MESSE, Giovanni
– Nacque a Mesagne, presso Brindisi, il 10 dic. 1883, quinto degli undici figli di Oronzo, mastro muratore, e di Filomena Argentieri. Le difficili condizioni economiche della famiglia lo fecero entrare giovanissimo nel mondo del lavoro come apprendista muratore, senza neppure completare gli studi elementari.
Appena diciottenne, scelse la carriera militare arruolandosi, il 31 dic. 1901, nel plotone allievi sergenti del 45° reggimento fanteria. Caporale il 30 giugno 1902 e caporalmaggiore il 30 settembre, il M. ottenne, il 30 giugno 1903, i galloni da sergente, venendo poi assegnato al 5° reggimento fanteria.
Il 5 settembre dello stesso anno partì volontario per la Cina, assegnato alle truppe italiane che vi erano di stanza dopo la rivolta dei boxers. Rimpatriato nel maggio 1905 e divenuto furiere il 31 dicembre, il M. fu promosso maresciallo di compagnia il 31 dic. 1907 e maresciallo di 3ª classe il 1° apr. 1908. La naturale predisposizione alla vita militare, la volontà e l’applicazione di cui aveva dato prova in quegli anni ebbero il loro sbocco naturale nell’ammissione del M. al corso speciale per sottufficiali della Scuola militare di Modena, da cui uscì come sottotenente il 17 sett. 1910, dopo esser stato, nell’anno iniziale del corso, primo su 61 allievi.
Assegnato all’84° reggimento fanteria, nell’ottobre 1911 partì per la Libia, dove ebbe modo di distinguersi nei fatti d’arme di Sidi Messri e Zanzur ottenendo una croce di guerra al valor militare, prima di una lunga serie di decorazioni. Rimpatriato per malattia il 10 sett. 1912 e promosso tenente, il M. tornò in Libia il 31 ott. 1913 e fu promosso capitano il 1° sett. 1915. Allo scoppio della prima guerra mondiale chiese più volte di essere trasferito sul fronte italo-austriaco, ma solo il 29 genn. 1917 gli fu consentito di raggiungerlo, assegnato al 57° reggimento fanteria.
Assunse il comando del I battaglione, che per la lunga permanenza in linea era ridotto in condizioni precarie, riorganizzandolo e riportandolo poi al combattimento nei pressi di Gorizia, meritandosi, a maggio, una prima medaglia d’argento al valor militare. Ad agosto, rientrato in anticipo da una licenza, guidò il battaglione alla conquista delle posizioni nemiche sul Veliki Vhr, guadagnando una seconda medaglia d’argento e rimanendo ferito. Fu di nuovo ferito in ottobre, nel corso di una ricognizione oltre le linee durante la battaglia della Bainsizza, ottenendo una medaglia di bronzo e lasciando il fronte solo dietro esplicito ordine.
Promosso maggiore e curato presso l’ospedale militare di Milano, il M. poté riprendere servizio solo in dicembre, dopo gli eventi di Caporetto. Il 16 genn. 1918 prese il comando del VI – poi IX – reparto d’assalto, che riordinò rapidamente.
Nell’ambito dei reparti degli arditi, istituiti da meno di un anno, le capacità del M. come comandante e trascinatore di uomini ma, al tempo stesso, organizzatore accurato e ufficiale attento alle necessità della truppa, vennero valorizzate al massimo. Il massiccio del Grappa, nella primavera-estate del 1918, fu il terreno sul quale il IX reparto d’assalto del M., inquadrato nel IX corpo d’armata, si trovò a operare, dapprima, a maggio, sull’Asolone e poi, nel corso della battaglia iniziata il 15 giugno, per la riconquista degli ultimi vitali caposaldi sul ciglio dell’altopiano – il Fagheron, il Fenilon, il col Moschin e, di nuovo, l’Asolone – meritando al reparto una medaglia d’oro e al M. una d’argento insieme con la croce di cavaliere dell’Ordine militare di Savoia. Il IX venne poi ritirato dalla linea, tornando al fronte per l’offensiva finale, sempre nella zona dell’Asolone, dove il M., il 29 ottobre, rimase ferito alla gamba sinistra e ottenne la promozione a tenente colonnello per merito di guerra.
Nel dopoguerra, sciolto il IX reparto d’assalto, il M., dopo un brevissimo periodo al 1° reggimento fanteria, il 24 apr. 1919 passò al comando degli arditi del corpo d’armata di Roma e poi, in Friuli, al 1° reggimento d’assalto. Con il ricostituito IX venne inviato, nel giugno 1920, a Valona e il 19 ebbe un violento scontro con gli insorti albanesi nei pressi della città, per il quale meritò una croce di guerra, venendo subito dopo rimpatriato per una grave forma di enterocolite che lo allontanò dal servizio fino ai primi di settembre quando fu assegnato, su sua richiesta, al 2° reggimento bersaglieri.
Nel 1921, mentre a Roma era incaricato della commissione permanente collaudi e giudice supplente presso il tribunale militare speciale, sposò, a Castelfranco Veneto, Maria Venezze, conosciuta durante la guerra in un ospedale militare dove prestava servizio come crocerossina, da cui ebbe due figli.
Con decorrenza 15 apr. 1923, il M., grazie alla brillante carriera e alle medaglie di cui era stato insignito, venne nominato aiutante di campo effettivo del re, un incarico abitualmente conferito a ufficiali di estrazione nobile e altoborghese.
I successivi quattro anni, trascorsi in questo ufficio, fornirono al M. l’occasione opportuna per allargare la sua conoscenza del mondo e per riprendere gli studi in vista dei futuri comandi, dal momento che grado ed età non gli avrebbero consentito di frequentare la Scuola di guerra.
Nell’aprile 1927 fu nominato, secondo consuetudine, aiutante di campo onorario del re e assegnato al 9° reggimento bersaglieri, di stanza ad Asti, di cui assunse il comando, con la promozione a colonnello, il 28 giugno. Nell’aprile 1929 il 9° bersaglieri venne trasferito a Zara e nella nuova sede il M., come ufficiale più elevato in grado, fu anche comandante del presidio della città, che rappresentava allora un’isolata testa di ponte italiana sulla costa iugoslava.
Il M. si trovò quindi a svolgere anche incarichi, talvolta di delicata natura politico-militare, che andavano al di là delle normali competenze di un comandante di reggimento.
Nel settembre 1935 fu richiamato per breve tempo a Roma e, dal 20 ottobre, destinato a Verona, quale facente funzione di comandante della III brigata celere. Il 1° genn. 1936, con la promozione a generale di brigata, ne divenne comandante titolare, ma per breve periodo, dato che a fine febbraio si imbarcò a Napoli con destinazione Eritrea.
Il M. rimase in Africa fino al successivo settembre come vicecomandante della divisione Gavinana, la quale, però, non ebbe modo di partecipare attivamente alla guerra italo-etiopica.
Destinato, dal 1° nov. 1936, all’ispettorato truppe celeri, il 1° apr. 1938 fu assegnato alla 3ª divisione celere principe Amedeo duca d’Aosta, a Verona, di cui assunse il comando dal 30 giugno, contestualmente alla promozione a generale di divisione; vi rimase sino al giugno 1940, salvo un breve periodo – nell’aprile 1939 – quando, come vicecomandante del corpo di spedizione, partecipò all’occupazione dell’Albania alla guida della colonna principale, sbarcata a Durazzo con destinazione Tirana.
I maggiori ostacoli all’operazione, peraltro conclusa con facilità, vennero più che dalla resistenza albanese, appena accennata, dalla scarsa preparazione logistica e dall’affrettata e improvvisata composizione del corpo di spedizione, di cui, peraltro, non si può fare carico al M., il quale ricevette, nell’occasione, la nomina a ufficiale dell’Ordine militare di Savoia.
Nel maggio 1940, alla vigilia dell’entrata in guerra dell’Italia, il M. fu nominato comandante interinale del corpo d’armata celere e, già nel novembre, dopo un incontro con B. Mussolini, destinato all’Albania come comandante di un costituendo corpo d’armata di rottura. L’evoluzione negativa della campagna di Grecia, però, lo trasbordò, dal 19 dicembre, al comando del corpo d’armata speciale, ancora incompleto, con il quale riuscì a contenere l’avanzata nemica diretta su Valona. Dopo la fallita offensiva del marzo 1941, le truppe al comando del M. parteciparono all’ultima fase della campagna e, dopo l’armistizio con la Grecia firmato a Salonicco (23 aprile), furono destinate alla zona di Atene. Al termine delle operazioni il M. ebbe la promozione a generale di corpo d’armata per merito di guerra e fu in forse per la nomina a sottosegretario alla Guerra, rimpatriando nel giugno 1941. Dopo aver organizzato in Italia i corsi per capisquadra, dei quali in Grecia si era avvertita la necessità, il 17 luglio il M. venne inviato direttamente a Vienna per sostituire il generale F. Zingales, ammalatosi, nel comando del corpo di spedizione italiano in Russia (CSIR, un corpo d’armata su tre divisioni), in corso di trasferimento verso l’Unione Sovietica.
La radunata, l’invio in linea e la prima presa di contatto con il nemico, nel settembre, assorbirono inizialmente tutta l’attenzione del M., mentre continuava l’avanzata nel bacino del Donez fino al sopraggiungere dell’inverno. Alle difficoltà della guerra, aggravate dalla quasi totale mancanza di mezzi corazzati e dalla scarsa motorizzazione delle truppe italiane, si aggiungevano i rapporti non sempre facili con i Tedeschi e i problemi legati ai rifornimenti (per quanto riguardava l’equipaggiamento invernale il M. cercò di provvedere anche attraverso acquisti diretti in Ungheria e Romania). Dopo la battaglia di Natale, fermato il contrattacco russo, il CSIR rimase sulle sue posizioni fino all’offensiva estiva, raggiungendo poi la linea del Don. Nell’estate, intanto, contro il parere del M. che aveva sconsigliato l’invio di altre grandi unità con fanterie appiedate, e soltanto con artiglierie e servizi motorizzati, dall’Italia giunse l’8ª Armata (Armir - Armata italiana in Russia) su due corpi d’armata che si andarono ad aggiungere al CSIR, divenuto XXXV corpo d’armata; i rapporti del M. con il comandante dell’8ª armata, il generale I. Gariboldi, si deteriorarono nel giro di poche settimane, determinando la richiesta di rimpatrio del M., poi esaudita il 1° novembre. Dall’esperienza in Russia questi riportò la nomina a generale d’armata per merito di guerra, con decorrenza 15 nov. 1942, la nomina motu proprio del re a commendatore dell’Ordine militare di Savoia, una croce di ferro di 2ª classe e una di 1ª, oltre a quella di cavaliere dello stesso Ordine conferitegli dai Tedeschi.
Il 23 genn. 1943, convocato a Roma, il M. fu ricevuto dal capo di stato maggiore generale U. Cavallero e poi da Mussolini, e nominato comandante della 1ª armata che difendeva i confini della Tunisia dalle truppe britanniche che incalzavano dalla Libia, mentre la 5ª armata tedesca li difendeva da quelle americane e francesi provenienti dall’Algeria.
L’incarico non era dei più ambiti: la 1ª armata era composta dai superstiti delle campagne di Libia e da alcune divisioni frettolosamente sbarcate nel novembre dell’anno precedente, con pochi mezzi corazzati mentre i rifornimenti dall’Italia si facevano sempre più difficili. Pure, sotto il comando del M., queste truppe offrirono quella che fu forse la migliore prova dell’esercito italiano nel corso della seconda guerra mondiale, per riconoscimento dello stesso nemico che credette di avere di fronte le forze tedesche del maresciallo E. Rommel. Le battaglie difensive del Mareth, dell’Akarit e degli Chotts e quella di Enfidaville permisero alla 1ª armata di resistere fino al 12 maggio, quando, dopo la resa dell’armata tedesca e con l’esplicito ordine di Mussolini, che lo nominava al contempo maresciallo d’Italia, anche il M. dovette arrendersi, con i suoi, all’8ª armata britannica.
Condotto in Inghilterra come prigioniero di guerra, dopo l’armistizio dell’8 settembre il M. non ebbe dubbi sulla via da seguire: convinto monarchico quale egli era, liberato, rientrò in Italia per assumere un incarico di vertice con il parere favorevole degli Alleati ma con lo scarso gradimento del maresciallo P. Badoglio, allora presidente del Consiglio dei ministri, del cui entourage il M. non aveva mai fatto parte. Nonostante Badoglio cercasse di metterlo da parte proponendogli l’incarico, puramente onorifico, di ispettore generale dell’Esercito, dal M. decisamente respinto, il re, il 18 novembre, lo nominò capo di stato maggiore generale. L’incarico, protrattosi per un anno e mezzo, si presentava difficile e delicato.
Si doveva procedere al riordinamento delle truppe presenti in Italia meridionale e a schierare al fronte quanti più reparti fosse possibile, nonostante lo stato di generale confusione e sbandamento, la mancanza di mezzi e la cattiva volontà degli Alleati, che preferivano disporre di una massa di manovra da impiegare in compiti logistici e ausiliari piuttosto che di reparti combattenti che avrebbero potuto dare all’Italia una qualche voce in capitolo a guerra conclusa. Il M., anche se con difficoltà, riuscì tuttavia a passare dall’esiguo I raggruppamento motorizzato del novembre 1943 al corpo italiano di liberazione, forte, nella primavera del 1944, di 25.000 uomini, cui si sostituirono, nell’autunno dello stesso anno, sei gruppi di combattimento – equivalenti ad altrettante divisioni – cinque dei quali presero poi parte all’offensiva finale della campagna d’Italia. Difficoltà ugualmente rilevanti dovette affrontate sul fronte interno a cominciare dai problemi relativi all’epurazione degli ufficiali dell’esercito compromessi con il passato regime, o responsabili della mancata reazione ai Tedeschi dopo l’8 settembre, epurazione che il M. avrebbe voluto restringere, inizialmente, solo a generali e colonnelli; inoltre si doveva tenere conto del clima politico ostile alla monarchia e, di conseguenza, alle forze armate regie, che il M. difese per dovere d’ufficio e per convinzione.
La situazione peggiorò con il governo Bonomi, data anche la presenza delle sinistre nella compagine governativa. Sotto la spinta dei partiti e dell’opinione pubblica, con l’avvicinarsi della fine del conflitto, fu più facile ridurre drasticamente il ruolo e il peso delle forze armate; fu ridimensionato, tra l’altro, il ruolo di capo di stato maggiore generale, rivestito dal M., che venne riservato a generali di corpo d’armata o di grado inferiore. Il M., che aveva inizialmente avanzato riserve sulla bontà del provvedimento, accettò poi senza discussioni la sua cessazione dalla carica, a far tempo dal 1° maggio 1945.
Inoltre, venuto a conoscenza che la proposta di nominarlo ambasciatore d’Italia in Argentina avrebbe potuto provocare frizioni all’interno del governo, scrisse al presidente del Consiglio e al ministro degli Esteri ringraziando ma precisando con fermezza di non voler assumere l’incarico in mancanza della convergenza di tutti i partiti sul suo nome.
Il M., che, formalmente, come maresciallo d’Italia era da considerarsi ancora in servizio, transitò nella riserva il 18 genn. 1947, in seguito a un apposito provvedimento legislativo che aboliva il grado di maresciallo d’Italia, conservandolo, comunque, ad personam a quanti ne erano già insigniti.
Il M. fu l’ultimo presidente del consiglio dell’Ordine militare di Savoia, con nomina conferitagli il 1° febbr. 1945, e, contestualmente, dal momento del cambio della denominazione, fu anche il primo dell’Ordine militare d’Italia, carica che conservò fino al 1951.
Pur essendo oramai in pensione, il M. si impegnò ancora per molti anni in campo politico e nell’attività pubblicistica. Sin dai primi mesi del dopoguerra aveva infatti preso a scrivere articoli, opuscoli e libri relativi sia al ruolo svolto da lui e dalle truppe italiane nel corso della seconda guerra mondiale sia, più in generale, ai problemi della difesa.
La sua attività di pubblicista fu spesso motivo di aspre polemiche con i partiti della Sinistra, particolarmente con il Partito comunista italiano, sfociate talvolta nelle aule dei tribunali, soprattutto in relazione alla campagna di Russia e alla sorte dei prigionieri italiani. In varie circostanze fu anche assai critico nei confronti dei criteri adottati per la ricostruzione dell’esercito – in polemica con il ministro della Difesa, R. Pacciardi – mentre si qualificò sempre come un convinto fautore del Patto atlantico.
Dal 1947, il M. partecipò attivamente alla vita politica come esponente e referente di una parte del mondo militare e dei reduci; in quanto tale la Democrazia cristiana (DC) lo volle nelle sue liste, come indipendente, nelle elezioni del 1953 quando il M. fu eletto senatore per il collegio di Brindisi con oltre 42.000 voti di preferenza. Al Senato fece parte della commissione Difesa, ma nel 1956, non riconoscendosi nella politica del partito, lasciò il gruppo parlamentare DC dopo aver fondato, il 1° marzo 1955, l’Unione combattenti d’Italia, un «movimento per la rinascita nazionale», teso «alla pacificazione interna sotto l’insegna della fraternità e della solidarietà nazionale e alla lotta a fondo contro tutte le forze dissolvitrici». Questo spostamento su posizioni dichiaratamente conservatrici, del resto più vicine all’esperienza e alle idee del M., lo portò, nel 1958, a presentarsi come candidato alla Camera dei deputati nelle file del Partito monarchico popolare nel collegio di Roma. Primo dei non eletti, il M. entrò comunque a Montecitorio, anche se solo nel 1961, allorché A. Lauro rinunciò alla carica di deputato per quella di sindaco di Napoli. Anche in questo scorcio di legislatura fece parte della commissione Difesa. Fece parte della medesima commissione anche dopo la successiva rielezione a deputato, nel 1963, stavolta nelle file del Partito liberale italiano, fino al 1968.
Il M. morì a Roma il 12 dic. 1968.
Fra i volumi pubblicati dal M. si ricordano: Come finì la guerra in Africa: la 1ª armata italiana in Tunisia, Milano 1946; La guerra al fronte russo: il Corpo di spedizione italiano (CSIR), ibid. 1947; La 1a armata italiana in Tunisia, Roma 1950; La mia armata in Tunisia: come finì la guerra in Africa, Milano 1960. Un elenco, non completo, ma più che esauriente, dei suoi interventi nella stampa fra il 1945 e il 1963 (in specie ne Il Giornale della sera, Il Tempo, Il Tempo di Milano, Corriere della sera, Oggi, Tempo illustrato, Candido, La Settimana Incom, Gente) si trova in Il maresciallo d’Italia G. M.… Atti del Convegno.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio dell’Ufficio storico dello stato maggiore dell’Esercito, Biografie 43/56; presso lo stesso Archivio è in corso di riordinamento il Fondo Messe (28 buste). L. Argentieri, M., soggetto di un’altra storia, Bergamo 1997; Il maresciallo d’Italia G. M. Guerra, forze armate e politica nell’Italia del Novecento. Atti del Convegno di studi, Mesagne… 2000, a cura di I. Garzia - C. Pasimeni - D. Urgesi, Galatina 2003; L.E. Longo, G. M., l’ultimo maresciallo d’Italia, Roma 2006; B. Di Martino - F. Cappellano, I reparti d’assalto italiani nella Grande Guerra, Roma 2007, pp. 215 s., 369-382.
P. Crociani