 201 s.