JATTA, Giovanni
, Nacque a Ruvo (oggi Ruvo di Puglia) il 21 ott. 1767 da Francesco, oriundo di Conversano, e da Lucia Jurilli, in una famiglia di modeste origini e limitate possibilità. Compì in Ruvo i primi studi umanistici con gli ecclesiastici A. Consolo e G. Sancio; li proseguì nel seminario di Nola e a Napoli, dove studiò giurisprudenza con M. Cianciulli, alto magistrato e membro di spicco del governo borbonico (poi ministro di Giustizia di Giuseppe Bonaparte).
A Napoli il giovane J. fu ospite per più anni di Domenico Cotugno, famoso medico di Ruvo, la cui casa, trasformata in un museo, fu il suo primo contatto con le antichità ruvestine. Frequentò lo studio di F. Ricciardi (futuro segretario di Stato e ministro di Giustizia di Gioacchino Murat e, nel 1820, del governo costituzionale); presto acquistò fama di valente avvocato.
Per il suo orientamento antifeudale, nel 1794 il parlamento ruvestino lo designò come avvocato della città contro le vessazioni dei "locati" abruzzesi e dei baroni locali; dopo un'accurata ricerca archivistica, iniziò un lungo procedimento giudiziario contro il feudatario F. Carafa, che poi descrisse minutamente. Regalista illuminato, vide la sua scelta politica entrare in crisi con la Rivoluzione francese (racconterà la sua esperienza nell'opuscolo, rimasto inedito, I miei pensamenti politici al tempo della prima invasione del cholera asiatico a cui soggiacque la città di Napoli nell'autunno del 1836 [s.d., ma posteriore al 1839]). Accusato di propaganda di idee liberali, alla fine del 1798 lo J. fu dapprima esule in Svizzera, quindi in Francia. Rientrò a Napoli, al seguito di J.-E. Championnet, nel gennaio 1799; dopo la proclamazione della Repubblica napoletana, si adoperò nell'organizzazione della guardia civica; fu quindi mandato a Ruvo per placare i moti antirepubblicani, cosa che fece senza spargimenti di sangue.
Caduta la Repubblica, lo J. fu condannato dalla giunta di Stato (12 dic. 1799) a dieci anni di "esportazione"; il suo nome apparve nell'elenco dei rei di Stato (Filiazioni dei rei di Stato condannati dalla suprema giunta…, Napoli 1800, p. 44).
Tornato a Napoli, riprese l'azione contro il Carafa, cui erano stati restituiti i feudi in base al trattato di pace di Firenze (marzo 1801), giungendo a un accordo e quindi a una convenzione (20 genn. 1805); con la legge sul Tavoliere (maggio 1806), della quale egli fu magna pars per Ruvo, cessarono le controversie con i locati abruzzesi.
Nel settembre 1805 si era recato a Madrid per una causa affidatagli da F. Loffredo principe di Migliano contro la R. Hacienda de España. Avuta la notizia della nuova guerra del re di Napoli con la Francia, tornò a Ruvo e poi a Napoli, per esercitare l'avvocatura una volta stabilitosi il governo francese nel 1806. Questa era un'attività molto lucrosa, soprattutto per i giudizi promossi dai feudatari a difesa delle loro terre; così lo J. difese i suoi vecchi avversari, ma solo nei casi di diritti reali di proprietà.
Su sollecitazione di Giuseppe Bonaparte, entrò nella magistratura nel quadro della riforma giudiziaria promossa dal governo francese; destinato ad Altamura, fu invece chiamato a Napoli ove, nominato r. procuratore di prima istanza (20 marzo 1809), fu incaricato di riordinare il tribunale civile. Il 25 apr. 1812 fu promosso r. procuratore generale sostituto nella corte di appello di Napoli, e il 26 procuratore generale presso il Consiglio delle prede marittime. Il 21 maggio 1814 divenne membro della sezione del codice di diritto civile presieduta da M. Cianciulli, destinata a proporre modifiche alla legislazione in vigore.
Tornando a Napoli nel 1815, Ferdinando mantenne in carica gli impiegati del Decennio francese; lo J. rimase dunque nella Gran Corte e nel Consiglio e fu riconfermato nelle cariche giudiziarie. Fu escluso dalla ricostituita commissione legislativa per i codici, ma fu aggregato (6 maggio 1818) a quella incaricata di redigere un codice di procedura per la giurisdizione su prede e naufragi.
Dette un'adesione sentimentale e di opinione ai moti del 1820; questa sua fase politica è delineata in un'opera manoscritta, i Piffari scordati [s.d., ma luglio-ottobre 1821], il cui titolo riprendeva con intento polemico quello sui Piffari di montagna di A. Capece Minutolo, principe di Canosa. Vi indicò le cause dei moti nell'indirizzo governativo in atto dal 1816, a suo dire dettato in primis dal principe di Canosa come ministro di Polizia e dai suoi successori. Fautore di un governo costituzionale e favorevole a una lenta evoluzione del paese, fu visto con sospetto dai realisti e poco considerato dai rivoluzionari, in quanto magistrato.
Il 15 giugno 1821, dopo il rovesciamento del governo costituzionale, le giunte di scrutinio, nominate dalla giunta provvisoria di governo per esaminare la condotta degli impiegati, lo esonerarono da tutte le cariche. Continuò la professione di consulente legale, e quando nel 1830 salì al trono Ferdinando II non fece istanza per essere reintegrato nella magistratura. Restò a Napoli e, provato dalla gotta, si dedicò allo studio. La forzata inattività lo conquistò al morbo del collezionismo e lo mise in contatto con l'ambiente antiquario ruvestino, che sin dai primi rinvenimenti nel 1780 partecipava al saccheggio delle necropoli locali in un clima da caccia al tesoro (G. Ursi, Breve cenno dei scavi fatti in questa città di Ruvo [1835], ms. conservato nella Biblioteca Jatta, pp. 93-100; i rinvenimenti sono mirabilmente sintetizzati in G. Jatta jr., 1869, pp. 7 ss.). Lo J., che fino al 1821 non si era occupato di archeologia, fu coadiuvato dal fratello Giulio nella creazione di una raccolta di ceramiche antiche.
A Napoli lo J. si dedicava a interpretare i miti dipinti sulle ceramiche, intratteneva una fitta corrispondenza con il fratello, seguendo i restauri dei pezzi, cercava di rivendere al meglio i vasi meno interessanti; curava inoltre i rapporti con archeologi e collezionisti. L'amico F.M. Avellino, direttore del R. Museo Borbonico e soprintendente generale agli Scavi, era suo consulente; ebbero così modo - tra gli altri - di conoscere e di citare la collezione V. Durand, J. Millingen ed E. Braun (Avellino; Gerhard, 1829, pp. 173 s.; Braun, pp. 113-117).
La raccolta cominciò a formarsi verso il 1820 e fu completata verso il 1835; ma già nel 1826 lo J. la riteneva quasi conclusa, e in una lettera a Giulio (29 luglio) aveva l'idea di "affiorarla di cose scelte e non di aumentarla" (M. Jatta, 1929, p. LXVI). Il suo spirito consisteva nell'esaltazione dell'onore della patria (nell'errata convinzione che tutti i vasi fossero di produzione locale) e nell'opporsi all'esportazione di tanti oggetti d'arte; a ciò si aggiungeva il desiderio di dare lustro alla sua famiglia, non blasonata. I criteri di scelta, spiegati nel Cenno storico e nelle lettere, privilegiavano la particolarità della forma e la qualità pittorica; questa impostazione portò purtroppo alla dispersione dei corredi e alla perdita delle terrecotte non decorate. Una collezione nella collezione è quella dei rithà: già nel luglio 1828 lo J. poteva affermare che neppure il re aveva una serie di tali forme ceramiche paragonabile alla sua.
I due fratelli erano entrati in alcune società di scavo formatesi a Ruvo, da cui uscirono alla fine del 1827 su impulso dello J., interessato agli oggetti d'arte e non ai forti ricavi procurati dal commercio di antichità. Rimasti soli nell'eseguire gli sterri, essi scoprirono (dicembre 1827) i crateri di Fineo e degli Argonauti, rinvenuti frammentati in due tombe violate in antico.
A partire dal 1828 il problema di un'adeguata esposizione divenne ricorrente nelle lettere a Giulio. Lo J. escluse altri campi di interesse antiquario, rifiutando l'acquisto delle pitture della tomba delle danzatrici, trovata a Ruvo nel novembre 1833 (Di Palo; Panofka, Scavi di Ruvo). Era consapevole sia del pregio sia delle precarie condizioni dei resti, dovute anche al criticato stacco dell'affresco, che tuttavia descrisse con ammirazione, contribuendo a far capire il suo stato prima dei restauri.
Dal 1836, anno della morte di Giulio, egli di fatto cessò gli acquisti, con l'eccezione di qualche pezzo preso a Napoli, non sempre di provenienza ruvestina (pezzi da Nola e da Bitonto citati nel 1840 da G. Comese), preoccupandosi sempre più della sistemazione, discussa a fondo in lettere alla cognata Giulia Viesti del 1840-41, da effettuarsi in un palazzo edificato all'uopo a partire dal 1842 su progetto dell'architetto bitontino Luigi Castellucci.
La difesa fatta nel 1807 della Chiesa vescovile di Pozzuoli, per la giurisdizione dell'antico agro cumano, divenne una dissertazione antiquaria (Discorsi sulla ripartizione civile, e chiesastica dell'antico agro Cumano, misenese, baiano e pozzuolano); analogo sviluppo ebbe il giudizio contro il Municipio di Napoli a favore dei proprietari dei molini detti Corsea (Ricerche sull'acquedotto chiamato forma reale che conduceva l'acqua della Bolla a Napoli e considerazioni storico-economiche sul progetto di restauro dell'architetto Felice Abbate dell'acquedotto del Serino). Questi studi furono pubblicati a Napoli in un unico volume nel 1843.
Nel febbraio 1844 lo J. pubblicò l'opera maggiore, il Cenno storico sull'antichissima città di Ruvo nella Peucezia (2a ed., Ruvo 1929), ristampando nell'appendice l'edizione del 1633 della Historia del combattimentode' tredici cavalieri italiani con altrettanti francesi fatto in Puglia tra Andria, e Quarati, e la vittoria ottenuta dagli Italiani nell'anno 1503 a 13 di febraro…, cui fece seguire una sua notizia sulla disfida di Barletta e sul monumento che la commemorava. L'appendice incluse anche un opuscolo di F.M. Avellino di argomento numismatico (Rubastinorum numorum catalogus).
Nell'opera, che parte dall'età antica per arrivare ai tempi dell'autore, lo J., pur con indubbia erudizione, dette credito alle leggende sull'origine arcade della città, identificandola erroneamente nel toponimo Netium citato da Strabone. Più attendibile la parte sulla storia medievale; interessanti per i risvolti autobiografici i capitoli sulla lotta contro i privilegi feudali e sui mutamenti politici posteriori al 1789.
Morì a Napoli il 9 dic. 1844; il monumento funebre, dell'architetto M. Ruggiero, è visibile nel camposanto di Napoli.
Nel testamento (parte I, 13 ott. 1842; parte II, 3 febbr. 1844) aveva espresso la volontà che gli eredi (il nipote e Giulia Viesti, sua cognata e tutrice) vendessero tutta la collezione allo Stato, con la clausola che fosse esposta nel Museo borbonico di Napoli con l'indicazione di collezione autonoma. Questa disposizione, che contraddiceva il suo originale intento di lasciarla a Ruvo, era però più morale che reale, dato che la parte della collezione appartenuta al fratello era già andata al figlio.
Alla sua morte la parte della raccolta presente a Napoli comprendeva 400 voci d'inventario. Nel 1845 la commissione de' regi scavi elencò a Ruvo 68 vasi appartenuti a lui e poco più di 318 pezzi (tra cui il cratere di Talos, il cratere con il ratto delle Leucippidi, il cratere del mito delle Esperidi) appartenuti a Giulio. Tuttavia un accordo per la cessione dell'intera collezione non fu raggiunto, cosicché essa rimase proprietà della famiglia, per passare allo Stato italiano solo con atti di compravendita del 19 dic. 1990 e 10 apr. 1991; il Museo riaprì l'11 giugno 1993 a Ruvo, nella sede di palazzo Jatta; si è in attesa dell'acquisizione della biblioteca e dell'archivio di famiglia.
La ricchissima bibliografia legale dello J., con allegazioni e conclusioni del pubblico ministero, comprendente 298 titoli, è esaminata approfonditamente in M. Jatta, 1929.
Giulio (Ruvo di Puglia 29 apr. 1775 - Napoli 18 sett. 1836), avviato dal padre al sacerdozio e poi alla medicina, aveva quindi intrapreso la carriera militare. Tenente nel 4° reggimento cacciatori, aveva partecipato alla campagna di Roma del 1798, dove fu ferito, all'impresa di Caiazzo (1799) e a numerose azioni contro bande irregolari. Sciolto nel 1799 l'esercito borbonico, si era unito al fratello nella repressione dei moti di Ruvo, arruolandosi quindi tra i primi nella legione napoletana comandata da Ettore Carafa; la seguì fino al ritiro negli Abruzzi, per andare poi con la legione Schipani in Calabria, ove partecipò ai combattimenti di San Naziario e Sant'Anastasio (Carabellese). Dopo la caduta della Repubblica fu chiuso in prigione e condannato a morte; fu liberato in seguito all'indulto del 1801. Durante il Decennio francese fu tenente della gendarmeria a cavallo, promosso capitano nel 1810, e l'anno successivo giudice militare della corte speciale di Basilicata. Conservò il grado dopo la Restaurazione e nel giugno 1820 fu nominato capitano aiutante della piazza di Napoli. L'8 luglio 1821 fu licenziato dall'esercito per aver partecipato ai moti e relegato a Ruvo sotto sorveglianza della polizia, cessata solo dopo sette anni. Dal matrimonio con Giulia Viesti, poi importante per le sorti della collezione, nacque Giovanni jr. A Ruvo Giulio amministrava i beni del fratello, organizzava tecnicamente gli scavi, seguiva l'avanzamento dei lavori e curava l'acquisto della maggior parte dei pezzi, tra cui i vasi più belli e più rari della collezione (G. Jatta jr., 1869, p. 11).
Fonti e Bibl.: Come detto, la principale documentazione si conserva in Ruvo, Biblioteca e Archivio della famiglia Jatta; Arch. di Stato di Bari, Monumenti e scavi di antichità, b. 5, f. 125, 1845-48 (inventario a cura di M.T. Ingrosso - T. Milella, Monumenti e scavi di antichità in Terra di Bari (1806-1918), Bari 1995); [M. Jatta], Bibliografia. Opere opuscoli e conclusioni stampate, in G. Jatta, Cenno storico…, cit., pp. 1-80; O. Gerhard, Cenni topografici intorno i vasi italo-greci, in Bull. dell'Instituto della corrispondenza archeologica, I (1829), pp. 161-176; M.T. P[anofka], Scavi nel Regno di Napoli, ibid., VI (1834), pp. 164-167; Id., Scavi di Ruvo, ibid., pp. 228-230; E. Braun, Intorno gli oggetti d'arte antica che sogliono rinvenirsi nei sepolcri di Ruvo, ibid., VIII (1836), pp. 69-76, 113-123; O. Gerhard, Adunanza dell'Istituto, ibid., XII (1840), pp. 182 s.; F.M. Avellino, Indicazione della tavola II aggiunta al presente volume…, in Bull. archeologico napoletano, I (1843), p. 71; C. Sterlich, Commemorazione di persone ragguardevoli, mancate alle Due Sicilie dal 3 nov. 1844 al 2 nov. 1845, Napoli 1845, pp. 65 s.; L. Di Siena, Elogio funebre del celebre giureconsulto napoletano G. J., Napoli 1845; G. Minervini, Descrizione di alcuni vasi fittili antichi della collezione Jatta…, Napoli 1846, pp. I-VII; S. Fenicia, Monografia di Ruvo di Magna Grecia, Napoli 1857; G. Jatta jr., Catalogo del Museo Jatta, con breve spiegazione dei monumenti, da servir di guida ai curiosi, Napoli 1869, pp. 6-15; G. Petroni, Ricordi della vita dei due fratelli G. e Giulio Jatta di Ruvo, Napoli 1880, in Raccolta di scritti varii inviati per nozze Beltrani-Jatta, a cura di N. Festa Campanile, Trani 1880; L. Volpicella, Bibliografia storica della provincia di Terra di Bari, Napoli 1884-87, pp. 233, 246-248, 651, 662 s., 674, 706; F. Carabellese, In Terra di Bari dal 1799 al 1806: dalla rivoluzione repubblicana allo stabilirsi della monarchia francese, Trani 1900, pp. XXXII ss.; A. Sansone, Gli avvenimenti del 1799 nelle Due Sicilie. Nuovi documenti, VII, Palermo 1901, pp. 279 ss.; C. Villani, Scrittori ed artisti pugliesi antichi, moderni e contemporanei, Trani 1904, pp. 474-476; C. Lojodice, Una passeggiata storica. Monografia di Ruvo di Puglia, Bari 1915; C. Villani, Scrittori ed artisti pugliesi antichi, moderni e contemporanei. Nuove addizioni, Napoli 1920, p. 113; N. Testini, Antichità ed arte in Ruvo, Putignano 1923, ad nomen; G. De Ruggiero, Storia del liberalismo europeo, Bari 1925, pp. 229 ss.; M. Jatta, G. J. ed il suo cenno storico sull'antichissima città di Ruvo, prefazione a G. Jatta, Cenno storico, cit., pp. I-CXXV; N. Testini, Figure meridionali d'altri tempi. G. J., in Molise nuovo, 31 ag. 1930, nn. 6-7; F. Jatta, Sintesi storica della città di Ruvo, Ruvo 1930; M. Jatta, La collezione Jatta e l'ellenizzazione della Peucezia, in Japigia, III (1932), pp. 1-33, 241-282; M. Miroslav Marin, Problemi topografici dell'antica città di Ruvo, in Atti del VI Convegno dei Comuni messapici, peuceti e dauni, Ruvo… 1974, Bari 1981, pp. 121-267 (con bibliografia); C. Bucci, Museo Jatta in obiettivo, Bari 1983; E.M. De Juliis, Il Museo Jatta di Ruvo, in Archeologia in Puglia, Bari 1983, pp. 93-103; F. Di Palo, Dalla Ruvo antica al Museo archeologico Jatta, Fasano 1987, pp. 73-81, 84-99; C. Bucci, Il Museo nazionale Jatta. La storia, i personaggi, la collezione, Bari 1994, pp. 11-15 e passim; G. Andreassi, Jatta di Ruvo. La famiglia, la collezione, il Museo nazionale, Bari 1996, pp. 14, 18-22; R. Cassano, Ruvo, Canosa, Egnazia e gli scavi dell'Ottocento, in I Greci in Occidente. La Magna Grecia nelle collezioni del Museo archeologico di Napoli, Napoli 1996, pp. 108-113; R. Cassano, Prefazione, in G. Jatta junior, Catalogo del Museo Jatta…, Bari 1996, pp. XI-XVI.