BURLA (Borla), Giovanni Francesco
Nacque a Piacenza in data imprecisata verso la fine del secolo XV. Studiò legge e, conseguito il dottorato, fu ammesso nel collegio dei dottori della sua città. Nel dicembre del 1519ottenne una cattedra di diritto civile nell'università di Padova con lo stipendio di trecento fiorini, aumentati a cinquecento nel 1523.
Nell'ambiente padovano il B. strinse rapporti di amicizia con umanisti e letterati, conobbe il Bembo, che gli indirizzò una lettera in data 7 luglio 1525, e forse anche Pier Paolo Vergerio, con il quale manterrà più tardi stretta corrispondenza. La sua fama di valente giurista pratico, alla quale sicuramente non mancò il sostegno delle sue relazioni mondane e letterarie, doveva essere grande se richiamò l'attenzione del pontefice Clemente VII che nel 1529 lo chiamò a Roma per assumerlo al suo servizio.
Nominatolo avvocato concistoriale, gli conferì subito l'incarico assai delicato di sostenere la difesa delle rivendicazioni pontificie sulle città di Modena, Reggio e Rubiera annesse dal duca Alfonso d'Este al suo Stato in due tempi, nel 1523 e nel 1527. Un compromesso, stipulato a Bologna il 21 marzo 1530, con la mediazione imperiale, aveva rimesso la vertenza all'arbitrato di Carlo V, che aveva assunto in consegna Modena con l'impegno di emanare un'equa sentenza entro sei mesi e il patto espresso che, nel caso che a tale scadenza non fosse ancora intervenuta la definizione del giudizio, la città sarebbe dovuta ritornare nelle mani del duca. In difesa delle rivendicazioni pontificie il B. stese una allegazione latina, irta di citazioni e di argomentazioni storiche e giuridiche, che si conserva manoscritta in due codici della Biblioteca Apostolica Vaticana, con il titolo Directum civitatum Mutinae et Regii dominium ad Romanam Ecclesiam pertinere (Chigi, IV 120, pp. 26r-75v e Barberini latino, 2372, pp. 122-186). Clemente VII volle che il B. stesso, coadiuvato dal suo collega nel tribunale concistoriale Niccolò Aragonia, illustrasse personalmente le ragioni della Santa Sede, addotte nella sua allegazione, alla corte imperiale. Il 25 apr. 1530 il segretario pontificio I. Salviati comunicò da Roma al legato presso l'imperatore, Lorenzo Campeggio, l'imminente partenza dei due delegati pontifici, incaricati di "far chiare a Sua Maestà le ragioni... contra il signor duca di Ferrara". La loro partenza fu però ritardata notevolmente da una indisposizione del B., che permise loro di lasciare Roma solo il 30 maggio. Questo ritardo provocò non poche preoccupazioni al Campeggio che aveva annunciato a Carlo V "la venuta di quelli dottori per le cose del duca di Ferrara, soggiungendoli che porteriano chiare et amplissime ragioni..., in favore della Sede apostolica", e ora temeva che il termine fissato dal compromesso del marzo scadesse senza che si riuscisse a risolvere la vertenza. Il B. e l'Aragonia arrivarono ad Augusta, dove in quel momento si tratteneva la corte imperiale per via della famosa Dieta che vi si svolgeva, il 4 luglio. Ricevuti dall'imperatore alcuni giorni dopo, presentarono e illustrarono l'allegazione del B., che il biografo estense Bonaventura Pistofilo giudicò "un libello contro il duca Alfonso molto criminoso, nel quale domandavano, non solo la restituzione di Modena, Reggio e Rubiera per le ragioni sopradette, ma dimandavano anco Ferrara, essendo che esso duca meritamente ne dovea esser privato, per avere commesso fellonia e tradimento contro la Sede apostolica". Il 29 luglio il Campeggio scrisse al Salviati, assicurandogli che "questi signori nuntii non mancano del debito con ogni solecitudine", ma l'imperatore era ben lontano dal lasciarsi influenzare dalle loro argomentazioni. L'agente ferrarese Matteo Casella reagì poi con estrema decisione alle accuse formulate contro il duca di Ferrara, il quale protestò a sua volta direttamente con Carlo V di non poter "tollerare che si disputasse s'esso era fellone e traditore o no, ché ben sapea di non essere mai stato, soggiungendo che quelle non erano parole di che s'avesse a contendervi sopra con scritture: e quando quegli in nome di cui erano state dette non rappresentasse se non la persona sua, gli saria stato risposto d'altra maniera". Le sue proteste ebbero l'effetto di far "cassare e annullare da detto libello della parte avversa quelle criminose parole di fellonia e perdizione". Ma nelle more di queste schermaglie e mentre i giudici nominati da Carlo V esaminavano le deduzioni e le controdeduzioni presentate dalle parti, sopraggiunse la scadenza del termine di sei mesi fissato dal compromesso del marzo e solo con molta insistenza riuscì a Carlo V di ottenere da Alfonso una proroga di tre mesi, prolungata poi con un espediente procedurale di altri quattro mesi. Alla scadenza esatta dei quali, il 21 apr. 1531, l'imperatore pubblicò a Gand, dove nel frattempo si era trasferita la corte, la sua sentenza, che riconosceva al duca il legittimo possesso delle città rivendicate dalla Santa Sede, alla quale doveva versare però un censo annuo di centomila scudi oltre a quello già pagato per il ducato di Ferrara, che fu elevato a settemila scudi. Il B. si trattenne presso la corte imperiale, che seguì nei suoi spostamenti nelle Fiandre, fino allo scadere del luglio del 1531 probabilmente nella vana speranza di potere contestare in qualche modo la validità della sentenza.
Nonostante il palese insuccesso della sua missione, la posizione del B. restò solidissima in Curia e la sua fama di valente giurista inalterata. Tanto che nel dicembre dello stesso 1531 l'agente a Roma del re d'Inghilterra, Giovanni Casale, pensava di interpellarlo insieme ad altri celebri giuristi sulla questione, allora tanto dibattuta, del divorzio di Enrico VIII da Caterina d'Aragona. Del divorzio di Enrico VIII egli ebbe ad occuparsi effettivamente due anni dopo, nell'estate del 1533, quando al seguito di Clemente VII, in quel momento a Marsiglia per il matrimonio di Caterina de' Medici con il delfino di Francia, fu incaricato di controbattere, insieme all'auditore Simonetta e al vescovo di Como Trivulzio, le argomentazioni presentate per conto del re d'Inghilterra dal gran cancelliere di Francia.
Influente dignitario pontificio, ammesso nella cerchia dei più intimi collaboratori del papa, il B. mantenne negli anni tra il 1533 e il 1534 una stretta corrispondenza con il nunzio presso la corte di Vienna Pier Paolo Vergerio, che teneva informato sugli avvenimenti più importanti della vita della Curia. A lui il Vergerio usava rivolgersi per avere consiglio ed aiuto in questioni di varia importanza. Così agli inizi della nunziatura, quando gli chiese se doveva adeguare l'abbigliamento suo e del suo seguito alle usanze della corte asburgica e ne ebbe il consiglio di farne a meno, perché "la chiesa di Roma è tale" gli scrisse il B. "che al rispetto di lei tutte le altre sono provincie, et perhò non so come laudabile sia che così nel vestire come nelle altre cose gli magistrati o legati di Roma sequano l'esempio de provinciali". Nel luglio dello stesso 1533 il Vergerio lo incaricò di ottenere dal papa la "facultà di leggere le cose lutherane", ma non fu facile strapparla al diffidente pontefice, neanche per lo stesso B. che si dichiarò "nel medesimo termino" dell'amico, e sollecitò "gratia a l'uno et l'altro per il passato et per lo avenire". Nel dicembre il Vergerio lo pregò di interporre i suoi buoni uffici per assicurargli la concessione del vescovato di Trieste "dopo la morte del moderno vescovo decrepito". E più tardi sollecitò un suo intervento per ottenere l'ampliamento delle sue facoltà diplomatiche. Il B. gli rispose che il papa era ben disposto e avrebbe provveduto "secondo l'odore che sentirà di Vostra Signoria".
Secondo la testimonianza dei suoi biografi il B. avrebbe lasciato varie opere, delle quali però non si ha notizia sicura: avrebbe scritto, oltre a numerosi consigli legali, un commentario alle Pandette e un trattato non definito di diritto. Morì a Roma il 24 marzo 1535.
Fonti e Bibl.: Lettere volgari di diversi nobilissimi huomini et eccellentissimi ingegni…, Venetia 1544, cc. 155v-156v; Delle lettere di messer Pietro Bembo, III, Verona 1743, pp. 101 a.; B. Pistofilo, Vita di Alfonso d'Este, a cura di A. Cappelli, in Atti e mem. delle RR. Deputazioni di storia patria per le prov. modenesi e parmensi, III (1865), pp. 548 s.; Calendar of letters,despatches,and State papers relating the negotiations between England and Spain, IV, 1, Henry VIII (1529-1530), a cura di P. de Gayangos, London 1879, p. 570; IV, 2, Henry VIII (1531-1533), ibid. 1882, p. 835; Letters and papers,foreign and domestic of the Reign of Henry VIII, a cura di J. Gairdner, V, London 1880, p. 271; VI, ibid. 1882, pp. 534 ss.; Nuntiaturberichte aus Deutschland 1533-1559, I, Nuntiaturen des Vergerio 1533-1536, a cura di W. Friedensburg, Gotha 1892, ad Indicem; Ergänzungsband 1530-31. Legation Lorenzo Campeggios 1530-1531 und Nuntiatur Girolamo Aleanders 1531, a cura di J. Müller, Tübingen 1963, passim; C.Cartari, Advocatorum Sacri Consistorii syllabum, Romae 1656, p.CXVIII; I. Facciolati, Fasti gynmasii Patavini, Patavii 1757, II, pp. 122, 139;G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 4, Brescia 1763, pp. 2445 s.;L. Mensi, Diz. biogr. piacentino, Piacenza 1899, pp. 79 s.