COSTA, Giovanni Francesco
Nato a Venezia nel 1711, dovette esordire come pittore prospettico nella stessa città poco dopo l'inizio del quarto decennio del secolo se, come scrive il Moschini (1924, p. 148), alla morte del Carlevariis (1731) "incominciava a lavorare nello stesso genere". La prima notizia documentaria sul suo conto riguarda l'iscrizione nel libro della fraglia veneziana dei pittori nel 1734, anche se non è possibile affermare, come si è fatto comunemente, che tale data stia ad indicare l'inizio di una iscrizione ininterrotta fino al 1773, l'anno della morte registrato accanto ad essa nell'ultima lista del libro (E. Favaro, L'arte dei pittori in Venezia..., Firenze 1975, p. 159).
Le notizie relative alla formazione artistica sono scarse e vaghe. Sempre il Moschini (ed. 1924) lo ricorda come "pittore in architettura e prospettiva, seguace de' Mingozzi Colonna", mentre la maggioranza degli autori più recenti lo ritiene senz'altro allievo di G. Mengozzi Colonna e di G.B. Crosato. Non si può dubitare in ogni caso che il C. dovette effettivamente essere in rapporto con il Mengozzi e il Crosato fin dagli inizi della sua carriera, anche se non è possibile chiarire, allo stato attuale delle nostre conoscenze, la sua posizione nei loro confronti quale allievo, seguace o collaboratore. Il legame che lo unisce ai due più anziani maestri è stabilito comunque dalla comune attività nell'ambiente teatrale; infatti è assai probabile che il C. fosse stato tra gli aiuti del Mengozzi negli anni in cui questi lavorava come scenografo per il teatro di S. Giovanni Crisostomo (1731-33) e che avesse avuto già occasione di affiancare il Crosato nella realizzazione di scene per il medesimo teatro ancor prima del 1742, anno in cui è documentato come suo collaboratore. Se ne può forse trovare una conferma indiretta nelle note biografiche del Moschini, secondo il quale il C. era "agli stipendi" del teatro di S. Giovanni Crisostomo e "ivi presso avea soggiorno", nonché nella sua fedeltà alla famiglia Grimani che lo gestiva e alle successive iniziative teatrali degli stessi Grimani. Ma se si deve credere che le prime esperienze del C. si siano svolte nell'ambito teatrale, nulla si sa dei suoi studi giovanili che compresero verosimilmente, oltre alla prospettiva, alla quadratura e alla pratica dell'incisione, l'architettura vera e propria, a giudicare dalle opere conosciute nelle quali la cultura architettonica ha una parte predominante. Lo stesso C. si qualifica peraltro "architetto e pittore" e come tale viene costantemente indicato dai documenti e dalle fonti che lo ricordano pure come "ingegnere teatrale", cioè progettista di macchine sceniche. Un suo allievo, Giovanni Paolo Gaspari, architetto e pittore, dichiarerà di avere imparato dal C. "l'architettura e varie filosofiche scienze" (cfr. Moschini, 1806).
L'attività documentata inizia nel 1742 a Torino, dove il C. era stato chiamato dal Crosato a collaborare alle scenografie delle due opere in programma per la stagione di carnevale del teatro Regio: il Caio Fabricio di P. Auletta e il Tito Manlio di N. Iommelli. Il Crosato aveva sottoscritto il 20 febbr. 1742 con la Società dei nobili cavalieri che aveva in gestione il teatro un contratto per la realizzazione delle scene impegnandosi a far venire a Torino, "per tutto il prossimo mese di maggio le persone di sperimentata abilità massimamente in architettura necessarie" (Viale Ferrero, 1980, p. 519). Sappiamo che dopo aver preso tale impegno il Crosato si era recato a Venezia verosimilmente anche per ingaggiare in tempo utile, e cioè prima del mese di maggio in cui dovevano iniziare i lavori per il Regio, i suoi collaboratori. Fra questi il C. ebbe una posizione di assoluto rilievo affiancando a pari titolo il Crosato nella progettazione delle scenografie come risulta dal libretto del Tito Manlio che indica entrambi gli artisti come "inventori e direttori delle scene".
La Viale Ferrero (1980, p. 162), supponendo che il Crosato e il C. si dividessero i lavori secondo le rispettive inclinazioni e specializzazioni, immagina che il C. avesse ideato per il Caio Fabricio almeno la scena V con "Fabbriche antiche diroccate, in vicinanza del Palazzo del Pubblico" della quale rimane forse una memoria in un dipinto di P.D. Oliviero raffigurante l'interno del teatro Regio (Torino, Museo civico). Ma l'impegno dei due scenografi fu rivolto soprattutto, come si evince dai documenti relativi alle spese, alla seconda opera che offriva "ben altre... risorse spettacolari", e l'apporto del C. in particolare dovette essere determinante nell'ultima scena con il "Prospetto del Campidoglio dalla parte del Foro con archi, obelischi e trofei adorni con apparati festivi..." della quale non ci rimane alcuna testimonianza illustrativa.
È importante rilevare tuttavia che allo stesso momento appartiene almeno un'incisione, datata 1743, di quella che è probabilmente la prima serie grafica pubblicata dal C. con il titolo Rovine d'archi templi terme anfiteatri sepolcri et altri edifizi sul gusto antico inventate et incise da Gio. Francº. Costa Arcº. Veº. (10acqueforti, secondo il catalogo del Mason, 1979), nella quale l'artista ci offre una elegiaca rievocazione dell'antichità senza indulgere al capriccio pittoresco, dimostrando al contrario "una notevole indipendenza dal rovinismo degli altri artisti veneti, come il Ricci o il Canaletto" (Viale Ferrero, 1962, p. 63). La presenza di una serie completa di frontespizio, noto in un solo esemplare, conservato nella Biblioteca nazionale di Torino, proveniente dalla biblioteca del re, potrebbe confermare che la pubblicazione dell'opera ebbe luogo in coincidenza col soggiorno torinese del C. nel 1743. L'anno seguente il C. ritornò a Torino, questa volta da solo, dietro invito del nuovo direttivo del teatro.
Dal verbale dell'adunanza del 21 marzo 1744 si apprende che il conte di Monteu, membro del direttivo, aveva scritto al C. di "essersi studiato di farlo preferire ad ogni altro" se le sue richieste fossero state moderate, sollecitandone "una positiva risposta"; il 31 marzo gli veniva inviato a Venezia il contratto, che fu sottoscritto dal C. il 18 aprile, "per dipingere gli scenari dell'opera del futuro Carnovale" con un primo compenso di 350 doppie per le spese di viaggio e di sistemazione. Nell'adunanza del 5 giugno si sceglieva come prima opera l'Alessandro nelle Indie, un dramma metastasiano di successo, che fu affidato per la musica al Gluck col nuovo titolo di Poro. Il 26 novembre il C. aveva già approntato e provato le scene e otteneva il permesso di andarsene a Venezia a patto che fosse di ritorno a Torino per il 25 gennaio. Il giorno successivo otteneva invece il saldo del compenso dovutogli e lasciava definitivamente Torino. Dalla nota di pagamento risulta inoltre che egli si era impegnato a fornire le scene anche per la seconda opera di quella stagione, la Conquista del vello d'oro di G. Sordella (tutti i docc. in Viale Ferrero, 1980, pp. 521 ss.); la notizia trova conferma nei libretti dei due melodrammi che lo menzionano come "inventore ingegnere e pittore delle scene" (Schede Vesme, 1963, p. 369).
Negli anni successivi al soggiorno torinese il C. sembra dedicarsi, per quanto ne sappiamo, interamente all'incisione e alla pubblicazione di scritti scientifici.
Nel 1746 vedeva la luce a Venezia "appresso Angiolo Pasinelli" un'edizione del trattato Delli cinque ordini di architettura del Palladio illustrata dal C., al quale si devono la decorazione del frontespizio firmata "G. F. Costa I. ", e le cinque vignette orna-mentali (delle quali una è firmata, un'altra datata 1746) che precedono le tavole dedicate a ciascun ordine. Le firme del C. saranno soppresse nella seconda edizione del libro di L. Bassaglia (Venezia 1784). Nel 1747 uscivano a Venezia gli Elementi di prospettiva esposti da Gianfrancesco Costa, volume in 8º con un elegante frontespizio inciso e 22 tavole in cui l'esemplificazione grafica è animata da vivaci ambientazioni paesistiche e da figure.
Il 6 gennaio di quello stesso anno il C. aveva chiesto al Senato il privilegio privativo per la sua maggiore e più celebre raccolta di stampe dedicata alle ville della riviera del Brenta, facendo presente che sarebbe stata "faticosissima e dispendiosissima, e avrebbe richiesto incredibile fatica e impiego di tempo, per l'esattezza delle misure per le quali si sarebbe resa necessaria la sua continua assistenza"; privilegio che gli fu concesso per dieci anni in data 11 marzo 1748 (Gallo, 1941, p. 20). Due anni dopo, il I tomo della raccolta veniva pubblicato "appresso l'autore" con il titolo Delle delicie del fiume Brenta espresse ne palazzi e casini situati sopra le sue sponde dalla sboccatura nella laguna di Venezia fino alla città diPadova disegnate ed incise da Gianfrancesco Costa architetto e pittore veneziano. Esso comprende 70 incisioni: un frontespizio, una carta topografica del corso del fiume e 68 vedute di ville da Lizza Fusina a Mira. Il II tomo, pure di 70 tavole, comprendente un altro frontespizio, la pianta topografica e 68 vedute da Dolo a Padova, dovette invece essere pubblicato nel 1756, data che figura sull'esemplare nel Civico Museo Correr di Venezia.
Le Delicie, che riproponevano, a distanza di circa quarant'anni dalle opere di V. Coronelli (c. 1711)e J. C. Volkammer (1714), la formula della grande raccolta documentaria sulle ville del Brenta, ma con un impegno completamente nuovo, ispirato dal più moderno vedutismo topografico, ebbero grande fortuna, come provano le riedizioni (1762, stando all'esemplare della Biblioteca naz. Marciana di Venezia) e le edizioni postume di Albrizzi e Zatta (cfr. Mauroner, 1940, pp. 491 s.). Quest'opera che costituisce il maggior titolo di merito del C., è il frutto di pazienti e scrupolosi rilevamenti effettuati con l'aiuto della camera ottica, nell'intento di fornire una completa e obiettiva illustrazione dei luoghi. Lo studio delle incisioni del Canaletto, pubblicate fra il 1744 e il 1746, consente al C. di superare gradualmente gli schemi meccanici dei riproduttori nella messa a punto di una tecnica più duttile e immediata, sensibile ai valori luministici e atmosferici, e di restituire il senso dello spazio reale mediante la libera scelta del punto di vista lungo il percorso del burchiello "segno visibile della continuità delle acqueforti" (Calabi, 1915, p. 227).
A partire dal 1751 il C. riprendeva l'attività di scenografo, lavorando per il teatro di S. Samuele, di proprietà dei Grimani, che lo avevano ricostruito dopo l'incendio del 1747 con l'intenzione di farne il primo teatro d'opera buffa di Venezia.
Tale attività appare documentata dai libretti delle opere Demetrio di D. Perez (1751), Ginevra di F. Bertoni (1753), il Filosofo di campagna di B. Galuppi (prima rappresentazione del 1754), Li matti per amore di G. Cocchi, Tamerlano di G. Cocchi e G.B. Pescetti, Ezio di G. Scarlatti (tutte rappresentate nel 1754), lo Speziale di V. Pallavicini e D. Fischietti (prima rappresentazione del 1755) e il Povero superbo del Galuppi (nello stesso anno).
Infine, nel 1755, riceveva dai Grimani la commissione più importante della sua carriera di architetto legato all'ambiente teatrale, cioè l'incarico di costruire il teatro di S. Benedetto, che fu l'unico ad essere progettato ex novo, a Venezia, durante il Settecento.
Il contratto, che porta la data del 25 apr., prevedeva una struttura a ferro di cavallo, cinque ordini di palchi e ventinove scomparti, "con scale di pietra, atrii e palchi tutti salizati; con atrio magnifico di 80 piedi, ed altre molte adiacenze di comodo e magnificenza". I lavori venivano compiuti, secondo la volontà dei committenti, in brevissimo tempo: l'apertura del teatro aveva luogo in dicembre e, nell'autunno del 1756, il C. con l'aiuto di Domenico e di C. Giuseppe Fossati completava le decorazioni interne ed i palchi. Una iscrizione, che si trovava probabilmente nell'atrio del teatro, distrutto da un incendio nel 1774, ricordava l'autore e le date della costruzione: "J. Franciscus Costa Venetus architectus, et pictor extruxit anno 1755. Exornavit anno 1759" (cfr. Mangini, 1974, p. 153 n. 6). Il disegno originale della pianta si conserva nel Civico Museo Correr di Venezia.
Le cronache registrano il successo del nuovo teatro, che tolse assai presto il primato al S. Giovanni Crisostomo e finì per diventare un luogo pubblico di rappresentanza in occasione di visite ufficiali di sovrani e dignitari stranieri. Naturalmente il C. fu anche il suo primo scenografo, approntando le scene per le opere Artaserse di A. Pampani e Semiramide riconosciuta di F. Brusa rappresentate nel 1756, quelle per l'Adriano in Siria probabilmente dello stesso Brusa, il Catone in Utica di V. Ciampi e Sesostri di B. Galuppi nel 1757, La Nitteti di G. A. Hasse nella prima rappresentazione italiana del 1758, l'Ezio di G. Scarlatti e il Demofoonte di G. Cocchi (in collaborazione con l'Urbani) nel 1759. Dall'anno successivo lo troviamo di nuovo impegnato per i teatri specializzati nel genere comico.
I Notatori ... Gradenigo accennano in data 20 ott. 1760 alla rappresentazione di tre opere buffe e tre nuovi drammi del Goldoni presso il teatro S. Angelo aggiungendo, senza ulteriori precisazioni, che "lo scenario nuovo viene dipinto da Fr. Costa"; ma sappiamo dai libretti che nel 1760il C. eseguì per il S. Angelo le scene della prima rappresentazione dell'Amor contadino di G. B. Lampugnani, nel 1761 le scene dell'Amor cortigiano di G. Latilla e nel 1762 del Tigrane diA. Tozzi. Si ha pure notizia (Notatori..., 31 maggio) d'una attività in Terraferma concernente le scenografie delle opere Zenobia e Demetrio che dovevano rappresentarsi a Padova in occasione della fiera nei mesi di giugno e luglio 1761. Nel 1763 lavorava per il teatro S. Samuele preparando le scene per la prima rappresentazione de Il re alla caccia del Galuppi, per Le contadine bizzarre di N. Piccinni, nonché per L'incognita perseguitata e Le donne vendicate dello stesso, rappresentate nel 1764. Di questo anno è pure la scenografia dell'Achille in Sciro di F. Bertoni rappresentato al teatro S. Cassiano.
La mancanza di notizie per i due anni che seguono trova riscontro in una notizia relativa ad un viaggio del C. in Polonia, sul quale non si posseggono ulteriori ragguagli: "1765, 4 settembre. Il moderno re di Polonia... chiamò a se G. B. Costa veneziano, ingegnere teatrale e valevole di molto merito in tale professione" (Notatori..., XX, xc, 173).
Dal 1767 il nome del C. compare negli Atti dell'Accademia di Venezia seguito dalla qualifica di "accademico aggregato e maestro dello studio dell'architettura". La necessità d'introdurre nell'Accademia, recentemente istituita (1755), anche lo studio dell'architettura, era stata avvertita da tempo e l'autorizzazione al nuovo insegnamento era stata richiesta ufficialmente nel 1761 ai riformatori dello Studio di Padova, ai quali era affidata la sorveglianza nelle scuole. Nel gennaio 1764 si era stabilito che l'insegnamento dovesse concernere specificamente l'architettura prospettica necessaria "ad ogni genere di quadri" e soprattutto "nelle teatrali scenarie decorazioni". Finalmente, con la determinazione del 19 apr. 1767, i riformatori avevano autorizzato l'insegnamento e nominato il maestro nella persona del Costa.
Dal verbale della "congregazione generale" del 15 ag. 1767 si apprende tuttavia che la scuola di architettura non è ancora in condizione di funzionare e nella stessa riunione viene data lettura di una "memoria" del C. relativa al programma degli studi. Dopo quella data il C. risulta di rado presente alle sedute; vi partecipa il 23 agosto e il 13 ott. 1767, l'8 maggio 1768, riunione quest'ultima in cui si ribadisce l'importanza dello studio della "prospettica architettura tanto connessa alla pittura e scoltura" nell'ambito di un programma di valorizzazione e rilancio internazionale dell'Accademia veneziana.
La scuola di architettura, aperta soltanto il 14 nov. 1768, ebbe vita brevissima poiché l'anno seguente il C. non era più in grado, a causa di una malattia della vista, di continuare regolarmente le lezioni. Nell'ottobre 1770 si ammalò di febbri e nel 1771 fu costretto a dare le dimissioni. In quegli anni non aveva cessato di lavorare per il teatro. Nel 1767 e nel 1768 si era dedicato intensamente al teatro S. Benedetto, a giudicare dalle opere rappresentate: il Re Pastore di P. Guglielmi nel 1767, l'Antigono diF. De Majo, l'Arsace di C. Franchi, il Demetrio diG. Pampani e l'Alessandro in Armenia di G. B. Borghi nel 1768; per le scene dell'Alessandro, alla prima rappresentazione, ebbe come collaboratore il figlio Benedetto. Nell'ottobre 1771, per gli spettacoli d'apertura dei teatri Giustiniani e S. Samuele, le scene sono del C., al quale i libretti della stagione 1771-72 riferiscono pure le scenografie del Calandrano diG. Gazzaniga, dell'Inimico delle donne e degli Intrighi amorosi del Galuppi, dell'Astratto del Piccinni, tutte per il S. Samuele.
Il C. morì a Venezia il 12 ottobre del 1772. I Notatori... Gradenigo nedanno notizia solo il 30 novembre successivo: "In contrada S. Giov. Crisostomo l'invidiosa morte assalì il Sigr. Franc. Costa, valoroso pittore teatrale", ma tale specificazione non trova conferma nei Registri dei morti di S. Giovanni Crisostomo né delle parrocchie contermini.
Le opere del C. giunte fino a noi rappresentano una minima parte della sua produzione artistica, incentrata principalmente sulla scenografia. Fra i dipinti attribuitigli alcuni hanno il carattere di bozzetti teatrali, come i due quadretti ad olio del Museo civico di Padova (coll. Emo Capodilista, nn. 80 e 972), pubblicati dal Bassi-Rathgeb (1964), che raffigurano un Cortile con pozzo, corrispondente a un disegno firmato del Museo di Budapest (cfr. Fenyö, 1965), e un Portico diroccato; ma non mancano le vedute ispirate dal vero paragonabili alle incisioni della serie del Brenta, come alcune delle sette tele con scene di vita in villa e paesaggi di terraferma attribuite al C. dal Voss (1971). Fra i disegni, alcuni fogli sicuramente autografi documentano le preferenze del C. per la veduta ideata di rievocazione classica, come la Veduta architettonica firmata (Venezia, coll. privata) pubblicata dal Mauroner (1940); altri il suo interesse per il paesaggio puro, come i due Paesaggi dell'Albertina di Vienna (nn. 392-393), il Paesaggio con figure di Edimburgo (National Gallery, n. 324)e quello della collezione Byani Shayj (cfr. Watson, 1951, n. 29).Alle incisioni già menzionate bisogna aggiungere infine, secondo il presumibile ordine cronologico, una stampa isolata con Rovine in riva al mare conosciuta in esemplare unico (già Modena, coll. G. Forghieri; riprod. Mason, 1979, p. 19), quattro vedute in folio di grandi monumenti della Grecia antica, ripubblicate con ritocchi da J. Wagner, una serie di dodici fogli pubblicata fra il 1767 e il 1770 con il titolo: Aliquot Aedificio. ad Graecor. Romanorumque morem extructorum schemata, nota in due stati (2 ed. di C. Dall'Acqua, Vicenza: cfr. Succi, 1983, pp. 154 s.).
Del figlio Benedetto, nato a Venezia, anch'egli architetto e scenografo, non si conoscono i dati biografici. Oltre a collaborare con il padre per le scene dell'Alessandro in Armenia al teatro S. Benedetto di Venezia (1768), si sa che nel 1787 allestì le scene per la Moglie capricciosa di G. Gazzaniga e per due balli di G. Banti al teatro della Nobil Associazione di Cremona, e che nel 1796 collaborò alle scene di Ines di Castro di Bianchi, Nasolini, Gerace e Cervellini al Teatro comunale di Bologna (Encicl. d. spettacolo).
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