NIGRA, Giovanni
NIGRA, Giovanni. – Nacque a Torino il 16 maggio 1798, primogenito di Giovanni Ignazio Felice e di Teresa Rignon.
Sposò giovanissimo Enrichetta Toesca dei conti di Castellazzo signori di Castellamonte originari di Saorgio (1790-1869), da cui non ebbe figli.
Contitolare della banca Nigra fratelli e figli, istituto privato torinese che affondava le radici nel commercio settecentesco delle sete, a 35 anni subentrò in qualità di presidente al padre, deceduto il 3 novembre 1833, ereditando il ruolo di banchiere delle corti pontificia e sarda. Nominato quello stesso anno decurione di Torino, entrò a far parte dell’amministrazione cittadina nei ranghi dei rappresentanti del ceto borghese, sedendo sullo scanno occupato dal padre nell’ultimo decennio.
Dopo aver attraversato, nel consiglio generale, nella congregazione e nella ragioneria, le tappe prescritte dal regio biglietto 8 dicembre 1767 – tornato in vigore con la Restaurazione e sostanzialmente invariato fino allo Statuto – poté accedere al grado supremo dell’amministrazione e il 31 dicembre 1845 fu nominato sindaco di seconda classe. Riconfermato il 29 ottobre 1846 per un triennio, cessò un anno prima della scadenza del mandato. L’editto 27 novembre 1847, emanato nell’ambito delle riforme preluse allo Statuto, sancì infatti l’eleggibilità dei consigli comunali e il conseguente tramonto degli antichi uffici; il corpo decurionale torinese, con il duplice istituto sindacale, sopravvisse fino alla sia pur ritardata applicazione della legge.
Dalla riconferma all’aprile 1848 Nigra continuò a presiedere gli organi dell’amministrazione civica, rappresentando inoltre la comunità a corte, a fianco del marchese Vittorio Colli di Felizzano, sindaco di prima classe, esponente dell’aristocrazia torinese. Con il collega sottoscrisse e rassegnò a Carlo Alberto il memoriale scaturito dalla seduta consiliare del 5 febbraio 1848, durante la quale Pietro di Santa Rosa, fattosi interprete dell’istanza del movimento liberale sostenitore delle riforme, aveva invocato la Costituzione. Il proclama reale che fissava i principi fondamentali dello Statuto fu pubblicato l’8 febbraio: il giorno seguente i due sindaci convocarono d’urgenza l’assemblea per deliberare festeggiamenti adeguati e Nigra si spinse a caldeggiare «l’offerta d’un terreno capace a contenere un edifizio da destinarsi alle sedute delle due Camere rappresentative» (Ordinati, 1848, p. 63), da acquisire con il concorso di «tutte le città e comuni dello Stato» (ibid., p. 69). Un mese dopo la grande festa patriottica del 27 febbraio ebbe inizio la prima guerra d’indipendenza nazionale. Chiamato dalla corte ad altro incarico, il 17 aprile il marchese Colli abbandonò il palazzo di Città: spettò pertanto al sindaco borghese affrontare il cambiamento in un clima turbato da agitazioni cittadine e imprevedute difficoltà. Da metà aprile ai primi di agosto egli lanciò appelli pacificatori, chiamò i giovani alla leva, radunò la milizia nazionale, sovrintese alla distribuzione dei soccorsi ai vecchi e ai nuovi poveri. La sospensione del conflitto, il 9 agosto, consentì al governo di riprendere in esame la riforma dell’amministrazione comunale, da cui scaturì il decreto legislativo 7 ottobre 1848, n. 807, sulle basi del quale Nigra varò rapidamente la prima operazione elettorale del capoluogo subalpino.
Il 4 novembre congedò l’ultimo Consiglio decurionale della storia torinese: premesso che «una nuova legge per i comuni, più consona ai tempi» scioglieva il «consesso che conta[va] secoli di vita» e prescriveva di rimettere l’amministrazione del Comune a nuovi consiglieri, tributò ai decurioni viva riconoscenza per la solerzia mostrata «nel disimpegno della cosa pubblica» (Ordinati, 1848, p. 730) e si accomiatò.
Il 7 novembre gli elettori chiamati alle urne tributarono a Nigra 936 voti; con lui, primo degli eletti, entrarono nella nuova compagine, in maggioranza borghese, altri 12 uomini dell’antico ordinamento. Degli 80 membri del rinnovato Consiglio torinese, 11 avevano ricevuto il laticlavio prima dell’elezione, tra questi Nigra, nominato senatore il 3 aprile 1848. Ceduta la poltrona al nuovo sindaco Luigi Demargherita, andò a sedere tra i consiglieri comunali, prendendo parte inoltre ai lavori del più ristretto consiglio delegato (1849, 1851-53) e di alcune commissioni. Ma il suo prestigio di gran banchiere lo portò prestoaltrove.
L’impegno amministrativo non aveva distolto l’attenzione di Nigra da operazioni finanziarie promettenti, patrocinate in primis dal conte di Cavour. Nel 1841, anno che in virtù di osmosi parentali con il ceto nobiliare lo vide tra i 40 fondatori dell’esclusiva Società del Whist, guardò con attenzione alla Compagnie savoyarde. Costituita nel 1838 con approvazione regia allo scopo di stabilire una più celere comunicazione tra Chambéry e il lago del Bourget per mezzo di una strada in ferro e di un canale navigabile con battelli a vapore, essa esigeva, infatti, nuovi e cospicui azionisti a causa dell’abbandono del banchiere Guillaume Forest. Nel 1847 aderì con le case bancarie Barbaroux e C., Vincenzo Vicino e C., G. Mestrezat e C. all’affaire della Banca di Torino; contemporaneamente, con vari banchieri torinesi e genovesi, tra cui i Ricci e i De La Rüe, e un gruppo di finanziatori ginevrini capeggiati da Édouard Pictet, tutti gros bonnets della finanza, s’interessò alla Società di Savigliano, ove era allo studio una linea ferroviaria da Torino verso il cuneese, caldeggiata da un gruppo di proprietari fondiari privi di mezzi sufficienti a sostenerne il peso. Subentrato nel 1848 a Giovanni Battista Barbaroux, titolare dell’omonima casa bancaria, alla presidenza della Compagnia di Assicurazioni contro gli incendi di Torino (attuale Toro Assicurazioni), ufficialmente costituita nel 1833 su impulso del padre, Nigra riformò l’ordinamento interno, sveltì le procedure di risarcimento e ampliò il raggio d’azione dell’istituto mediante contatti intensi e rapidi anche con i paesi esteri.
Forte del duplice prestigio di uomo di finanza esperto e di amministratore pubblico sagace, dopo la sconfitta di Novara fu chiamato a dare il primo assetto alle disastrate finanze subalpine nei governi presieduti da Gabriel de Launay e Massimo d’Azeglio. Ceduta la presidenza della banca e i lucrosi affari al fratello Felice, tenne il portafoglio delle Finanze dal 27 marzo 1849 al 19 aprile 1851: poco più di due anni durante i quali, anche con l’intermediazione del nipote, conte Stefano Gallina di Guarene, stipulò prestiti, invero onerosi, con la casa Rothschild e abbozzò vari progetti di legge, tra cui un piano di riforma fiscale inconcluso. All’onestà e alla dedizione di Nigra all’alto ufficio non corrisposero quell’abilità di atteggiamenti e quella prontezza di decisioni necessarie per risollevare il paese stremato dal debito. Le difficoltà oggettive, l’ostilità della Camera e specialmente la disistima e gli attacchi continui del conte di Cavour, divenuto nell’ottobre 1850 suo collega nel governo d’Azeglio, indussero infine Nigra a rassegnare le dimissioni. Il 19 aprile 1851 il re le accettò formalmente, conferendo la reggenza del ministero delle Finanze a Cavour, che già riuniva i portafogli della Marina e dell’Agricoltura e Commercio.
Insignito lo stesso 19 aprile del gran cordone dell’Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro, dopo le nomine a cavaliere e a commendatore, e deposta a dicembre nelle mani del banchiere Guglielmo Mestrezat la presidenza della Compagnia di Assicurazioni, Nigra partecipò ai lavori della Camera alta, anche in qualità di membro della commissione Finanze. Grazie alla piena fiducia di Vittorio Emanuele II, toccò l’apogeo della carriera succedendo al marchese Stanislao Cordero di Pamparato, esonerato nel 1853, nella carica di sovrintendente generale della lista civile e assumendo nel 1856 il titolo di ministro della Casa del Re, istituito con decreto 10 novembre dello stesso anno. In quel ruolo privilegiato, che prevedeva uno stipendio di 10.000 lire, il vecchio banchiere, nobilitato l’11 settembre 1856, divenne di fatto il filtro tra il monarca, i membri della corte e i funzionari interni ed esterni: una sorta di ‘eminenza grigia’, con in pugno i cordoni della borsa pubblica e privata del sovrano, in quanto anche procuratore del di lui patrimonio personale.
Quanto affidamento facesse Vittorio Emanuele II su Nigra è rivelato da una lettera indirizzatagli il 30 aprile 1859: «Io parto domattina per la campagna con l’esercito. Nella mia assenza vi affido tutto ciò che ho di più caro e prezioso: i miei figli, la mia casa. So di lasciarli a un altro me stesso. Ecco il mio testamento; se sarò ucciso, voi l’aprirete e avrete cura che tutto ciò che vi si trova sia eseguito. Io procurerò di sbarrare la via di Torino: se non ci riesco e che il nemico avanzi, portate al sicuro la mia famiglia e ascoltate bene questo: vi sono al Museo delle Armi quattro bandiere austriache prese dalle nostre truppe nella campagna del 1848 e là deposte da mio padre. Questi sono i trofei della sua gloria. Abbandonate tutto, al bisogno, valori, gioie, archivi, collezioni, tutto ciò che contiene questo palazzo, ma mettete in salvo quelle bandiere. Che io le ritrovi intatte e salve, come i miei figli. Ecco tutto quello che vi chiedo, il resto è niente» (Le Lettere di Vittorio Emanuele II, I, 1966, p. 509).
La famiglia reale e l’onore del casato vennero deposti dunque nelle mani di Nigra, che non mancò al suo compito né in guerra né in pace, vivendo all’ombra del «Gran re» fino alla morte, che lo colse a Torino il 12 dicembre 1865.
Fonti e Bibl.: Sulla carriera amministrativa: Torino, Arch. storico. della Città, Ordinati, 1833-48; Editti e Manifesti, 1848-49, vol. LIV (40 n.s.); Carte sciolte, n. 4750; Verbali della Giunta Municipale, 1865-66; Atti del Municipio di Torino, I, 1849-1850, Torino 1859. Sull’attività di banchiere e azionista: Santena, Archivio Cavour, Lettere a Cavour; Cursus honorum; L’Archivio Cavour. Inventario, a cura di G. Silengo, I-III, Santena 1974, ad indicem. Sui ruoli ministeriali: C. Cavour, Epistolario, a cura di C. Pischedda et al., II-XXI, Bologna-Firenze 1968-2012, ad ind.; Id., Tutti gli scritti, raccolti e curati da C. Pischedda - G. Talamo, II-III, Torino 1976-78, ad indicem. In particolare, sulla carica di ministro delle Finanze: Arch. di Stato di Torino, Archivio Radicati. Sulla funzione di ministro della Real Casa: Roma, Arch. centrale dello Stato, Ministero della Real Casa, serie speciale, Fascicoli personali di ministri reggenti e segretari generali della R. Casa, 1853-1894, m. 77 e m. 81; Le lettere di Vittorio Emanuele II, raccolte da F. Cognasso, I-II, Torino 1966. Inoltre: A. Manno, Il Patriziato subalpino, www.vivant.it, s.v.Toesca; V. Bersezio, Il Regno di Vittorio Emanuele II. Trent’anni di vita italiana, IV, Torino 1889; I cento anni della Compagnia Anonima d’Assicurazione di Torino, Torino 1933; A. Moscati, I ministri del Piemonte dopo Novara (1849-1860), Napoli 1952, pp. 18-22; R. Roccia, Gerarchia delle funzioni e dinamica degli spazi nel Palazzo di Città tra XVI e XX secolo, in Il Palazzo di Città a Torino, II, Torino 1987, pp. 9-71; 1848. Dallo Statuto albertino alla nuova legge municipale. Il primo Consiglio comunale elettivo di Torino, a cura di C. Pischedda - R. Roccia, Torino 1995; R. Roccia, Amministratori e amministrazione, in Storia di Torino, VI, La città nel Risorgimento (1798-1864), a cura di U. Levra, Torino 2000, pp. 437-457; G. Jocteau, La Toro Assicurazioni. Dal Regno di Sardegna alle soglie del Duemila, Torino 2000, pp. 14-24, 45-49; P. Gentile, L’immagine del re e della corte, in 1860-1861 Torino Italia Europa, a cura di W. Barberis, Torino 2010, pp. 77-103; Id., L’ombra del re Vittorio Emanuele II e le politiche di corte, Torino 2011, ad ind.; Cavour e i Gentlemen’s Clubs. Dal tempo dei giochi a quello della diplomazia e della guerra, Torino 2012, ad indicem.