MIROBALLO, Giovanni
– Nacque presumibilmente a Napoli nell’ultimo decennio del XIV secolo, in una famiglia nobile.
Il fratello Girolamo, dottore in utroque, fu presidente della Sommaria nel 1448, ufficiale del Sacro Regio Consiglio nel 1449 e lettore nello Studio di Napoli.
Rimane incerto il rapporto di parentela del M. con Salvatore Miroballo, precedente responsabile della Camera della Sommaria e regio commissario per la distribuzione del sale in Principato Citra (Leone, 1977, p. 272), come rimane dubbio quello con Antonia Miroballo, moglie di Minico di Luciano di Domenico D’Afflitto (Feniello, p. 88).
La sua attività di banchiere si affermò soprattutto durante il regno di Alfonso V d’Aragona (1442-58). Il M., che portava i titoli di miles e di regius consiliarius, negli anni 1420-21, 1426 e 1436 fu governatore dell’ospedale dell’Annunziata; nel 1448 ottenne dal re una pensione annua di 500 ducati d’oro. Dal 1456 fino alla morte fu presidente della Regia Camera della Sommaria, tra gli uffici più prestigiosi del Regno; nel 1459 fu maestro della Zecca.
I suoi beni a Napoli erano ubicati nel quartiere di Portanova: nella «platea Scalesie», dove nel 1446 acquistò parte di un edificio dai fratelli Coluccio, Loise e Domenico D’Afflitto (mercanti originari di Scala nell’Amalfitano); nel luogo detto «a li Gattuli», dove dallo stesso Domenico D’Afflitto e da suo figlio Luciano comprò nel 1450 «quasdam domos in pluribus et diversis membris» per la somma di 1100 ducati; e nella strada denominata dei «Caldarari», in prossimità di alcune botteghe appartenenti al monastero benedettino dei Ss. Severino e Sossio. Nello stesso quartiere fin dal 1444 aveva comprato presso la loggia dei Genovesi un bene già demaniale, il cui possesso gli fu confermato dal re nel 1451. Nel 1452 acquistò le località di Gragnano, Lettere e Positano nel Principato Citra e di Vieste nella Capitanata.
L’attività bancaria, avviata probabilmente nel 1444, si fondò dapprima sullo sconto di crediti che altri operatori vantavano verso la corte, talora di importo considerevole (nel 1447 il banco del M. rilevò un credito di 2000 ducati dal mercante valenzano Pere de Mila). Ciò condusse a un rapporto sempre più stretto del banco con la Tesoreria regia, tanto che Alfonso dispose nell’ottobre 1448 «que en lo dit banch vinguen totes les sue peccunies e per aquell sien pagats tots provisionats e salariats e deutes deguts per la sua cort a qualsevol persones» (Gentile, 1938). In seguito a questo provvedimento, l’orizzonte e il ritmo degli affari si estesero rapidamente. Il 18 luglio 1449 fu ammessa una deroga al provvedimento: «non obstante ordinatione regia facta quod omnes pecunie Regie Curie deponantur in bancho militis Iohannis de Miroballis» (Fonti aragonesi, I).
Fu aperta una filiale a Palermo, amministrata da un certo Giovanni de Vinaga; furono stabiliti assidui contatti con il valenzano Mateu Pujades, nominato dal re nel giugno 1439 «tesorero general» di tutti i suoi domini, così «ultra» come «citra mare», e soprattutto fu intensificato il remunerativo traffico cambiario con Valenza: la lettera di cambio era infatti lo strumento preferito dal re aragonese per ottenere in prestito dai banchieri e dagli uomini d’affari le grosse somme che gli erano necessarie per la sua politica italiana e le sue spese. Si può ritenere, dunque, che il ruolo assunto dal banco Miroballo al tempo di Alfonso V abbia prefigurato quello svolto a Napoli nella seconda metà del secolo dal grande banco fiorentino di Filippo Strozzi il Vecchio.
Nel 1460 il M. fu imprigionato da re Ferdinando I, il quale – subita la dura sconfitta di Sarno a opera dei baroni ribelli che sostenevano il pretendente al trono Giovanni d’Angiò – ricattò i mercanti più facoltosi, a suo giudizio «ingrassati de’ dinari del padre», esigendo da loro un gravoso sostegno finanziario. In questa occasione il re dichiarò apertamente che se non si fosse «aiutato con le robe d’esso messer Johanne», avrebbe corso «periculo de perdere tutto il Regno» (Silvestri). Il M. fu tuttavia liberato in breve tempo per intercessione del pontefice Pio II.
Morì a Napoli nel 1465, lasciando eredi universali, con testamento redatto dal notaio Andrea D’Afeltro, i quattro figli superstiti e i nipoti Giovanni Maria e Rinaldo, figli del defunto Alberico.
Il M. aveva sposato Caterina Abate, con cui aveva avuto cinque figli maschi: Alberico (che sposò Mariella Bozzuto e morì nel 1458), Carlo, mercante e armatore (una sua nave fu catturata dai Genovesi il 29 giugno 1457), Nicola, arcivescovo di Amalfi (1460-75), Simonetto, a sua volta maestro della Zecca nel periodo 1468-70 e Antonio.
Antonio, anch’egli miles e regius consiliarius, nel 1452 presidente della Regia Camera della Sommaria, fu maestro della Zecca di Napoli nel 1459, poi maestro portolano della provincia di Terra di Lavoro con una provvigione annua di 200 ducati d’oro, ufficio che deteneva ancora nel 1499 e, soprattutto, fu governatore del Principato Citra con lo stipendio di 300 ducati. In quest’ultima veste il 20 nov. 1487 ricevette da re Ferdinando I una lettera di grande interesse per la storia dell’amministrazione della giustizia nel Regno meridionale: «circa l’administratione di essa iustitia usate omne diligentia, preponendo quella ad omne altra faccenda, imperò che cosa alcuna non porriamo intendere che più ne piacesse che ad ciascuno nostro suddito et vassallo per li nostri officiali in le provincie deputati fosse administrata iustitia prompta et expedita» (Regis Ferdinandi I instructionum liber). Nell’autunno 1486, a nome della corte, raccolse l’omaggio della baronia di Flumeri e di tutte le città e terre che il principe di Altamura, il marchese di Bitonto e il conte di Nola possedevano nella Terra di Bari e in Basilicata. Il 1° apr. 1487 fu inviato a Sulmona per imporre a due abitanti della città, Pietro Gagliardo e Pietro de Salvato de’ Merlini, di recarsi con urgenza nella capitale come ordinava loro la regina Giovanna d’Aragona; poco dopo ebbe il compito di custodire i beni del duca di Melfi Giovanni Caracciolo e dei baroni ribelli nel Principato Citra. Infine nel 1498 acquistò la gabella dello scannaggio (macellazione) di Secondigliano per 100 ducati.
Ereditò dal M. la cittadina di Vieste, che fece ricostruire dopo la distruzione e il saccheggio da parte dei Turchi nel 1480. La restituì poi alla corte – che intendeva donarla al «gran capitano Fernándes de Córdoba» –, acquisendo in cambio i diritti del passo di Sanseverino e la terra di San Giorgio, già del ribelle principe di Salerno. Nel 1490 figura tra gli estauritari (i corresponsabili della gestione economica e religiosa) «venerabilis estauritae plateae Sedilis Portae novae Civitatis Neapolis».
Sposò Eusebia Violante, che uccise subito dopo la nascita del figlio Cesare, convinto di non essere il padre del bambino. Una sentenza solenne del 1484 gliene attribuì invece la legittima paternità. Morì verosimilmente agli inizi del 1513, giacché al giugno di quell'anno risale una lettera significatoria della Camera della Sommaria all’erede, connessa appunto con la sua morte.
Fonti e Bibl.: Per la documentazione archivistica relativa alle attività del banco, conservata soprattutto nell’Archivo del Reino de Valencia: H. Lapeyre, Alphonse V et ses banquiers, in Le Moyen Age, LXVII (1961), pp. 93-106. C. De Lellis, Notamentum ex registro privilegiorum 2° regis Ferdinandi annorum 1487 et 1488, in Archivio storico campano, I (1889), 1, p. 118 (20 apr. 1488; per Antonio); P. Gentile, La politica interna di Alfonso V d’Aragona nel Regno di Napoli dal 1443 al 1450: documenti tratti dall’Archivio di Stato di Napoli, Montecassino 1909, p. 87; Regis Ferdinandi I instructionum liber, a cura di L. Volpicella, Napoli 1916, pp. 369 s. (per Antonio); Regesto della Cancelleria aragonese di Napoli, a cura di I. Mazzoleni, Napoli 1951, pp. 2, 6, 8, 130 (pp. 78, 85, 163 per Antonio); Fonti aragonesi, I, a cura di I. Mazzoleni, Napoli 1957, p. 75; III, a cura di B. Mazzoleni, ibid. 1963, pp. 19, 22 (1452); IV, a cura di C. Salvati, ibid. 1964, pp. 3, 9, 16, 90 s., 93, 110 s. (1444-48); VIII, a cura di B. Ferrante, ibid. 1971, p. 47 (1442); X, a cura di A.M. Compagna Perrone Capano, ibid. 1979, pp. 111 s., 114-116 (1443); Dispacci sforzeschi da Napoli, II (4 luglio 1458-30 dicembre 1459), a cura di F. Senatore, Salerno 2004, pp. 76, 375; N. Toppi, De origine omnium tribunalium nunc in Castro Capuano fidelissimae civitatis Neapolis existencium, Neapoli 1665, p. 174; B. Aldimari, Memorie historiche di diverse famiglie nobili, Napoli 1691, pp. 660-662; A. Galietti, Memorie de’ personaggi illustri della famiglia Miroballo d’Aragona, Napoli 1785, p. XXI; L. Giustiniani, Memorie istoriche degli scrittori legali del Regno di Napoli, Napoli 1787, II, p. 141; Memorie delle famiglie nobili delle province meridionali d’Italia, a cura di B. Candida Gonzaga, VI, Napoli 1882, p. 114 (per Antonio); G.I. Cassandro, Lineamenti del diritto pubblico del Regno di Sicilia Citra farum sotto gli Aragonesi, in Annali del Seminario giuridico economico della R. Università di Bari, VI (1934), 2, p. 70 (per Antonio); P. Gentile, Lo Stato napoletano sotto Alfonso I d’Aragona, in Archivio storico per le province napoletane, LXIII (1938), pp. 28 s. (anche per Alberico); A. Silvestri, Sull’attività bancaria napoletana durante il periodo aragonese. Notizie e documenti, in Bollettino dell’Archivio storico del Banco di Napoli, VI (1953), pp. 87 s.; A. Ryder, Alfonso d’Aragona e l’avvento di Francesco Sforza al Ducato di Milano, in Archivio storico per le province napoletane, s. 3, I (1962), p. 19; M. Del Treppo, I mercanti catalani e l’espansione della Corona d’Aragona nel secolo XV, Napoli 1972, p. 509 (per Carlo); A. Ryder, The Kingdom of Naples under Alfonso the Magnanimous. The making of a modern State, Oxford 1976, pp. 100 s., 120, 132, 158, 178, 182-188, 190, 198, 251; A. Leone, Amalfi e il suo commercio nel secolo XV, in M. Del Treppo - A. Leone, Amalfi medioevale, Napoli 1977, pp. 202 (per Alberico), 272; Il giornale del Banco Strozzi di Napoli (1473), a cura di A. Leone, Napoli 1981, p. 608 (per Carlo); M. Del Treppo, Il Regno aragonese, in Storia del Mezzogiorno, IV, Il Regno dagli Angioini ai Borbone, Roma 1986, pp. 146 s.; G. Navarro Espinach - D. Igual Luis, Mercaderes-banqueros en tiempos de Alfonso el Magnánimo, in La Corona d’Aragona ai tempi di Alfonso il Magnanimo. XVI Congresso internazionale di storia della Corona d’Aragona, Napoli-Caserta-Ischia … 1997, Napoli 2000, pp. 956-961; D. Igual Luis, Entre Valencia y Napoles. Banca y hombres de negocios desde el reinado de Alfonso el Magnánimo, in En la España medieval, XXIV (2001), pp. 104-143; G. Navarro Espinach - D. Igual Luis, La Tesorería general y los banqueros de Alfonso V el Magnánimo, Castellón de la Plana 2002, ad ind.; R. Di Meglio, Confratelli, maestri, governatori, in G. Vitolo - R. Di Meglio, Napoli angioino-aragonese. Confraternite, ospedali, dinamiche politico-sociali, Salerno 2003, p. 111; A. Feniello, Mercanzie e cariche pubbliche: la fortuna dei d’Afflitto, uomini d’affari napoletani del XV secolo, in B. Casale - A. Feniello - A. Leone, Il commercio a Napoli e nell’Italia meridionale nel XV secolo. Fonti e problemi, a cura di A. Leone, Napoli 2003, pp. 76, 79, 88; M. Del Treppo, «El tornar de los cambios me destruye», in Mediterraneo, Mezzogiorno, Europa. Studi in onore di C.D. Fonseca, a cura di G. Andena - H. Houben, Bari 2004, p. 416; S. Bernato, I «pigionanti» del monastero dei Ss. Severino e Sossio di Napoli (1482-1496), in Schola Salernitana. Annali, X (2005), p. 273.