FREZZA, Giovanni Girolamo
Figlio di Bernardo, nacque nella località sabina di Canemorto (odierna Orvinio), con ogni probabilità nel 1671, per quanto la maggior parte dei repertori, senza però riportare alcun riscontro documentario, indichino il 1659 (Huber, 1800; Nagler, 1837; Le Blanc, 1856). La data di nascita del F. si può infatti ricavare, con un buon margine di certezza, dai registri degli Stati d'anime della parrocchia di S. Susanna in Roma che testimoniano della presenza di "Girolamo Frezza intagliatore de' rami" in città dal 1703, anno in cui risulta avere trentadue anni, al 1748, anno in cui risulta averne settantasette. È assai probabile, tuttavia, che il F. sia giunto a Roma molto prima dell'inizio del XVIII secolo, per andare a imparare l'arte del bulino e dell'acquaforte, presso la bottega del celebre incisore, originario di Anversa, A. van Westerhout (Gori Gandellini [1771], 1808, p. 43).
Le prime incisioni note del F. risalgono all'inizio dell'ultimo decennio del XVII secolo. Si tratta perlopiù di soggetti religiosi (S. Giovanni da Capestrano, 1690; S. Ignazio, 1692), di ritratti (Benedetto XIV, 1692), o di incisioni da opere di artisti famosi quali C. Maratti (due Sacre famigliecon s. Giovanni, 1694).
È inoltre probabile che, tramite il Westerhout, il F. abbia ricevuto la commissione per la realizzazione della sua prima opera di un certo rilievo. Si tratta di alcune delle illustrazioni per i volumi di F. Buonanni, ai quali aveva collaborato il medesimo Westerhout, Numismata summorum pontificum (trentadue incisioni), e Numismata pontificum Romanorum (cinque incisioni), editi a Roma, rispettivamente nel 1696 e nel 1699, da Antonio Ercole.
Agli anni Novanta del XVII secolo risale anche con ogni probabilità la data del matrimonio del F. con la romana Maddalena Demetri (morta nel 1717), da cui nacquero cinque figli. A partire dal 1703 il F. si stabilì con la moglie e due figli in un'abitazione, che fungeva anche da bottega, situata all'inizio della via Felice, presso piazza Barberini. A tale trasferimento corrisponde, quasi con certezza, anche il distacco definitivo del F. dal Westerhout: datata 1702 è infatti una delle ultime stampe firmate da entrambi con la Gloria di s. Ignazio, affrescata da A. Pozzo per il soffitto della chiesa omonima. Dall'incisione risulta che, secondo l'uso in voga tra i pittori del tempo, al Westerhout spettò la realizzazione delle figure, al F. quella delle partiture architettoniche.
Dal primo decennio del Settecento la bottega del F. "in faccia alla chiesa di S. Andrea degli Scozzesi" (come si legge in numerose stampe) divenne indubbiamente una delle più attive e più prolifiche di Roma. Ne uscirono stampe in serie o in fogli sciolti, spesso tratte dalle opere dei maggiori maestri di tradizione classicista.
Datata 1704 è la serie, su disegno di P. De Pietri, con gli affreschi di F. Albani e Sisto Badalocchio nel palazzo Verospi di Roma (Apollo e le divinità dell'Olimpo dall'Albani, Storie di Polifemo e Storie di Paride dal Badalocchio), cui seguirà, nel 1713, la riproduzione, su disegno di P. Ferloni, del ciclo di affreschi dipinti dal Domenichino e dall'Albani nel palazzo Giustiniani Odescalchi a Bassano di Sutri (Storie di Diana dal Domenichino, Il mito di Fetonte dall'Albani).
Al 1704 appartengono anche le incisioni tratte dalle pitture a monocromo poste nello zoccolo della stanza di Eliodoro in Vaticano (La semina, La mietitura, La vendemmia) completamente ridipinte dal Maratti. Sempre dal Maratti sono L'assunzione della Vergine (1707, dipinta per il duomo di Urbino), e il Giudizio di Paride (1708), di notevole importanza documentaria, poiché tratto da un dipinto, non più reperito, realizzato dal Maratti per il marchese Nicolò Maria Pallavicini. Numerose sono anche le stampe tratte da dipinti o disegni di Giuseppe e Pier Leone Ghezzi tra le quali si ricordano, da Giuseppe, l'Allegoria di Clemente XI (1704), da Pier Leone, il ritratto di Clemente XI al tavolo di lavoro (1724).
Dall'inizio del XVIII secolo il F. si dedicò con sempre maggiore intensità anche alla realizzazione di incisioni per l'illustrazione di libri. Tra gli esempi più significativi sono alcune delle tavole per il volume di G. Martini Theatrum basilicae Pisanae, edito a Roma dall'officina De Rossi (1705-23), su disegno di Francesco e Giuseppe Melani.
Dedicate all'illustrazione del complesso monumentale del duomo pisano, le stampe appaiono improntate ad un indubbio rigore scientifico, che offre al contempo l'occasione di una lettura nuova dell'arte dei "primitivi" in un momento in cui, al contrario, si privilegiava lo studio delle antichità classiche.
Nel 1704 il F. aveva inoltre partecipato a una delle imprese editoriali più interessanti del tempo: la sontuosa Raccolta di statue antiche e moderne, edita a Roma, su commissione di papa Clemente XI, da D. De Rossi con il commento dell'antiquario P.A. Maffei. In questo stesso anno si può anche ipotizzare che il F. si sia recato a Firenze, sia perché dagli Stati d'anime di S. Susanna non risulta nel 1704 la sua presenza a Roma, sia perché due tavole incise dal F. (Aiace morente ed Ercole e Anteo), riproducono due gruppi marmorei facenti parte delle collezioni medicee.
Per quanto limitata all'esecuzione di due sole stampe, la collaborazione del F. al volume del Maffei appare significativa, poiché pone in luce la sua attività nel campo della stampa di traduzione di quei reperti archeologici che dall'inizio del XVIII secolo erano divenuti oggetto, soprattutto a Roma, di frenetica attività di scavo, commercio e appassionato collezionismo.
Tra le tante stampe realizzate dal F. si ricordano: la riproduzione del grande Mosaico del tempio della Fortuna primigenia a Palestrina, in sette matrici su disegno di G. Sinceri edita a Roma nel 1721 per volontà del cardinal Francesco Barberini iuniore; quattro incisioni (Venere seduta, Venere Medici, Atleta, Soldato), su disegno di G.D. Campiglia, per il terzo tomo del Museum Florentinum, edito a Firenze nel 1734 da F. Moücke con commento di A.F. Gori e dedicato alle statue della collezione Medici; otto incisioni raffiguranti Gemme intagliate per il volume dedicato alla collezione di A. Borioni, con commento di R. Venuti, edito a Roma nel 1736 da R. Bernabò; le celebri statue dei due Centauri Furietti, incisi nel 1739 su disegno di P. Batoni e N. Onofri; le statue dell'Antinoo capitolino e del Genio del silenzio incisi nel 1739 e nel 1740 su disegno di S. Pozzi.
Nel quarto decennio del Settecento la notorietà del F. si doveva essere ormai ampiamente consolidata, tanto che, nel 1737, egli ricevette l'incarico, insieme con G.D. Campiglia, da parte della Camera apostolica (nella figura del cardinale Neri Corsini), di redigere una perizia in merito all'acquisto della prestigiosa stamperia De Rossi, data la discordanza di valutazione emersa dalle due perizie precedenti stilate da J. Frey per conto della Camera medesima e da P.L. Ghezzi per incarico di L.F. De Rossi (Quieto, 1984, pp. 168 s.). Un anno prima, nel 1736, la figlia del F., Lucia, nata nel 1713, si era sposata con il pittore Stefano Pozzi, che già da molti anni aveva iniziato a collaborare con il Frezza.
Si ricorda, a tal proposito, la serie di stampe eseguite dal F. nel 1727, su disegno del Pozzi, con gli affreschi e la pala d'altare di N. Berrettoni nella cappella di S. Anna in S. Maria di Montesanto a Roma.
Il F. si dedicò anche, lungo tutto il corso della vita, alla realizzazione di stampe dedicate ad alcune delle grandi cerimonie che animavano la vita della Roma del tempo: dalle illustrazioni per le Esequie di Pietro II di Portogallo in S. Antonio dei Portoghesi (1707), alla Macchina pirotecnica per la cerimonia della chinea (1722).
Le ultime opere di rilievo realizzate dal F. furono alcune illustrazioni, su disegno di G.S. Fietti, per il volume dell'erudito F. Bussi Istoria della città di Viterbo, pubblicato a Roma nel 1742.
Ignoto è l'anno di morte del F. che deve porsi, tuttavia, poco dopo il 1748. A questa data risale infatti un atto notarile attestante l'avvenuto pagamento da parte del F. della dote versata in occasione del matrimonio della figlia con il Pozzi. Si tratta probabilmente di una misura cautelativa del F., ormai anziano e forse malato, nei riguardi della propria congiunta.
Di un figlio del F., Domenico (1694-1747), si conosce un solo disegno firmato raffigurante un Trapezoforo classico con sfingi un tempo nella villa Peretti Montalto di Roma, databile intorno al terzo decennio del Settecento (M.G. Barberini, Villa Peretti Montalto-Negroni-Massimo…, in Collezionismo e ideologia…, a cura di E. Debenedetti, Roma 1991, pp. 17, 20, 54, fig. 24).
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