GALLUCCI, Giovanni Paolo
Nacque a Salò, sulla sponda lombarda del Garda, nel 1538 da Giovan Battista. Del G., noto per le sue numerose opere, si hanno ben poche e scarne notizie biografiche. Il 20 maggio 1564 diede vita con altri diciotto concittadini all'Accademia degli Unanimi, che, a significare la concordia dei letterati che ne facevano parte e i loro intenti utili e virtuosi, aveva come emblema uno sciame d'api accompagnato dal motto "Idem ardor". Come ricorda il Camilli nelle sue Imprese illustri, il G. all'interno di tale accademia aveva adottato il nome di "Tolerante".
La sua prima opera a stampa è il testo di un'orazione latina tenuta nella cattedrale di Padova nel 1579, in occasione della cooptazione da parte degli studenti dell'Università, quale rettore, del giovane nobile ragusino Dominko Zlatarič (1558-1609). Dopo una prima edizione a Padova, mutila di alcune parti e piena di errori, che l'autore condannò come non autorizzata, il G. ristampò l'orazione a Venezia nel settembre del 1580: in essa le lodi del giovane poeta si accompagnano a un caldo elogio della Repubblica di Ragusa.
Dopo gli studi a Salò e a Padova, il G. si stabilì a Venezia, che egli elogiò come il più vivace centro della vita intellettuale del tempo e dove trascorse il resto dei suoi anni, dedicandosi all'insegnamento privato di giovani nobili, oltre che alla composizione e alla stampa dei suoi libri. La sua attività pedagogica è testimoniata ad esempio dal De formis enthymetatum (Venetiis, P. Marinelli, 1586), in cui afferma che esponendo la Retorica di Aristotele ai giovinetti gli è sembrato utile soffermarsi su questa parte, che di solito è assai trascurata, sforzandosi di ridurre a determinate regole l'intricata varietà delle argomentazioni.
Il trattato è seguito da due brevi opuscoli sempre dedicati all'istruzione dei giovani: il primo è intitolato De iis in quibus Veneti pueri erudiendi sunt, ut recte suam Rempublicam administrare possint; nel secondo opuscolo, intitolato De usu tabularum, il G. insiste sull'utilità di redigere indici e tavole sinottiche degli autori da studiare, seguendo l'esempio di quanto hanno fatto Giacomo Zabarella per la logica aristotelica e Marco Oddi per Avicenna: tali tavole risultano di grande efficacia per facilitare l'apprendimento e soprattutto per fissare nella memoria in modo ordinato quanto si è appreso.
Nel 1584 aveva curato l'edizione (Venetiis, ex officina D. Zenarii) di una raccolta di opuscoli di medicina astrologica. Il testo di Johann Virdung von Hassfurt che apre il volume (De cognoscendis et medendis morbis ex corporum coelestium positione) è seguito dalla Iatromathematica attribuita a Ermete Trismegisto, da un opuscolo pseudo galenico e soprattutto da testi di Marsilio Ficino: i tre trattati De vita (De vita studiosorum tuenda, De vita longa, De vita coelitus comparanda) e quello sulla peste. Il volume si conclude con brevi opuscoli e tavole astrologiche del Gallucci.
Il testo più noto del G., che gli conferì una fama europea, è il Theatrum mundi et temporis, che dopo le edizioni veneziane nel 1588 (G.B. Somasco) e 1589 fu ristampato con un titolo diverso nei primi anni del secolo successivo (Coelestium corporum et rerum ab ipsis pendentium accurata explicatio per instrumenta, rotulas et figuras, Venezia 1603 e 1605) e tradotto in spagnolo da Miguel Perez (Granada 1606, 1612, 1617). Il volume è dedicato a papa Sisto V e richiamandosi al cognome del pontefice (Montalto = mons altus) l'autore auspica che egli promuova lo studio delle scienze celesti, visto che a Roma non mancano le condizioni più favorevoli, dal cielo sereno ai colli elevati e a matematici espertissimi come il Clavio.
A breve distanza dalla bolla Coeli et terrae (1586), nella quale venivano messe al bando l'astrologia e le altre dottrine divinatorie, il G. ribadisce l'importanza e la nobiltà delle scienze celesti correttamente intese e depurate da qualsiasi aspetto superstizioso. Il volume, diviso in sei parti dedicate alla descrizione del mondo celeste e terrestre, è interessante soprattutto per la ricca e singolare iconografia. Il G. intende offrire un testo divulgativo e accessibile anche ai meno esperti, che, alleggerito delle parti dimostrative e matematiche e ornato da immagini adeguate, si presenti come una descrizione e pittura delle materie di cui tratta, diretto più agli occhi che alle orecchie di chi vuole apprendere. Di particolare interesse sono le illustrazioni composte da ruote giranti sovrapposte, che con opportuni spostamenti consentono al lettore di reperire le posizioni astrali desiderate. Grazie a tali congegni cartacei l'autore intende offrire agli studiosi uno strumento assai più pratico e di più agevole consultazione di altri modelli della sfera celeste, come la sfera di Archimede o quella particolare stanza (cubiculum) di cui parla Ficino, sul cui soffitto a volta erano riprodotte le figure delle costellazioni celesti. L'autore invia al papa una copia speciale del volume, che egli dice decorata e abbellita con gli adeguati colori, rammaricandosi di non potere venire di persona a fargliene offerta a Roma sia per l'età ormai avanzata sia per le deboli forze.
Il 21 giugno 1593 il G. fu uno dei nove fondatori della seconda Accademia di Venezia, istituita con l'intento di proseguire l'attività della prima Accademia veneta o della Fama, che si era estinta con la morte del suo animatore Francesco Badoer; tale seconda accademia, protetta dal patriziato della città, ebbe quali stampatori dapprima Giovan Battista Ciotti, e quindi Andrea Muschio.
Il G. esercitò anche un'intensa attività di traduttore. Nei tardi anni '80 tradusse in latino il Cathechismus in symbolum fidei del domenicano spagnolo Luis de Granada, sottolineando, nella dedica al vescovo di Brescia, Francesco Mauroceno, come la lingua latina sia il vincolo che unisce le diverse membra della Chiesa cattolica, mentre le altre lingue si mantengono entro i confini dei singoli paesi.
Ma la sua proficua attività didattica e divulgativa si esplicò soprattutto con la traduzione in volgare di testi storici e scientifici. Nel 1593 uscì la traduzione di un manuale classico dell'ottica del sec. XIII, vale a dire I tre libri della perspettiva commune di John Peckham (Venetia, gli heredi di G. Varisco).
Nella dedica al segretario apostolico G.B. Cucina l'autore ricorre a un'ingegnosa similitudine per elogiare i vantaggi della dottrina trattata: come nessun principe può operare cosa degna di lode se accetta per buone tutte le notizie che i sudditi e i servi gli riferiscono, così la nostra anima, che è il nostro principe interiore, non può attingere la verità se presta fede senza vaglio critico alle rappresentazioni di quei ministri e servi che sono i sensi esterni e che spesso per la loro imperfezione, e non per malizia, inducono a credere il falso. Pertanto dobbiamo essere riconoscenti verso chi ci offre strumenti atti a farci discernere il vero dal falso, come all'autore di questo manuale che ci comunica in modo chiaro ed esauriente ogni regola riguardante la perfetta visione.
Negli anni seguenti videro la luce la traduzione della Historia naturale e morale delle Indie del gesuita spagnolo José de Acosta (Venetia, B. Basa, 1596); lo Specchio e disciplina militare (ibid., E. Deuchino) di Francisco Valdes, seguito da un breve Discorso intorno al formare uno squadrone di gente e di terreno del G. stesso (ibid., C. Arrivabene, 1598: i due trattati verranno inseriti nella raccolta di testi sull'arte militare Fucina di Marte, ibid. 1641, pp. 327-365 e 366-374); la Margarita philosophica di Gregor Reisch (ibid., G.A. Somasco, 1599), una fortunata opera enciclopedica ristampata più volte dagli inizi del secolo. Il G. non si limitò a tradurre l'opera, ma l'aggiornò e la completò con l'aggiunta di altri trattati logici e scientifici, soprattutto di astronomia e di matematica, e anche sull'arte della memoria.
Fra le traduzioni del G. di particolare interesse e rilievo è quella dei quattro libri Della simmetria de i corpi umani di Albrecht Dürer, ai quali fu aggiunto un quinto libro volto a insegnare "con quai modi posseno pittori e scultori mostrare la diversità della natura degli uomini e donne e con quali le passioni" (ibid., D. Nicolini, 1591; R. Meietti, 1594).
Nelle pagine di dedica all'arciduca Massimiliano d'Asburgo il G. celebra la pittura che, penetrando nelle parti più segrete del nostro animo attraverso li occhi "come per fenestre dell'animo nostro, mentre elli sta rinchiuso in questa prigione", suscita nello spettatore le più diverse passioni, facendolo "e dolersi e rallegrarsi e desiderare e temere secondo le diversità delle cose". Il G. è consapevole della grande forza emotiva della pittura, e se le immagini dei santi padri incitano alla vita contemplativa, la visione del Giudizio universale di Michelangelo non può che indurre orrore e odio per i peccati. Nella prefazione ai lettori il G. sottolinea l'affinità tra pittura e poesia: essendo la prima "una poesia che tace" e l'altra "una pittura che parla", entrambe, l'una con le parole e l'altra con le immagini, si propongono di imitare le cose naturali e artificiali, ed entrambe devono conoscere a fondo le virtù e le passioni dell'animo umano. Il G. sottolinea l'estrema diversità dell'aspetto dei singoli individui, in connessione con la varietà delle loro inclinazioni naturali. Il bravo pittore deve conoscere a fondo le diverse membra, le loro funzioni e le disposizioni naturali di ognuno. Il G. non risparmia le critiche ai pittori coevi i quali, procedendo a caso e senza precetti, fiduciosi nella sola pratica, "come tanti Volcani vanno zoticando e come orbi vanno a tentoni e per soddisfare all'ignorante volgo riempiono di più colori che nel caos originario".
Oltre che a traduzioni di opere altrui nell'ultimo decennio del secolo il G. si dedicò alla stesura di opere proprie, privilegiando gli interessi matematico-astronomici che l'avevano appassionato fin dall'età giovanile e pubblicando una serie di testi che descrivono il modo di costruire e di utilizzare strumenti osservativi e vari tipi di orologi solari.
Nel 1590 pubblicò (Venetia, G. Perchacino) due trattati: il primo, intitolato Della fabrica et uso del novo horologio universale, è ancora dedicato a Sisto V, che gli aveva fatto sapere di apprezzare le sue opere, ed è seguito da Della fabrica et uso di un novo stromento fatto… per fare gli orologi solari. Nel 1593 vide la luce un volume di grande formato e con uno splendido frontespizio, lo Speculum Uranicum (ibid., D. Zenari), nella cui dedica al cardinale Francesco Mauroceno il G. ancora una volta tesseva l'elogio delle scienze celesti. Tre anni dopo il G. dette alle stampe la Nova fabricandi horaria mobilia et permanentia… ratio (ibid., G. Perchacino), preceduta da una dedica a magistrati della sua città natale, Salò, nella quale esprimeva tutta la propria gratitudine per la patria e rievocava alcuni momenti della propria vita.
Emigrato da molti anni a Venezia, ritenuta patria comune e centro del sapere, non aveva più avuto modo di soggiornare nella città d'origine per insegnare quanto aveva appreso con lunghi studi e fatiche. Ma adesso che aveva raggiunto una vasta fama in Italia e presso le altre nazioni, rendendo illustre il proprio nome e quello della città natale, era orgoglioso, "pene ovans ac victor", di riportare in patria i trofei della gloria conseguita.
L'anno seguente uscì un nuovo volume, in italiano, intitolato Della fabbrica e uso di diversi stromenti di astronomia e cosmografia (ibid., R. Meietti), nel quale l'autore passava in rassegna i diversi tipi di strumenti osservativi, sia antichi che recenti.
Il G. morì a Venezia intorno al 1621.
Fonti e Bibl.: C. Camilli, Imprese illustri, Venetia 1586, pt. II, pp. 72-74, 93-95; B. Grattarolo, Historia della Riviera di Salò, Brescia 1599, pp. 16, 71; S. Biralli, Delle imprese scelte, Venezia 1600, II, pt. 1, p. 2; pt. 2, p. 80; G. Ferro, Teatro d'imprese, Venezia 1623, II, p. 431; L. Cozzando, Della libraria bresciana, Brescia 1685, pp. 188 s.; I.G. Lunze, Academia Veneta seu della Fama in disquisitionem vocata, Lipsiae 1701, pp. 28-33; V. Peroni, Biblioteca bresciana, Brescia 1818-23, II, pp. 91-94; G. Brunati, Dizionarietto degli uomini illustri della Riviera di Salò, Milano 1837, pp. 70-72; P. Riccardi, Biblioteca matematica italiana, Modena 1870-72, pt. 1, vol. I, coll. 567-573; M. Maylander, Storia delle Accademie d'Italia, Bologna 1930, V, pp. 444-446; E. Damiani, Contributi del dr. Petar Kolendič allo studio delle fonti italiane nella letteratura serbo-croata, in Giornale storico della letteratura italiana, C (1932), p. 164; L. Thorndike, History of magic and experimental science, New York 1941, V, pp. 8 s., 151, 155; VI, pp. 60, 158-160; H. Bohern, A special copy of G.'s Theatrum mundi, in The Book Collector, XVIII (1969), 1, pp. 92 s.