GAVIGNANI, Giovanni
Figlio di Bernardino e Margherita Mazzoccoli, nacque a Carpi nel 1632 (Garuti, in Cabassi, p. 209 n. 207) e non nel 1615 come indicato da Cabassi (p. 93), in una famiglia probabilmente benestante.
Il G. fu uno dei primi e più affermati iniziatori dell'arte della scagliola a Carpi, per l'utilizzo sapiente di nuove soluzioni decorative e per la perfezione nella resa formale dei manufatti. L'apprendistato giovanile del G. si svolse presso Guido Fassi, ideatore a Carpi di questa particolare tecnica ornamentale, e continuò dopo la morte del maestro, avvenuta nel 1649, con il nipote di questo, Annibale Griffoni, con il quale "molto travagliò in altari, statue a marmo…" (ibid., p. 94), raggiungendo esiti di altissima qualità improntati a un gusto austero e severo oltre che di straordinario effetto mimetico.
L'arte della scagliola, chiamata a Carpi comunemente nelle antiche citazioni "meschia" essendo un composto di gesso finissimo, collanti e colori a tempera, ebbe in Carpi e in Emilia la sua precoce trattazione per opera di Guido Fassi all'inizio del XVII secolo. Esercizio virtuosistico di imitazione delle pietre naturali, di marmi e altri nobili materiali preziosi, l'arte della scagliola riuscì a realizzare superbi esemplari per l'arredo chiesastico e civile che ebbero in epoca barocca enorme diffusione e una continua richiesta per l'intrinseca bellezza delle opere, la duttibilità della materia, l'effetto illusionistico e imitativo reso dalla levigatura e, soprattutto, per l'economicità di realizzo e di costi. La scuola carpigiana, la prima nell'Italia settentrionale in contemporaneità di risultati con le coeve manifatture della Germania settentrionale e della Baviera, sviluppò nell'alta perfezione la caratterizzazione formale dei prodotti ed ebbe seguito per contatti e trasferimenti degli artefici nella contigua area lombarda, in Toscana e nell'Italia meridionale. Con il XVIII secolo la produzione aveva ormai raggiunto livelli di conoscenza europea con risoluzioni differenziate dall'operosità delle singole scuole locali (Neumann; Massinelli).
L'abilità raggiunta dal G. in giovane età è testimoniata da un'opera firmata e datata 1652, il Paliotto di s. Antonio di Padova per l'omonimo altare nella chiesa di S. Nicolò di Carpi. Cabassi (p. 94), che ne stese puntuale descrizione, restituisce ancora oggi l'effetto di stupore davanti a un'opera da ritenersi capolavoro in assoluto della produzione carpigiana in scagliola del XVII secolo "fatto con tale maestria dal Gavignani, che i pizzi finissimi, che lo contornano ingannan l'occhio, qual ornamento di finissima tovaglia, oltre alla maestria dell'ornato eseguito a tutta puntualità".
L'uso della sola bicromia in bianco e nero, specifico dei primi lavori del G., indica l'imitazione di manufatti in ardesia o in legno d'ebano con inserti d'avorio secondo la moda in voga a Venezia nel XVII secolo. La finezza dell'intarsio ottenuto scalfendo la superficie piana con il bulino e rifinendo a tratteggio ornati e composizioni secondo la tecnica imitativa dei fogli di stampe a bulino, contraddistingue anche i due dossali minori realizzati dal G. ai lati dell'altare di S. Antonio con le scene del Miracolo della mula e della Predica ai pesci entro medaglioni inseriti tra ampi girali di foglie d'acanto.
Sempre per la chiesa di S. Nicolò a Carpi, il G. realizzò, per gli omonimi altari, il Paliotto dell'Annunziata, firmato e datato 1676, il Paliotto dell'Immacolata Concezione, il Paliotto dell'Addolorata e quello del Ss. Crocifisso; per l'altare maggiore eseguì il paliotto con al centro l'Ostensorio e nei quadretti laterali S. Francesco e S. Bernardino. Nella medesima chiesa sono opera del G. anche i due monumenti sepolcrali a parete di Fra Domenico Ascari, del 1653, e di Costanza Pozzuoli Maggi, del 1657.
L'effetto di trompe-l'oeil raggiunto nel Paliotto di s. Antonio venne ripetuto dall'artista in ulteriori esemplari carpigiani, nel paliotto dell'Assunta nella cattedrale e in due paliotti nella chiesa di S. Ignazio, oltreché in località del Modenese: a Spilamberto, nella chiesa della Madonna del Carmine e nell'oratorio di S. Maria Nuova (1677), e nelle parrocchiali di S. Martino a Correggio, di Cividale di Mirandola, Vallalta di Concordia, Reggiolo, nelle quali iniziò a comparire l'utilizzo di pochi colori tenui nelle composizioni. Con questi lavori il G. creò un modello ornativo ripreso senza soluzioni di continuità in opere di altri scagliolisti carpigiani a lui coevi (Giovan Marco Barzelli, Simone Setti, Gasparo Griffoni) e indicò un messaggio estetico, figurativo e formale, che caratterizzerà la produzione carpigiana entro la seconda metà del XVII secolo.
Il richiamo ornamentale è di austera compostezza con riferimenti nei decori a racemi e fregi a elementi rinascimentali. La superficie appare divisa verticalmente da candelabre in tre specchiature. Nella centrale è sempre l'immagine sacra derivata da incisioni coeve (per esempio da opere di Simone Cantarini, Annibale Carracci, Guido Reni), sui laterali sono spesso ricchi vasi di fiori. Superiormente due fasce orizzontali di racemi, pizzi e merletti, rendono illusionisticamente l'idea dello svolgersi di una preziosa tovaglia d'altare. Nel bordo estremo superiore in continuità con i lati sono altre cornici di pizzi. L'abbandono della bicromia è graduale e i colori che compaiono sono assai parchi e smorzati senza eccesso di contrasti.
Gli elementi ornamentali utilizzati dal G. o dai suoi scolari e allievi, si ritrovano assemblati e riproposti svariate volte per il ripetitivo utilizzo degli stessi cartoni o dei medesimi fogli figurati a incisione di cui il G. era provvisto. Cabassi (p. 93) rammenta infatti che l'artista possedeva due libri seicenteschi di stampe per ornati da lui stesso postillati. Testimonianza di tale ripetitività di schemi è il paliotto nella chiesetta dell'Immacolata di Reggiolo, uguale a quello in S. Nicolò di Carpi ma più tardo, firmato e datato al 1666.
Oltre ai paliotti d'altare il G. eseguì in S. Nicolò di Carpi le ancone per gli altari di S. Antonio (1653) e dell'Annunziata, nelle quali l'appariscente monumentalità delle strutture, dal disegno manierista, si accosta all'illusione imitativa dei marmi e delle pietre; nell'uso del contrasto cromatico tra finti graniti, marmi neri, bianchi e screziati, il G. mostra di aver assimilato l'insegnamento del Fassi.
Il G. si dedicò anche alla produzione di piccoli quadri per la decorazione di interni o per la devozione privata, come quello, firmato, con la scena, in bianco e nero, di S. Francesco Saverio che sbarca nelle Indie conservato nel Museo civico di Carpi. Cabassi (p. 94) descrive anche due piani da tavolo presenti in dimore patrizie carpigiane (Ballentani, Camerini) dei quali si sono perse le tracce. In essi l'apparato ornativo coniugava alla perfezione dell'insieme contenuti naturalistici e mitologici che provenivano dall'imitazione dei commessi fiorentini in pietre dure e marmi.
Il G. morì a Carpi l'8 genn. 1680 e venne sepolto nella chiesa di S. Francesco (Garuti, in Cabassi, p. 209 n. 207).
Diretto collaboratore del G. fu il fratello Pietro (1629-69) che nel 1664 aveva ricoperto l'incarico di massaro dell'arte della scagliola. Le sue opere però, non essendo firmate, possono essere uniformate con quelle del più illustre fratello.
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