GIOVANNI di Paolo (Giovanni di Paolo Romano)
Non si conosce la data di nascita di questo marmorario originario di Roma, figlio primogenito di Paolo, il capostipite di una famiglia di marmorari romani operosa a partire dall'inizio del XII secolo soprattutto a Roma, ma anche nel Lazio, in S. Ambrogio a Ferentino (Glass, pp. 65-67).
Il nome di G. compare insieme con quello dei fratelli Angelo, Sasso e Pietro in un'iscrizione incisa sul verso dell'architrave occidentale del ciborio della chiesa romana di S. Lorenzo fuori le Mura, commissionato dall'abate Ugo e datato 1148: "Ioh(anne)s Petrus Ang(e)l(u)s et Sasso filii Pauli marmor(arii) hui(c) op(er)is magistri fuer(unt)".
Il ciborio si trovava originariamente in un ambiente retrostante l'abside della basilica pelagiana (Krautheimer, 1959, pp. 131-133; Mondini, p. 17 fig. 6). Durante i lavori fatti eseguire da Onorio III, esso venne spostato nella collocazione attuale, in corrispondenza della tomba del santo, e ruotato di 180 gradi (Matthiae, pp. 105 s.; Parlato - Romano). Nel 1862 dal manufatto venne rimossa la cupola, forse risalente al tempo dei lavori ordinati dal cardinale Alessandro Farnese (Muñoz, pp. 51 s.; Matthiae, p. 105), e fu realizzata da Virginio Vespignani la copertura attuale, per la quale l'autore probabilmente s'ispirò a quella di S. Giorgio in Velabro o a quella raffigurata nell'episodio della Comunione di s. Ippolito, affrescato nel portico della chiesa (Muñoz, p. 52).
Il ciborio appartiene al tipo a tegurio. La copertura, sostenuta da quattro colonne di porfido rosso coronate da capitelli corinzi di spoglio (Claussen, 1989), consta di due ordini di colonnine poste su architravi di pianta rispettivamente quadrata e ottagonale, ha andamento troncopiramidale e si conclude in alto con una lanterna e un globo. Il manufatto venne considerato uno dei primi, se non addirittura il primo (Bessone Aurelj, p. 13), del genere a triplice coronamento e fu ritenuto modello di riferimento per quelli più tardi, per esempio, di S. Giorgio in Velabro a Roma, di S. Andrea in Flumine a Ponzano Romano e di S. Stefano presso Fiano Romano (De Rossi, 1888-89).
Giovannoni (p. 4) ipotizzò che il tipo di ciborio architravato fosse "la continuazione della tradizione antica, dei cibori cioè delle prime basiliche cristiane"; un'opinione condivisa da Bassan (p. 641). Anche Hermanin (1945, p. 62) lo ritenne d'ispirazione "prettamente classica e romana". Claussen (1989, p. 71) ha, invece, sottolineato come l'ideazione e adozione del tipo di copertura a triplice coronamento abbiano comportato l'abbandono di quella "stretta relazione formale con l'Antico che caratterizzava invece la produzione dell'inizio del secolo XII".
Bassan (p. 640) ritiene probabile che sia stata la stessa bottega a realizzare l'altare, i cui piccoli capitelli presentano strette analogie con il capitello angolare del primo ordine di copertura del ciborio, e il sottostante pavimento, a suo avviso diverso da quello più tardo dell'area presbiteriale.
Un'iscrizione incisa sull'architrave del primo ordine "verso la Tribuna" (Besozzi, p. 32) del ciborio della chiesa romana di S. Croce in Gerusalemme, distrutto nel 1743 (Ortolani, p. 15), trascritta in vari codici e pubblicata in edizione critica da De Rossi (1875, p. 125; 1891, p. 78), attesta che "Joh(ann)es de Paulo cum fr(atr)ib(us) suis Ang(e)lo et Sasso huius op(eris) magistri fuerunt".
L'opera venne commissionata dal cardinale Ubaldo de Caccianemici, titolare della chiesa dal 1144 al 1148 (Ortolani, p. 15), e può dunque verosimilmente datarsi attorno a questi anni. Come si può ricavare dalla tavola icnografica di G.G. Ciampini (Vetera monumenta, Romae 1690, p. 9 tav. IV), esso era collocato al centro della zona presbiteriale, sopra la mensa dell'altare maggiore, era "elevato tre gradini sopra il pian delle medesima (nave)" (Besozzi, p. 31) e aveva forma analoga a quello di S. Lorenzo fuori le Mura. Secondo Bassan (p. 640), le colonne dell'attuale ciborio settecentesco e alcune lastre frammentarie ora murate nel vano di accesso alle cappelle della Pietà e di S. Elena provengono dal manufatto medievale.
Come attestano due epigrafi già collocate sui manufatti, rese note da De Rossi (1875, p. 125; 1891, pp. 76-78), G. realizzò insieme con i tre fratelli anche i due cibori, oggi smembrati, delle chiese romane dei Ss. Cosma e Damiano e di S. Marco.
Il primo venne compiuto anteriormente al 1149, anno della morte del suo committente, il cardinal Guido, ricordato in un'iscrizione oggi murata accanto all'ingresso del "presepe" nella stessa chiesa (Claussen, 1987, p. 17). Di quest'opera, della quale Onofrio Panvinio (Vat. lat. 6780, c. 45) ha lasciato un'accurata descrizione, si conservano le colonne di marmo bianco e nero, attualmente riutilizzate nel tabernacolo della Vergine (Biasiotti - Whitehead). Al ciborio di S. Marco, smontato tra il 1728 e il 1731 durante i lavori fatti eseguire dal cardinale Angelo Maria Quirini (Hermanin, 1932, pp. 26 s.), appartengono forse le colonne di porfido, oggi collocate presso gli ingressi laterali del presbiterio (ibid., p. 8), e dieci colonnine murate nella parete sinistra del nartece, pertinenti alla copertura (Bassan, p. 640). L'opera fu realizzata nel 1154 (De Rossi, 1875, p. 125).
Di G. non si conoscono il luogo e la data di morte.
Bessone Aurelj (p. 14) considerò "della scuola" dei figli di Paolo i pavimenti di S. Ivo, S. Crisogono e S. Maria in Cosmedin: sectilia, che, a eccezione di quest'ultimo, incluso anche da Glass nel "Paulus Group" (p. 18), hanno conservato solo rari brani conformi all'assetto primitivo (pp. 87-89, 99 s.). Glass propose, invece, di mettere almeno in relazione cronologica l'esecuzione dei tratti pavimentali superstiti in S. Croce in Gerusalemme (p. 89) e in Ss. Cosma e Damiano (p. 86) con l'attività dei figli di Paolo. La cauta ipotesi di Glass è stata decisamente respinta da Bassan (p. 641), che ha sottolineato come la mancanza di "documenti epigrafici" e di "termini di confronto stilistico" tolga a essa ogni validità.
Fonti e Bibl.: R. Besozzi, La storia della basilica di S. Croce in Gerusalemme, Roma 1750, pp. 31 s.; C. Promis, Notizie epigrafiche degli artefici marmorarii romani dal X al XV secolo, Torino 1836, pp. 8 s.; V. Forcella, Iscrizioni delle chiese e d'altri edifici di Roma…, IV, Roma 1874, p. 345; VIII, ibid. 1876, p. 186; XII, ibid. 1878, p. 510; G.B. De Rossi, Delle altre famiglie di marmorarii romani dei secoli XI, XII, XIII…, in Bull. di archeologia cristiana, s. 2, VI (1875), pp. 124 s.; E. Stevenson, Ciborio di S. Lorenzo fuori le Mura, in Mostra della città di Roma alla Esposizione di Torino nell'anno 1884, Roma 1884, pp. 171 s.; G.B. De Rossi, Tabernacolo, altare e sua capsella reliquiaria in S. Stefano presso Fiano Romano, in Bull. di archeologia cristiana, s. 4, VI (1888-89), pp. 154-162; Id., Raccolta di iscrizioni romane relative ad artisti ed alle loro opere nel MedioEvo compilata alla fine del XVI sec., ibid., s. 5, II (1891), pp. 76-79; G. Boni, The Roman marmorarii, Roma 1893, p. 6; G. Clausse, Les marbriers romains et le mobilier presbytéral, Paris 1897, pp. 130-133; G. Giovannoni, Drudus de Trivio marmorario romano, in Miscellanea per le nozze Hermanin-Hausmann, Roma 1904, pp. 3 s.; A.L. Frothingham, The monuments of Christian Rome from Constantine to the Renaissance, New York 1908, pp. 350 s.; S. Ortolani, S. Croce in Gerusalemme, Roma 1924, pp. 15, 21 s.; G. Biasotti - Ph.B. Whitehead, La chiesa dei Ss. Cosma e Damiano al Foro Romano e gli edifici preesistenti, in Rendiconti della Pontificia Accademia romana di archeologia, III (1924-25), p. 122; P. Toesca, Storia dell'arte italiana, I, Torino 1927, p. 667 n. 71; F. Hermanin, S. Marco, Roma 1932, pp. 8, 26 s.; A.M. Bessone Aurelj, I marmorari romani, Milano-Genova-Roma-Napoli 1935, pp. 12-14, 56; R. Krautheimer, Corpus basilicarum Urbis Romae, I, Romae 1937, pp. 139, 169; II, ibid. 1959, pp. 13, 131-133, 218 s.; M. Armellini - C. Cecchelli, Le chiese di Roma dal secolo IV al XIX, Roma 1942, I, p. 561; II, p. 984; A. Muñoz, La basilica di S. Lorenzo fuori le Mura, Roma 1944, pp. 51 s.; F. Hermanin, L'arte in Roma dal sec. VIII al XIV, Bologna 1945, pp. 62, 143; E. Hutton, The Cosmati, London 1950, pp. 6, 14, 33; Giuseppe da Bra, S. Lorenzo fuori le Mura, Roma 1952, p. 91; G. Matthiae, S. Lorenzo fuori le Mura, Roma 1966, pp. 86, 105 s.; D.F. Glass, Studies on cosmatesque pavements, Oxford 1980, pp. 9 s., 18, 65-67, 86-89, 99-101, 104; P.C. Claussen, Magistri doctissimi Romani. Die römischen Marmorkünstler des Mittelalters, Stuttgart 1987, pp. 7, 17, 33-35; Id., Marmi antichi nel Medioevo romano. L'arte dei Cosmati, in Marmi antichi, a cura di G. Borghini, Roma 1989, pp. 71, 76; E. Bassan, Enc. dell'arte medievale, I, Roma 1991, pp. 640 s., s.v. Angelo di Paolo; E. Parlato - S. Romano, Roma e il Lazio, Milano 1992, pp. 184 s.; D. Mondini, S. Lorenzo fuori le Mura in Rom. Der Bau und seine liturgische Ausstattung im 13. Jahrhundert, in Georges-Bloch-Jahrbuch des Kunstgeschichtlichen Instituts der Universität Zürich, II (1995), pp. 17, 27; Enc. universale dell'arte, III, p. 840, s.v.Cosmati; Enc. dell'arte medievale, V, p. 368, s.v. Cosmati.