MAINARDI (Manardi), Giovanni
Nacque a Ferrara il 24 luglio 1462 e fu battezzato col nome di Giovanni Giacomo, come egli stesso informa (Epistolarum medicinalium libri XX, Venetiis, apud Petrum Schoeffer, 1542, l. XVIII, 4). Figlio di Francesco, apparteneva a uno dei quattro rami, quello i cui membri esercitavano per lo più la professione di notaio, in cui si era divisa la cospicua famiglia dei Mainardi di Ferrara. All'età di 10 anni, quando era già orfano di padre, compare in un documento notarile sotto la tutela di un secondo cugino, il notaio Orfeo Mainardi.
Il M. compì gli studi presso lo Studio di Ferrara e si laureò in artibus et medicina il 17 ott. 1482 (promotori: Francesco Benzi, Ludovico Bonaccioli, Palmarino Anguissoli). Subito dopo il dottorato, insieme con l'esercizio della professione, iniziò la carriera accademica: risulta docente presso lo Studio di Ferrara - certamente di una materia propedeutica, come d'uso all'inizio della carriera - nel Rotulo dei memoriali per l'anno accademico 1482-83 (in Borsetti, p. 80). Presso l'ateneo ferrarese svolse probabilmente tutta la carriera accademica: l'affermazione di Borsetti (ibid., p. 81) circa un suo insegnamento a Padova e Pavia non è suffragata dalla documentazione.
Prima del 1493 il M. sposò Samaritana da Monte, dalla quale ebbe due figli, Timoteo e Agnese. La presenza a Ferrara e la partecipazione alla vita accademica sono documentate, anche se con qualche lacuna, fino al 1493, quando, dopo il 25 maggio, il M. si trasferì a Mirandola. Alla corte dei Pico, oltre a ricoprire l'incarico di medico personale di Gian Francesco (carica che implicava, come spesso accadeva, anche attività diplomatiche), ebbe il ruolo di guida degli studi filosofici del giovane Pico. Dopo la morte di Giovanni Pico, il 17 nov. 1494, le competenze filosofiche e scientifiche del M. gli permisero di affrontare un impegno culturalmente molto importante, e addirittura decisivo per la sua formazione: preparare con mansioni direttive, insieme con G.F. Pico, l'edizione delle Disputationes adversus astrologiam divinatricem (1496) che Giovanni Pico non era riuscito a pubblicare. Il soggiorno a Mirandola probabilmente terminò nel 1502, quando Giovan Francesco fu costretto a rifugiarsi a Carpi in seguito alle lotte con il fratello Ludovico.
Al periodo mirandolese risale la composizione della prima opera del M., l'Epistola a Martin Pollich von Mellerstadt (1500, cfr. Zambelli, pp. 257 n. 1, 279), con la quale egli prese parte alla polemica scoppiata all'Università di Lipsia, difendendo le posizioni antiastrologiche di Giovanni Pico diffusesi in Germania in occasione delle accese discussioni circa l'origine del morbo gallico (la sifilide) e dell'intervento sul tema di N. Leoniceno. Nel trattatello, di grande interesse anche metodologico, che ebbe una prima edizione incunabola e fu ristampato nelle Epistolae (I, 2), il M. nega ogni fondamento scientifico all'applicazione dell'astrologia in campo medico, nei suoi presupposti teorici e nelle sue tecniche, e respinge l'idea che Ippocrate e Avicenna l'avessero sostenuta.
Rientrato a Ferrara, è probabile che il M. abbia ripreso l'attività accademica, oltre all'esercizio della professione, ben prima del 3 dic. 1507, data in cui è citato in un documento del Consiglio dei dodici savi insieme con altri membri della facoltà medica dello Studio candidati alla direzione dell'erigendo Monte di pietà. Secondo una lettera (Epistolae, VII, 1), nel 1510 tenne lezione sul libro I del Canone di Avicenna e, dalla dedica al figlio Timoteo del Commento al libro I dell'Ars parva di Galeno, si deduce che nel 1512 fece lezione su tale opera: si può dunque concludere che già in questi anni il M. ricoprisse la cattedra di medicina teorica. Nel periodo 1509-12, pur mantenendo i suoi impegni ferraresi, tornò occasionalmente a Mirandola.
Alla fine del 1513 il M. lasciò Ferrara per esercitare la funzione di medico personale di Ladislao II Iagellone, re di Boemia e d'Ungheria. L'incarico, patrocinato dal cardinale Ippolito d'Este nel quadro della politica di relazioni diplomatiche perseguita dagli Este, gli permise di intessere importanti relazioni culturali e di accumulare durante i numerosi viaggi al seguito di Ladislao una dovizia di osservazioni di botanica e zoologia, che trovarono posto nelle Epistolae e nelle Annotationes et censurae in Ioan. Mesue (1535). Dopo la morte di Ladislao (1516), il M. rimase in Ungheria come medico personale del successore, Ludovico, fino al 1518.
Le difficili condizioni alla corte ungherese lo spinsero a rientrare a Ferrara, insieme con il figlio Timoteo, che lo aveva raggiunto in Ungheria dopo la laurea in artibus et medicina, conseguita il 31 genn. 1514. Da una lettera di Celio Calcagnini, datata da Barotti all'autunno 1518 o all'inizio 1519 e indirizzata a Timoteo a Ferrara, si apprende che Calcagnini, allora segretario del cardinale Ippolito d'Este, presso cui M. si era lamentato dei mancati pagamenti dovuti dalla corte ungherese, era riuscito a riscuotere gli stipendi arretrati. Da questo momento non si hanno più notizie di Timoteo, per il quale si poteva preconizzare una brillante carriera e che potrebbe essere entrato nell'Ordine carmelitano.
In tarda età il M. sposò in seconde nozze la giovane Giulia Sassoli da Bergamo, dalla quale ebbe la figlia Marietta.
Al periodo ungherese risale la preparazione per la stampa del Commento al primo libro dell'Ars parva di Galeno, frutto delle lezioni sul testo tenute allo Studio di Ferrara nel 1512. Il Commento, corredato da una traduzione appositamente approntata, probabilmente ebbe la prima edizione a Roma nel 1525 (poi Basilea 1529, 1536, 1540, 1541; Padova 1553, 1564). All'ultimo periodo del soggiorno ungherese risale la preparazione per la stampa del primo tomo delle Epistolae (libri I-VI), che certo doveva predisporre il rientro del M. nei ranghi accademici, ma che fu stampato a Ferrara "apud Berardinum de Odonino" solo nel 1521.
A Ferrara il M. riprese l'insegnamento e l'esercizio della professione con notevole successo anche economico; nei mesi di agosto e settembre 1520 assisté il cardinale Ippolito d'Este morente. I rapporti con la corte estense, in particolare con Alfonso I, continuarono e rafforzarono i legami con i maggiori esponenti della cultura filosofica, scientifica e letteraria ferrarese. Il M. divenne un personaggio di rilievo europeo per la dottrina, il grande seguito del suo insegnamento e il successo della pratica medica. La fama, consacrata da L. Ariosto nell'Orlando furioso (XLVI, 14), echeggia negli epistolari di numerosi esponenti dell'élite intellettuale europea della prima metà del Cinquecento, fra i quali Erasmo da Rotterdam. Presso lo Studio ferrarese occupò una posizione preminente: gli acconti dello stipendio sono più alti di quelli degli altri docenti, e un privilegio dottorale del 30 apr. 1534 lo designa come "primarius professor" in medicina. L'intensa attività, nonostante le precarie condizioni di salute degli ultimi quindici anni, è documentata fino a un mese prima della morte.
Il M. morì a Ferrara il 7 marzo 1536.
Allievo dell'umanista Battista Guarini, da lui stesso definito il maggiore dei suoi maestri (Epistolae, XIV, 4), e di Francesco Benzi (ibid., I, 2), il M. si inserisce attraverso questi personaggi nelle due grandi tradizioni culturali ferraresi, la retorico-letteraria di Guarino Veronese e la medico-filosofica di Ugo Benzi, che nel M. concorsero a formare una personalità intellettuale non comune, ulteriormente arricchita dai rapporti con l'opera di Giovanni Pico, da cui mutua lo spirito razionalista e antiautoritario nell'approccio ai testi medici, e con Leoniceno, cui si affianca nella critica della sistematizzazione medievale della medicina.
Il M., infatti, aderì per tempo all'umanesimo medico, inaugurato da Leoniceno con la sua critica pliniana, che all'incirca tra gli anni Ottanta del Quattrocento e la metà del Cinquecento si prodigò per la riforma della cultura e degli studi medici, criticando radicalmente le auctoritates medievali latine e arabe ed esigendo il ritorno alle fonti greche della medicina, Ippocrate e Galeno, Teofrasto e Dioscoride. Sebbene non allievo diretto di Leoniceno, il M. ne fu idealmente discepolo e, se i loro rapporti furono a tratti complicati da polemiche sorte in seguito a critiche rivolte dal M. a posizioni e scelte interpretative di Leoniceno, egli proseguì nel solco tracciato dal maestro. Influenzò così in modo sostanziale, anche se a livelli diversi, i medici umanisti di vari paesi europei, fra i quali F. Rabelais, L. Fuchs e S. Champier.
Il M. fornì un contributo essenziale allo sviluppo dell'umanesimo medico sul versante della filologia applicata ai testi medici, come conoscitore di manoscritti e restauratore di testi corrotti. La filologia è da lui ritenuta in grado di spiegare i testi ben più della dialettica, che criticò aspramente, come già aveva fatto Leoniceno: a lui e a Ermolao Barbaro il M. si richiama come ai propri ispiratori. Il ruolo del M. nel rinnovamento della cultura medica riguarda inoltre l'applicazione dei risultati del nuovo metodo tanto all'insegnamento, quanto alla pratica medica.
Il M. diede un contributo essenziale alla diffusione dell'umanesimo medico, inaugurando con grande successo europeo un nuovo genere di letteratura scientifica. Ebbe infatti la felice intuizione di raccogliere e pubblicare, nelle sue Epistolae (nell'edizione definitiva venti libri per un totale di 103 lettere), una serie di scritti eterogenei che riguardano aspetti attinenti sia alla teoria, sia alla pratica medica: vi figurano risposte a quesiti di medici, ma anche di dotti, interessati a problemi di interpretazione di testi medici e botanici; interventi, talvolta anche polemici, su problemi testuali in materia di botanica, fisiologia, anatomia; chiarimenti della nomenclatura, identificazione e classificazione di malattie (soprattutto in dermatologia e oftalmologia) e di piante e medicamenti; trattatelli specifici su peste, morbo gallico, giorni critici; ma anche consilia e consultationes di colleghi nonché pareri medico-legali. La forma epistolare, duttile e informale, si rivelò particolarmente adatta alla comunicazione scientifica e alla divulgazione della nuova metodologia. Dopo il successo ottenuto dal primo tomo delle Epistolae (ristampato a Parigi nel 1528 e a Strasburgo nel 1529), il M. pubblicò nel 1532 a Lione il secondo tomo (libri VII-XII). Nel 1535 uscì a Basilea la nuova edizione, rivista dallo stesso M., che contiene i libri I-XVIII; infine nel 1540 a Basilea fu pubblicata l'edizione completa, con due libri postumi (da tale edizione dipendono le successive: Venezia 1542, Lione 1549, Basilea 1549, Lione 1556 e 1557, Venezia 1557, Hanau 1611; cfr. Mugnai Carrara, 2005, p. 379 n. 12). Singole epistole comparvero inoltre in appendice a opere del M. stesso e di altri e in raccolte epistolari miscellanee. A partire dall'edizione del 1535 le Epistolae sono accompagnate dalle Annotationes et censurae in Ioan. Mesue simplicia et composita, ristampate negli Opera omnia di Mesue (Venezia 1558, 1561, 1581, 1589, 1623).
I tratti principali della personalità scientifica del M. si rivelano in modo eminente sia nell'impegno volto a chiarire, semplificare e stabilizzare la terminologia medica districandola dalla confusione e dai fraintendimenti dovuti a traduzioni imperfette e alla lunga tradizione di commento, sia nello sforzo di razionalizzare e semplificare la cultura medica. Quest'ultimo orientamento è sorretto dalla decisa opzione circa lo statuto epistemologico della medicina, vista non come scienza, bensì come arte produttiva (secondo la concezione aristotelica), e dal tentativo di renderla autonoma dai legami con la filosofia e con la filosofia naturale. L'adesione al metodo terapeutico di Galeno ispirò il M. nel propugnare un percorso terapeutico guidato da un rigoroso procedimento logico, che attraverso le tecniche di divisione e risoluzione individuasse caso per caso la natura e le cause della malattia. Gli spiccati interessi per gli aspetti pratici della medicina e la critica in particolare ai testi di Avicenna, considerato un semplice compilatore, ma anche di Galeno e degli autori greci, rendevano il M. aperto all'esperienza e all'osservazione. Egli dedicò attenzione alle richieste di chiarimenti testuali da parte della chirurgia colta di formazione universitaria e cercò di riconquistare al medico l'esperienza diretta dei semplici e di conseguenza il controllo degli speziali nella preparazione dei medicamenti composti. Sembra, in proposito, che fosse cointeressato nella "spetiaria alla Colonna" in Ferrara, mentre gli acconti sullo stipendio per una seconda lettura, di entità decisamente inferiore rispetto a quelli sullo stipendio principale, potrebbero riguardare proprio una lettura straordinaria di materia medica. Altro contributo importante del M. è l'insistenza sul ruolo dello spirito critico nei confronti del passato e delle auctoritates, che deve sempre guidare il medico. Egli era convinto infatti che l'eccessivo ossequio verso i testi delle auctoritates, inibendo la fiducia nelle osservazioni e nelle esperienze personali, avesse impedito lo sviluppo delle conoscenze mediche; e tale tema era di grande importanza in un momento in cui nuove malattie (sifilide, della quale, diversamente da Leoniceno, indicava la natura contagiosa e non epidemica) e nuove sostanze dovevano essere inserite entro il quadro della medicina galenica.
Fonti e Bibl.: Nuovi documenti relativi ai docenti dello Studio di Ferrara nel sec. XVI, a cura di A. Franceschini, Ferrara 1970, pp. 8 s., 21, 23 s., 26; F. Borsetti, Historia almi Ferrariae Gymnasii, II, Ferrariae 1735 (rist. anast., 1970), pp. 80-82; G.A Barotti - L. Barotti - G. Baruffaldi, Memorie istoriche di letterati ferraresi, I, Ferrara 1792 (rist. anast., 1970), pp. 307-321; A. Herczeg, Johannes Manardus Hofarzt in Ungarn und Ferrara im Zeitalter der Renaissance, in Janus, XXXIII (1929), pp. 52-78, 85-133; A. Ostoja, Notizie inedite sulla vita del medico e umanista ferrarese G. Manardo, in Atti del Convegno internazionale per le celebrazioni del V centenario della nascita di G. Manardo, 1962, Ferrara 1963, pp. 99-140; P. Zambelli, G. M. e la polemica sull'astrologia, in Atti del Convegno internazionale sull'opera e il pensiero di Giovanni Pico della Mirandola, II, Firenze 1965, pp. 205-279 (rist., in Id., L'ambigua natura della magia, Milano 1991, pp. 76-118, anche per la bibliografia); J.M. Riddle, Three previously unknow contributors to pharmacy, medicine and botany: I. Manardus, F. Frigimelica and M. Guilandinus, in Pharmacy in history, XXI (1979), pp. 144-146; V. Urban, Consulti inediti di medici italiani (G. M., F. Frigimelica) per il vescovo di Cracovia P. Tomicki (1515-1532), in Quaderni per la storia dell'Univ. di Padova, XXI (1988), pp. 75-103; D. Mugnai Carrara, La biblioteca di Nicolò Leoniceno. Tra Aristotele e Galeno: cultura e libri di un medico umanista, Firenze 1991, pp. 73, 78, 189; Id., Nicolò Leoniceno e G. M.: aspetti epistemologici dell'umanesimo medico, in Alla corte degli Estensi. Filosofia, arte e cultura a Ferrara nei secoli XV e XVI. Atti del Convegno internazionale di studi, 1992, a cura di M. Bertozzi, Ferrara 1994, pp. 29 ss.; Id., Epistemological problems in G. M.'s commentary on Galen's "Ars parva", in Natural particulars. Nature and the disciplines in Renaissance Europe, a cura di A. Grafton - N.G. Siraisi, Cambridge, MA-London 1995, pp. 251-273; V. Nutton, The rise of medical humanism: Ferrara 1464-1555, in Renaissance Studies, XI (1997), pp. 8-11; D. Mugnai Carrara, Per lo studio degli "Epistolarum medicinalium libri XX" di G. M., in Per una storia della comunicazione medico scientifica: dal manoscritto al libro a stampa, sec. XV-XVI. Convegno internaz., Fermo, 2003, in Medicina nei secoli, XVII (2005), pp. 363-382.