BANDIERA, Giovanni Niccola (G. Niccolò)
Nacque a Siena nel 1695 da Giulio Girolamo e da Maria Vittoria Grilli. Il padre, professore di medicina nell'università di Siena, fu tra i dodici fondatori dell'Accademia dei Fisiocritici (1691). Dopo aver studiato filosofia e diritto ed aver per qualche tempo praticato la professione forense, nel 1719 il B. divenne sacerdote. Nel 1721 si trasferì a Roma, dove fu cappellano nell'oratorio di S. Girolamo della Carità e poté dedicarsi allo studio della letteratura, della storia e della teologia. Familiare dei principi Colonna, ebbe frequenti contatti col mondo intellettuale romano dell'epoca. Entusiasta della lingua e della cultura francese, scrisse, secondo la moda del cartesianesimo imperante, una Declamazione contro la poesia,rimasta inedita, e non nascose una spiccata ammirazione per l'opera di Pierre Bayle. Anzi, mentre in Toscana il granduca Cosimo III metteva al bando la filosofia democritea, considerata dottrina dei libertini, il B. scriveva all'erudito senese Uberto Benvoglienti, amico del Gigli e del Magliabechi, cercando di convincerlo che il Dictionnaire del Bayle era opera "dottissima e giudiciosissima" e che nessun autore non cattolico era "così indagatore delle verità dei fatti storici" quanto il filosofo francese.
Nell'aprile del 1725, in una lettera inviata da Roma, il B. chiedeva al Benvoglienti di poter essere nominato Accademico Intronato; non spiegava la ragione della richiesta, ma dopo aver deplorato la difficoltà che un senese non nobile incontrava per ottenere di farne parte, dichiarava con fermezza di non volersi per nulla "impacciare d'Arcadia". Fu accolto nell'Accademia degli Intronati col nome di "Imbrogliato", e si iscrisse anche a quella dei Rozzi dove prese il nome di "Scartato".
Nell'estate del 1726 si recò a Napoli (dove tornò anche nell'inverno dell'anno seguente) ed ivi conobbe Giambattista Vico, che il B. in un resoconto al Benvoglienti accusava di essere talmente affettato nel parlare da degenerare "in un vero seccatore", oltre che di essere incapace di giudicare con equità le opere dei filosofi d'oltr'Alpe per le molte prevenzioni contro di essi e in special modo contro i francesi. Scriveva al Benvoglienti che, dopo aver letto la risposta del Vico al De Vitry e la sua orazione per la morte della contessa d'Althan, non poteva considerarlo "uomo di gran criterio", e in questo giudizio sottoscriveva le critiche che la cultura settecentesca dei dizionari storici e scientifici opponeva alle critiche severe del Vico.
La prima opera a stampa del B. uscì nel 1733 a Roma: è un saggio sulla vita di Agostino Dati, oratore, storico e segretario della Repubblica senese dal 1457 al 1474, con un catalogo ragionato delle sue opere (De Augustino Dati Libri II ad I. Vincislauni Piccolomineum Aragoniuni S. R. I. principem).
L'opera, che ebbe vari consensi di critica, doveva costituire, secondo il B., solo la prima parte di un lavoro di maggiore impegno (di cui continuò ad occuparsi per oltre vent'anni) intorno alla vita dei maggiori scrittori senesi. Alcuni appunti per questa raccolta si trovano in un ms. della Bibl. Com. di Siena (Z. I. 11) intitolato Bibliotheca Senensis sive Memoriae Scriptorum Senensium. Cura et studio Jo. Nicolai Bandierae Senensis Presb. Oratori S. Hieronymi Charitatis, con una introduzione dell'abate G. Fabiani, raccoglitore degli scritti e continuatore dell'opera.
Uno studio del B. su Enea Silvio Piccolomini stava per uscire a Roma nel 1734 quando un veto ecclesiastico ne impedì la stampa. Le ragioni della proibizione sono ignote, ma forse si devono ricercare nel fatto che il B. aveva trattato con eccessiva disinvoltura il periodo della giovinezza del pontefice. La voluminosa opera (De Aenea Sylvio, qui fuit Pius II, libri tres, ad Clementem XII Pontif. Maxim.), rimasta inedita, si trova ms. nella Bibl. Com. di Siena (K. IV. 31) ed è ignorata dai biografi anche moderni di Pio II.
Nel 1740 il B. pubblicò a Venezia, anonimo, un Trattato degli studj delle Donne in due parti diviso. Opera d'un Accademico Intronato,che attirò subito l'attenzione per l'originalità delle tesi esposte e per la spregiudicatezza di certe affermazioni. Intorno al libro e al suo autore si accesero numerose polemiche e a Roma si tentò anche di mettere l'opera all'Indice, ma senza effetto.
Il Trattato voleva dimostrare come non solo agli uomini, ma anche alle donne convenissero gli studi più severi e impegnativi, come quelli della filosofia, della fisica e della teologia. Per questo riconoscimento delle capacità muliebri, il B. fu generalmente definito "un bello spirito", ma alcune sue affermazioni sulla falsità di certe notizie contenute in un libro dei pp. filippini A. Gallonio e P. Bacci dedicato alla vita di S. Filippo Neri, e su un presunto giudizio poco lusinghiero dei cardinal Bembo relativo alle Epistole di s. Paolo, scatenarono aspre polemiche specie tra i filippini. Anche il Muratori (col quale il B. era in corrispondenza almeno dal 1728), in una lettera a G. Lami del 4 ag. 1741, giudicò negativamente l'opera dello scrittore senese: "Veggo da i giornali pettinato l'autore de gli Studi delle Donne, e con ragione; ma sopra un solo punto. Ve ne restano molt'altri che chiamano risposta". Non meno severo nei confronti dei B. era stato il Benvoglienti, che nei suoi Scrittori Senesi lo aveva definito, non a torto, come "giovane di vivace ingegno, ma, come quei, che sono di pronto talento, sono per lo più poco diligenti, così questo giovane è poco diligente, non iscrive molto bene in lingua toscana".
Placatasi la polemica sul Trattato, il B. intraprese insieme con il carmelitano P. Cacciari una nuova edizione degli scritti di s. Leone, in contrapposizione a quella già proibita del giansenista Pascasio Quesnel. Il lavoro però fu interrotto e il Cacciari pubblicò da solo nel 1753 il primo volume delle opere di s. Leone. Al B. rimase il manoscritto delle Vindiciae in Paschasiuni Quesnellium, comprendenti una vita del santo e undici dissertazioni per la maggior parte polemiche contro il Quesnel.
Nel 1750 gli fu conferita una cattedra di teologia a Torino, ma Benedetto XIV, suo protettore, lo fece rimanere a Roma, assegnandogli anche una pensione sulla sua borsa privata.
Il B. morì nell'oratorio di S. Girolamo della Carità nel 1761.
Fonti e Bibl.: Siena, Bibl. Com., ms. Z. I. 8, U. Benvoglienti, Scrittori Senesi, II, f. 300; ms. E. IX., Id., Lettere,V,pp. 7, 13, 116; XXI, p. 132; XXV, pp. 7, 35, 44, 64; ms. p. IV. 10, Bibliografia degli scrittori senesi, ad vocem.; ms. Z. OO. 31, Raccolta biografica d'illustri senesi…, I, ff. 40-42; Modena, Bibl. Estense, Arch. Soli-Muratori, filza 52, fasc. 28, quattro lettere del B. al Muratori (1728, 1730, 1731, e s. d.); L. A. Muratori, Lettere inedite scritte a Toscani, Firenze 1854, pp. 365, 487; Novelle Letterarie,II,Firenze 1741, coll. 469-477; G. Parisotti, Apologia del card. Pietro Bembo...,in Raccolta d'opuscoli scientifici e filologici, a cura di A. Calogerà, XXIX, Venezia 1743, pp. 1-51; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II,1 Brescia 1758, pp. 212-214; Delizie degli eruditi toscani, II,Firenze 1771, p. 134; D. Moreni, Bibliografia storico-ragionata della Toscana,I,Firenze 1805, p. 70; L. De Angelis, Biografie degli scrittori senesi, Siena 1824, pp. 50-53; A. Lombardi, Storia della letteratura italiana nel sec. XVIII,IV,Venezia 1832, p. 155; F. Nicolini, Una visita di G. N. B. a Giambattista Vico,in Bullett. senese di storia patria,XXIII (1916), pp. 251-265; M. Provasi, La colonia Arcade senese, ibid., XXX (1923), p. 152; B. Croce-F. Nicolini, Bibliografia vichiana, I, Napoli 1947, pp. 197 s. 272; B. Talluri, G. N. B. e il "Dictionnaire" di Pierre Bayle,in Studi senesi,s. 3, LXXII (1960), pp. 493-499.