GUERRIERI, Giovanni Francesco
Nacque a Fossombrone nel 1589 da Ludovico e Vittoria Draghi (Vernarecci, p. 4). Il padre, dottore in legge, notaio dal 1587 al 1617, godette di ottima stima presso i suoi concittadini (ibid.). Non si sa da chi il G. ricevette la prima educazione artistica; e neppure l'artista fornisce notizie utili al riguardo nelle sue note manoscritte, già di proprietà di Giovanni Chiavarelli, andate disperse, ma ampiamente citate da Vernarecci nella sua biografia-catalogo sul Guerrieri.
Le prime opere del G. furono eseguite per la vicina Terra di Barchi, come egli stesso accenna nella nota dei dipinti dal 1600 al 1605 (ibid., p. 16).
Si trattava di una Natività di Cristo per la chiesa di S. Giovanni, di una Madonna con il Cristo dormiente per il capitano Ascanio Lenzi e di un S. Francesco, del quale non si precisa il committente, tutte opere perdute. Sempre il G. ci informa che "del tempo che mio padre fu podestà di Mombaroccio feci uno stendardo con gli armi del conte da una parte e dall'altra della Comunità con li fregi attorno, et una Madonna per la sala del Consiglio: ebbi trenta scudi" (ibid., p. 35): si tratta ancora una volta di opere disperse ed è accertato che la commissione sia del 1602 (Allegretti; Cellini, G.F. G., 1997, p. 207). Mombaroccio era feudo dei Bourbon Del Monte; e signore ne era a quel tempo Guidubaldo, celebre matematico e collezionista di opere d'arte, fratello del cardinale Francesco Maria, protettore del Caravaggio (Michelangelo Merisi); si è supposto che quest'ultimo possa avere avuto un ruolo importante nell'introdurre il giovane marchigiano nell'ambiente artistico romano (Carloni, 1997, p. 20; Cellini, G.F. G., 1997, pp. 207 s.).
Stando alle note del G., nel 1605 egli si trovava a Pesaro, dove aveva dipinto due quadri, un S. Pelingotto e un S. Francescocon le stimmate, ora perduti, pagati al padre (Vernarecci, p. 39). Per Emiliani (1988, p. 53) qui il G. avrebbe potuto conoscere le opere di Giovanni Giacomo Pandolfi e di Federico Zuccari.
Tornato a Fossombrone il G. si andava esercitando con l'eseguire copie da Federico Fiori, detto il Barocci (Vernarecci, p. 5).
In seguito soggiornò a Roma, come egli stesso fa sapere quando segnala tra i quadri fatti nella città dal 1605 una Annunziata per la chiesa di S. Maria del Castello di Montemontanaro, opera non pervenutaci, anch'essa pagata al padre (ibid., p. 36). La permanenza a Roma dovette prolungarsi per un numero consistente di anni sia pure interrotta da ritorni in patria.
Al 1611 risale la prima opera sicura del G., firmata e datata, dipinta a ventidue anni come recita l'iscrizione appostavi, forse eseguita a Roma o in uno dei suoi rientri nella terra natia. Essa raffigura la Maddalena penitente (Fano, Fondazione Cassa di risparmio, proveniente dalla collezione Cappellani-Pace di Fossombrone, dove la vide il Vernarecci, pp. 30 s.).
Opera complessa che si basa su un gusto per i dettagli di origine nordica e su un senso della forma che richiama alla mente i toscani, specie Ludovico Cardi, detto il Cigoli (Contini, 1997, pp. 8 s.). Si è supposto inoltre un rapporto con alcuni artisti di moderato caravaggismo, fra cui Orazio e Artemisia Gentileschi (Pizzorusso, 1997, pp. 76 s.; Emiliani, 1997, pp. 47 s.). Di questa tela esiste una replica più tarda oggi nella Pinacoteca di Fano. Del primo periodo romano è anche considerata una copia della Deposizione del Caravaggio, che si trovava in origine in S. Francesco di Sassoferrato, asportata poi dalle truppe napoleoniche e trasferita a Milano dove ancora è custodita nella chiesa di S. Marco (Emiliani, 1997, p. 46).
Il 25 sett. 1611 il G. era a Fossombrone dove ricevette un pagamento per l'acquisto della tela per il quadro con la Crocifissione e santi, commissionato dalla locale Confraternita di S. Rocco (Vernarecci, pp. 31, 98 n. 38).
In un'altra nota di pagamento il fratello Andrea risulta aver ricevuto un acconto di 18 scudi per il medesimo quadro. Il 30 maggio 1612 nella revisione dei conti della Confraternita si accenna al quadro "qual fa M. Francesco Guerrieri in Roma" (ibid.). Un altro pagamento ad Andrea a Fossombrone per la pala con la Crocifissione veniva registrato il 9 nov. 1613; mentre il saldo fu rimesso al padre Ludovico il 18 giugno 1614 (ibid., p. 99 n. 38). Dell'opera, andata quasi completamente distrutta, rimane un frammento con s. Rocco e la Maddalena custodito nel Museo civico di Fossombrone di un certo effetto drammatico (Emiliani, 1997, pp. 48-50).
Il 2 giugno 1613 i padri oratoriani della Vallicella acquistarono un dipinto con i Ss. Filippo e Carlo Borromeo senza specificarne l'autore, che recentemente è stato identificato con il G. (Arcangeli, 1995; 1997).
Ritornato a Sassoferrato, il G. dipinse nella chiesa di S. Maria del Piano i miracoli di s. Nicola da Tolentino nella cappella omonima, fatta costruire nel 1613 da monsignor Vittorio Merolli archiatra di Paolo V Borghese, come ricorda lo stesso artista nelle sue memorie (Vernarecci, pp. 43 s.), ricevendo oltre a un compenso in scudi anche il rimborso delle spese per i colori e il vitto per un servitore per sé. La tela con il Miracolo della canna è firmata e datata 1614 dal pittore che si dichiara ventiseienne.
A parte il recupero di una esplicita iconografia caravaggesca del personaggio con gli occhiali, derivante dalla Vocazione di s. Matteo, si è voluto rimarcare maggiormente certa contiguità di modi con Orazio Borgianni e Antiveduto Grammatica, valutando l'eventuale appoggio al classicismo naturalistico del Domenichino (Domenico Zampieri), attivo a Grottaferrata, e alla lezione di Orazio Gentileschi, sia pure interpretata alla stregua di un semplice "Mayno di provincia" (Emiliani, 1997, pp. 55 s.). Sono da segnalare anche voci che ipotizzano influenze vouettiane e toscane (Contini, 1997, pp. 8-11), senza dimenticare certo repertorio tardomanieristico alla Simone De Magistris (Pizzorusso, 1987, p. 67). Colpisce comunque la capacità ritrattistica del G., specie nel Miracolo della canna, dove raggiunge uno dei suoi apici espressivi (Cellini, G.F. G., 1997, p. 60).
Un'altra opera firmata e datata 1614, raffigurante S. Romualdo, era indicata da Vernarecci (pp. 47 s.) nell'abbazia di Valdicastro (presso Fabriano). Tra le opere di questo periodo Emiliani (1997, p. 50) cita una S. Cecilia (Fano, Fondazione Cassa di risparmio), molto consunta. Sempre in Sassoferrato, e ancora in S. Maria del Piano, c'è una tela con la Vergine, il Bambino e i ss. Agostino e Monica, firmata e datata 1615, commissionata da Nicola Volponi, anche questa segnata nelle note perdute del G. (Vernarecci, p. 44). In essa si adombrano, oltre alle note gentileschiane, imprestiti da Andrea Boscoli con accentuati toni da pittura riformata (Emiliani, 1958, pp. 72 s.).
La tela con la Croce, la Vergine, s. Giovanni e la Maddalena (Pesaro, Fondazione Cassa di risparmio) sembra risentire degli affreschi fabrianesi nella cattedrale di S. Venanzo di Gentileschi, miscelando le novità naturalistiche con le vecchie solennità senza tempo (Emiliani, 1997, p. 61).
A ridosso degli affreschi fabrianesi andrebbe valutata la dibattutissima pala con S. Carlo orante nella cattedrale di Fabriano, variamente attribuita al G. o a Gentileschi, oppure eseguita per metà da entrambi, iniziata da Gentileschi e terminata dal G. (Carloni, 2001).
La pala con la Circoncisione in S. Francesco di Sassoferrato, menzionata dal G. nelle sue note (Vernarecci, p. 40), riconferma l'aggancio con le opere fabrianesi di Gentileschi (Carloni, 2001). Commissionata dalla Confraternita del Sacramento il 30 ott. 1614 con l'impegno di consegnarla entro il Natale del 1615; forse per un ritardo di pagamento l'accordo fu reso noto dal G. il 3 nov. 1618 (Id., 1997, p. 27 n. 34).
Sul finire del 1615 il G. fu chiamato a Roma dal principe Marcantonio Borghese per decorare alcuni ambienti nel palazzo di famiglia in Campo Marzio (Fumagalli, 1994) e in tali lavori ricevette l'aiuto di alcuni collaboratori: il fratello Federico, Francesco Fransi, Abele Rampunion, Ambrogio Lucenti e un tal Avantino, che si è voluto identificare con Avanzino Nucci (Della Pergola, 1956, pp. 214-237).
I pagamenti si susseguono dal 28 nov. 1615 al 6 sett. 1618 per le decorazioni eseguite in tre camere al piano nobile verso il giardino, per un fregio su tela in una camera dell'appartamento vecchio verso la piazza e per alcuni quadri con funzioni di sovrapporte. I lavori in palazzo Borghese evidenziano un notevole impegno del G. sotto il profilo sia iconografico, sia stilistico. Nel primo caso è stata dimostrata (Della Pergola) la dipendenza soprattutto dal testo di Cesare Ripa e nel secondo sembrano accumularsi svariati spunti, a cominciare da Raffaello, dai toscani riformati e dai bolognesi (Domenichino, Guido Reni), per finire con i caravaggeschi nordici e con i naturalisti moderati quali Grammatica o Alessandro Turchi (Emiliani, 1997, pp. 65-74). L'intervento nella prima sala dalla parte della scala ovale è andato perduto; mentre la decorazione del secondo ambiente è ancora visibile e raffigura complessi temi allegorici, interpretati come Trionfi (Della Pergola), riguardanti la Religione e le Virtù, Apollo e le Muse (riquadro firmato e datato 1617), la Teologia e le Scienze, la Giovinezza e la Perseveranza (Fumagalli, 1997, pp. 29-35). Anche la terza sala, vicina a quella delle citate allegorie, presenta alcuni riquadri attribuibili al G. e ad aiuti (ibid., pp. 33 s.); purtroppo le scene principali del fregio sono state sostituite con tele di paesaggi verso la fine del Settecento (Fumagalli, 1994, pp. 57 s.). Perduto il fregio per una sala d'angolo nell'appartamento vecchio (con pagamenti nel settembre 1617), restano invece alcune delle sovrapporte fatte eseguire dal principe Marcantonio Borghese: si tratta di Lot e le figlie, dipinto sul finire del 1617 e di un S. Rocco, realizzato a metà del 1618, entrambi oggi nella Galleria Borghese (Della Pergola, 1959, pp. 94-96; Cellini, G.F. G., 1997, p. 210). Ultimamente si è avanzata l'ipotesi che anche un Ratto di Europa, in collezione privata romana, possa essere identificato con il sovrapporta di uguale soggetto, eseguito dal G. a metà del 1618 sempre per Marcantonio Borghese, con la collaborazione di Abele Rampunion per il paesaggio (Cellini, G.F. G., 1997, p. 80). Il dipinto fu tradotto in incisione dal G. nel 1621 (Vernarecci, p. 10; Cellini, G.F. G., 1997, p. 164). Due disegni sono stati individuati nella Biblioteca comunale di Urbania, limitati all'abbozzo della figura centrale (Cellini, G.F. G., 1997, p. 169) e si è notato come nei conti Borghese siano trascritti pagamenti per l'acquisto di carta "reale e fina", a testimonianza dell'esercizio grafico del Guerrieri. È anche interessante rilevare che sia per le decorazioni delle stanze, sia per l'esecuzione delle sovrapporte risulta dai documenti che furono pagate tramite il G. diverse persone per essere ritratte dal naturale e questo spiegherebbe la vivezza di certi atti e fisionomie. Tutte le opere dipinte per il principe Borghese rivelano, a parte alcune diverse accentuazioni stilistiche, una particolare atmosfera culturale, con sfoggio di abiti, acconciature e gioielli, che sembra "assommare in sé esperienze romane, toscane, fiamminghe, classiche e rivoluzionarie" (Della Pergola, 1959, p. 95).
A questo stesso momento apparterrebbero due tele, una con Giuseppe che spiega i sogni (Galleria Borghese: Emiliani, 1997, pp. 75-77), l'altra con Ercole e Onfale (collezione privata: Della Pergola, 1959, p. 95). Altre opere sono da considerarsi affini e da includere nell'ultimo periodo romano.
Esse sono l'Adorazione dei pastori (Papi, 1997, p. 88) e il S. Francesco (Cellini, G.F. G., 1997, pp. 83-85) della Galleria Doria Pamphili; la Madonna col Bambino e s. Giovannino, già Velletri, Museo capitolare (Carloni, 1997, pp. 24 s.; Cellini, G.F. G., 1997, pp. 85 s.); dalla Giuditta e Olofernecon la fantesca a Pesaro, Banca popolare dell'Adriatico (Emiliani, 1997, p. 85); e negli anni immediatamente successivi Lot e le figlie a Manchester, City Art Gallery (Cellini, G.F. G., 1997, p. 191). Pure al periodo romano in questione è stata ricondotta la bella Madonna col Bambino (Roma, collezione privata: Emiliani, 1997, p. 83), dove al naturalismo caravaggesco si sovrappongono la grazia e la dolcezza di un Guido Reni o di un Domenichino. Una piccola tela con Madonna col Bambino (Modena, seminario arcivescovile) è stata inserita tra i lavori del periodo romano, del primo più che del secondo periodo, se si accetta l'ipotesi di Mazza, con accostamenti a modelli del Caravaggio, a certe trasparenze delicate alla Gentileschi e al cromatismo denso di Borgianni. Controversa è la datazione, tra la metà del secondo decennio e la metà del terzo, del S. Sebastiano curato (Milano, arcivescovado, già nel monastero dei silvestrini di Serra San Quirico, Ancona: Cellini, G.F. G. Un pittore…, 1997, p. 90).
Appena tornato da Roma, il G. dovette dipingere la Visitazione (Serraungarina, parrocchiale), dalla cui lettura traspare una studiata commistione di verità naturalistiche e di idealismi di maniera, ripetendo, certo in forma attenuata, quel gusto per i dettagli e per l'ornato elegante profuso nelle opere romane borghesiane, pervenendo alla fine a una traduzione schiettamente e deliberatamente domestica di quella fondamentale esperienza di stile. Un piccolo modello per la testa di S. Elisabetta è stato rintracciato a Besançon, Musée des beaux-arts (Cellini, G.F. G., 1997, p. 87).
Negli anni a seguire, lavorando soprattutto tra Fossombrone e Fano, il G. si aprì con prontezza a modificare le sue declinazioni naturalistiche in relazione alla crescente presenza in quell'area, a Fano in modo particolare, di opere della pittura bolognese, del Domenichino e di Reni specialmente (Emiliani, 1997, pp. 89-94). E questo ampliarsi e distendersi della forma già lo si scorge nella Madonna della cintura coi ss. Monica eAgostino nella chiesa di S. Agostino a Fossombrone, firmata e datata 1621 (ibid., pp. 89-91).
Nei successivi lavori per S. Filippo a Fossombrone, il G. confermò e rafforzò la tendenza già presente nella pala agostiniana. Difatti la tela con la Madonna col Bambino, santi e i cinque martiri forosempronesi, commissionata sul finire del 1620 (con pagamenti dal 1621 al 1623: Emiliani, 1997, pp. 91 s.), denota una certa attrazione per la colta accademia dei bolognesi, che induce a tornire le figure, pur rimanendo l'artista nell'ambito di un eloquio più semplice e concreto.
Alla pala filippina è stata accostata anche un'opera raffigurante il Miracolo dei pani e dei pesci (Fano, Fondazione Cassa di risparmio), proveniente dalla chiesa fanese dei Ss. Filippo e Giacomo, poi tradotta a Milano nel 1811, scomparsa alla fine dell'Ottocento e riapparsa sul mercato antiquario agli inizi degli anni Novanta (Cellini, G.F. G., 1997, pp. 188 s.).
Nel S. Barnaba orante, anch'esso in S. Filippo a Fossombrone, si è voluto cogliere un'eco della pala dei Ss. Orso ed Eusebio di Ludovico Carracci, inviata nel 1613 nel duomo di Fano e del S. Paolo nell'atto di resuscitare Eutichio di Lorenzo Garbieri in S. Pietro in Valle sempre a Fano, per il gusto di un panneggiare più ampio e di un luminismo più deciso (Emiliani, 1997, p. 92).
Nella S. Caterina da Siena, firmata e datata 1622, già nella chiesa delle monache di S. Agata, sempre a Fossombrone, poi trasferita nel locale municipio (Vernarecci, p. 29) e oggi in cattedrale, risalta con maggiore evidenza il tentativo di una forma più dinamicamente concepita, forse in relazione alla pubblica visione di opere di Giovanni Lanfranco (Emiliani, 1997, p. 92). Di notevole spicco il brano di natura morta ai piedi della santa, di una vivezza e intensità tali da richiamare Borgianni. Proprio in base a queste presenze, riscontrabili in altre opere a partire dalla Maddalena del 1611, si è radunato uno sparuto gruppo di nature morte autonome, fra cui due tavolette pubblicate da Salerno, una delle quali contrassegnata da monogramma e data ("fg" 1620), anche se non c'è stata sinora unanimità di consensi circa l'attribuzione al G. di tutto il gruppetto (Cottino, pp. 667, 675; Emiliani, 1997, pp. 51-53).
Il S. Michele Arcangelo, firmato e datato 1624, in S. Filippo a Fossombrone, donato alla chiesa dall'oratoriano Michelangelo Azzi per disposizione testamentaria del 1662 (Vernarecci, p. 27), la Vergine con il Bambino e santi (Pergola, S. Maria), e la Madonna con il Bambino e i ss. Clemente e Barnaba (Calmazzo, frazione di Fossombrone, S. Maria del Carmine: Luzi) si inseriscono in quel momento di massimo adattamento del G. ai modelli emiliani, specie quelli di Lanfranco, come viene ulteriormente confermato dalla bella pala di Arcevia, Madonna col Bambino e i ss. Francesco, Pietro e Giacomo, conservata in palazzo Anselmi, proveniente dalla chiesa dei Ss. Giacomo e Pietro, di pertinenza dei cappuccini (Vernarecci, p. 95), a fine Ottocento acquistata da Anselmo Anselmi. Opera questa di alto equilibrio compositivo, ben calibrata nelle forme e nei toni, con risultati simili a Turchi e con reminiscenze del Reni romano e del Lanfranco marchigiano (Cellini, G.F. G., 1997, p. 99).
Pure in questi indaffaratissimi anni Venti si colloca una serie di altre opere.
Tra questi sono il Martirio di s. Sisto, commissionato da Guido di Carpegna, dopo il 1622 (Emiliani, 1997, pp. 119 s.); la Giuditta ed Oloferne, firmata e datata 1626, in collezione privata (ibid., p. 193); e la Madonna con il Bambino e s. Francesco nella cattedrale di Fossombrone permeata di quella poetica umile del G., sostanziata di vigorose sensazioni, colte nella loro elementare essenzialità (Emiliani, 1958, p. 86). E, ancora, nel palazzo vescovile forosempronese, la Trinità appare a s. Giovanni di Matha (Cellini, G.F. G., 1997, p. 196), o nella stessa cattedrale la Vergine col Bambino e s. Anna, firmata e datata 1627, commissionata da Ottavio Brollini, opera di timbro arcaicizzante. Del 1629 è la Vergine col Bambino e s. Filippo Neri della cattedrale di Fabriano.
A poco oltre la metà degli anni Venti risale la prima attività ritrattistica documentata del Guerrieri.
Vernarecci (p. 24) aveva per primo elencato sulla base di alcune note dello stesso G. vari ritratti fino a oggi non rintracciati; tuttavia restano altre prove di questa sua attività. Innanzitutto va menzionato il ritratto firmato di Monsignor Sebastiano Gentili (Foligno, collezione Spinola-Gentili) che fu governatore di Fano, come si deduce anche dall'iscrizione, nel 1627 (Ricerche in Umbria, p. 478), anno probabile di esecuzione del dipinto (Barroero). Poi, il ritratto di Vincenzo Nolfi (Fano, Pinacoteca civica), in cui è visibile un sonetto datato 1628 composto dal letterato effigiato in onore del G. (Cellini, G.F. G., 1997, pp. 102 s.), di fattura più semplificata e piatta, anche in relazione a un mediocre stato di conservazione. Altri due ritratti, di un gentiluomo e di una gentildonna nel Museo civico di Fossombrone, provenienti dalla casa dei filippini, sono testimonianza delle spiccate doti in tal genere del G., che con semplici tratti sa penetrare nell'intimo dei personaggi. Nel 1632 il cardinale Giovanni Francesco Passionei, scrivendo da Roma al nipote in Fossombrone, richiedeva al G. un ritratto a olio (andato perduto) del beato Benedetto Passionei, che l'artista aveva effigiato già nel 1630 sempre su richiesta del medesimo prelato in un dipinto tradotto in stampa da Luca Ciamberlano (Cellini, G.F. G., 1997, pp. 164-166). Nell'oratorio adiacente alla chiesa romana dell'Immacolata Concezione, fatta costruire per i cappuccini dal cardinale Antonio Barberini nel 1626, resta una Sacra Famiglia ritrovata da L. Carloni (1997, p. 23), stilisticamente affine alla Maddalena penitente in collezione privata a Fano (Emiliani, 1997, pp. 141 s.). Fra i ritratti più tardi sono da ricordare quelli dei due coniugi appartenenti alla famiglia Ripanti, riconoscibili dallo stemma del casato (collezione privata: Cellini, G.F. G., 1997, pp. 121 s.), o il ritratto del folignate Vincenzo Ugolini (Pesaro, Assoindustria Pesaro-Urbino: Cerboni Baiardi).
Un problema a parte costituisce la decorazione della cappella di S. Carlo Borromeo in S. Pietro in Valle a Fano, dove spiccano le tele con la Visione di s. Carlo, S. Carlo ed il nobile Petrucci in abito di mendico e il Miracolo del bimbo nato cieco.
La datazione di queste opere, tra la fine degli anni Venti e l'inizio degli anni Trenta (Emiliani, 1997, pp. 111-114), lascia leggermente perplessi e si è tentati in base allo stile di anticiparla, tenendo presente anche quanto suggerito da L. Carloni (1995, p. 222) per gli insistiti rimandi al franco naturalismo degli anni immediatamente successivi al soggiorno romano. Una replica della Visione di s. Carlo è a Fano, Fondazione Cassa di risparmio (Emiliani, 1997, pp. 114 s.). Committente della decorazione fanese fu la famiglia Petrucci, Pietro e la moglie Elisabetta Manasangue, nobildonna di Fossombrone, di cui sono stati accertati i legami con gli oratoriani di Fossombrone e di Fano (Carloni, 1995, pp. 222-226). La collezione di opere d'arte di Pietro Petrucci conteneva tra l'altro diverse opere del G. tra cui le Quattro Virtù cardinali, ora nell'episcopio di Fano (ibid.).
Anche gli anni Trenta e Quaranta registrano un'intensa attività artistica del Guerrieri.
Vale la pena ricordare almeno alcune delle opere sicure di migliore qualità: il Sogno di s. Giuseppe, firmato e datato 1631, già in S. Pietro in Valle, ora nella Pinacoteca civica di Fano, accostabile agli esiti di un Pasquale Ottino o di Domenico Fiasella (Emiliani, 1997, p. 115); il S. Carlo Borromeo in gloria a Mercatello sul Metauro, collegiata di S. Veronica; il S. Giacomo della Marca, firmato e datato 1631, a Fossombrone, Ss. Annunziata; e la pala della parrocchiale di Montemontanaro con la Vergine e santi da cui traspare una sensibile influenza di Claudio Ridolfi che conferisce un più vibrante nobile respiro all'arte del G. (ibid., p. 127). Di accentuato purismo è la Vergine col Bambino e s. Antonio da Padova, a Saltara, S. Maria del Gonfalone, una cui replica è segnalata da Contini nella cappella di Strada nel Casentino (ibid. pp. 128 s.). La Vergine che porge il Bambino a s. Francesco e s. Caterina (Fossombrone, Museo civico, proveniente da S. Bernardino), firmata e datata 1636, ostenta nobiltà di forme e di atti e un nuovo e delicato luminismo per effetto della pittura bolognese e del Guercino (Giovanni Francesco Barbieri) in particolare. Negli anni Quaranta sono da citare il S. Filippo in estasi (Mercatello sul Metauro, Madonna del Metauro), e il S. Pietro in carcere (Urbino, Galleria nazionale), di controversa datazione. Due dipinti entrambi firmati e datati 1649 sono il Martirio dei ss. Simeone e Giuda (Mondolfo, S. Maria del Soccorso), e la Sacra Famiglia (Fossombrone, Quadreria Cesarini, proveniente da casa Chiavarelli: Vernarecci, p. 31), che ben rappresenta la fase tarda del G., quando egli attenua il naturalismo con cadenze più morbide che, oltre a rammentare il Guercino, richiamano anche la pittura di Simone Cantarini. E proprio a quest'ultimo potrebbero rinviare il S. Antonio da Padova con il Bambin Gesù (Fossombrone, Ss. Annunziata), ma specialmente il S. Antonio (Osimo, S. Silvestro) del 1651, come si deduce da una lettera al G. del 21 agosto dello stesso anno di padre Francesco Maria della Ripa (ibid., p. 37). Il dipinto fa coppia con un S. Antonio Abate; ed entrambe le opere fanno da contorno alla pala con la Vestizione di s. Silvestro (Zampetti).
L'ultima produzione registra un sussulto con il S. Vittore (Urbino, Galleria nazionale, proveniente da S. Lucia), firmato e datato 1654, opera di buona tenuta stilistica, che sembra sublimare quel rinnovato senso di cordialità e naturalezza più sciolta sulla scia del Guercino (Emiliani, 1997, p. 155). Dopo il 1650 il G. eseguì anche la pala in S. Girolamo di Saludecio raffigurante S. Giuseppe, il Bambino, s. Agata e l'angelocustode in cui si è ipotizzato un intervento, sia pure ridotto, della figlia Camilla, nata nel 1628 dal matrimonio (1624) con Emilia Luzi (Cellini, G.F. G., 1997, pp. 157-159), e sua presunta collaboratrice in altre opere tarde (Giardini). Nel 1655, il 29 aprile, a Fossombrone Camilla sposò Paolo de' Nati, vicecastellano della Rocca Costanza di Pesaro. In questo stesso anno il G. si trasferì con la figlia e il genero a Pesaro, a sancire così lo stretto legame, oltre che affettivo, professionale tra loro due, del resto esplicitamente dichiarato in una lettera dello stesso G. da Pesaro il 24 luglio 1655 (Vernarecci, p. 56). L'anno dopo il G. firmò e datò l'ultima opera conosciuta: la Madonna col Bambino, s. Anna e s. Carlo Borromeo nel santuario della Beata Vergine di Bonora di Montefiore Conca (Forlì), proveniente dalla chiesina di S. Rocco, ispirata per la composizione a una tela della cattedrale di Fossombrone opera di Ridolfi, l'artista verso cui si rivolse sempre più il G. negli ultimi tempi della sua attività.
Di essa sono noti anche due disegni preparatori, uno a Perugia, Galleria nazionale (Sapori, 1988, p. 92) e l'altro a Urbania, Biblioteca municipale (Cellini, G.F. G., 1997, p. 182), dove tuttora si conserva un discreto numero di disegni del G. arricchito da qualche ulteriore ritrovamento a Fermo, Biblioteca comunale e a Fossombrone, Biblioteca civica Passionei (ibid., pp. 179-182).
Il 3 sett. 1657 il G. morì a Pesaro, dove venne sepolto nella chiesa di S. Domenico (Fontebuoni, p. 7).
Fonti e Bibl.: A. Zani, Enc. metodica… delle belle arti, X, Parma 1819, p. 232; L. Lanzi, Storia pittorica della Italia, VI, Milano 1831, p. 134; S. Ticozzi, Dizionario…, II, Milano 1831, p. 255; G. Rosini, Storia della pittura italiana, VI, Pisa 1846, p. 172; A. Vernarecci, Di tre artisti fossombronesi: G.F. G., Camilla Guerrieri, Giuseppe Diamantini, Fossombrone 1892, passim; P. Della Pergola, G.F. G. a Roma, in Bollettino d'arte, IV (1956), pp. 214-237; A. Emiliani, G.F. G., Urbino 1958; P. Della Pergola, La Galleria Borghese. I dipinti, II, Roma 1959, pp. 86 s., 94-96, 219; Ricerche in Umbria 2, Treviso 1980, pp. 72, 478, 485 s.; L. Fontebuoni, Ritratti dei Della Rovere di Camilla Guerrieri, Pesaro 1981, p. 7; L. Salerno, La natura morta italiana, Roma 1984, pp. 74 s.; C. Pizzorusso, Rivedendo il Gentileschi nelle Marche, in Notizie da palazzo Albani, I (1987), pp. 57-75; A. Emiliani - G. Sapori, G.F. G. da Fossombrone. Dipinti e disegni. Un accostamento all'opera (catal.), Bologna 1988; R. Contini, La pittura del Seicento ad Arezzo…, in La pittura in Italia. Il Seicento, I, Milano 1989, p. 355; E. Cottino, in La natura morta in Italia, a cura di F. Zeri, II, Milano 1989, pp. 667, 675; L. Barroero, in La pittura del Seicento. Ricerche in Umbria, Spoleto 1989, p. 159; P. Zampetti, Pittura nelle Marche, III, Dalla Controriforma al barocco, Firenze 1991, pp. 302 s.; G. Papi, Due o tre precisazioni sul naturalismo di G.F. G., in Bollettino d'arte, LXXVI (1991), 68-69, pp. 147-156; G. Allegretti, Monte Baroccio, 1513-1799, Pesaro 1992, pp. 111-113; E. Fumagalli, Palazzo Borghese, Roma 1994, pp. 53-64; L. Arcangeli, in La regola e la fama. S. Filippo Neri e l'arte (catal.), Roma 1995, pp. 537 s.; L. Carloni, ibid., pp. 210-229, 544 s.; A. Emiliani, G.F. G. (catalogo delle opere a cura di A. Emiliani - M. Cellini), [Milano] 1997; M. Luzi, ibid., p. 193, scheda; A. Mazza, ibid., pp. 186 s., scheda; Provincia di Pesaro e Urbino, G.F. G. nella sua terra, Pesaro 1997; G.F. G. Un pittore del Seicento tra Roma e le Marche (catal., Fossombrone), a cura di M. Cellini - C. Pizzorusso, Venezia 1997; R. Contini, G., naturalista ondivago, ibid., pp. 7-17; L. Carloni, Il giovane G. tra Sassoferrato, Fabriano e Roma. Alcuni inediti, ibid., pp. 19-27; E. Fumagalli, G.F. G. a palazzo Borghese, ibid., pp. 29-35; L. Pizzorusso, ibid., pp. 76 s.; L. Arcangeli, ibid., pp. 78 s.; C. Caldari, ibid., pp. 86 s.; G. Papi, ibid., p. 88; M. Cellini, ibid., pp. 90 s.; A. Cerboni Baiardi, ibid., pp. 118 s.; C. Giardini, Camilla Guerrieri, 1628 - post 1690, Fano 1999, passim; L. Carloni, Orazio Gentileschi tra Roma e le Marche, in Orazio e Artemisia Gentileschi (catal.), Milano 2001, pp. 124 s.; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XV, pp. 242 s.