GIOVANNI del Biondo
Pittore originario del Casentino, attivo a Firenze nella seconda metà del XIV secolo. La prima testimonianza nota relativa a G. risale al 17 ott. 1356, data nella quale il pittore acquisì la cittadinanza fiorentina (Offner - Steinweg, 1967-69). G., che nei registri delle Provvisioni del Comune di Firenze è detto proveniente dal Casentino, doveva essere all'epoca maggiorenne e aver già superato l'apprendistato preparatorio all'attività di pittore, requisiti, questi, che inducono a ipotizzarne la nascita intorno 1330-35 (Renner).
I registri delle Prestanze conservati all'Archivio di Stato di Firenze, nei quali il nome di G. compare con regolarità dal 1359 al 1399 (Offner - Steinweg, 1967-69), testimoniano una ininterrotta presenza del pittore a Firenze durante l'intero arco della sua attività. Fino al 1375 il maestro è ricordato come residente nel quartiere di S. Croce, "gonfalone" del Bue Nero. Nel 1376 G. si trasferì nel quartiere di S. Giovanni, gonfalone del Vaio, "popolo" di S. Benedetto, dove abitò fino alla morte (Levi D'Ancona).
Poche sono le notizie documentarie inerenti la sua attività artistica. È andato perduto il polittico firmato e datato 1360 che nel XVII secolo si conservava nella chiesa di S. Sofia a Castelfiorentino (Giacomini).
Al 1377 risale una tavola firmata e datata con la Madonna e il Bambino conservata nella Pinacoteca di Siena. Nel 1391 il pittore era pagato dall'ospedale di S. Maria Nuova e dalla Compagnia di Orsanmichele di Firenze, esecutori testamentari delle volontà del notaio Baldo da Figline, per una tavola d'altare da sistemare nella sua cappella funeraria nella chiesa di S. Francesco a Figline Valdarno (Poggi). La pala, il cui scomparto centrale con la Vergine in trono si conserva ancora oggi in loco, fu terminata da G. nel 1392, come attesta l'iscrizione con la firma del maestro apposta in calce al dipinto.
Di incerta interpretazione risulta infine un documento del novembre 1396, nel quale il pittore è pagato dai monaci camaldolesi di S. Maria degli Angeli per una certa quantità di azzurro, usata per decorare alcuni antifonari (Bent).
Ignorato dagli storiografi dei secoli passati, G. è ricordato solo da Del Migliore (1692; Milanesi 1878), che ne rammentava l'origine casentinese nel suo commento alla vita di Jacopo del Casentino scritta da Vasari, e da Della Valle (1785), che riportava l'iscrizione con il nome del pittore in calce alla tavola di Figline.
Il suddetto dipinto e la tavola della Pinacoteca di Siena hanno costituito il punto di partenza per la ricostruzione dell'opera di G., avviata da Sirén e da Gamba. Entrambi gli studiosi, sulla base dei caratteri stilistici, collegarono il suo nome a un gruppo di opere già isolato da Suida e da lui attribuito al Maestro dell'altare Rinuccini, avendo scelto come masterpiece il polittico con la Madonna e santi datato 1379, posto sull'altare della cappella omonima nella sacrestia della chiesa di S. Croce a Firenze. Gli accrescimenti al catalogo del maestro apportati fra gli altri da Berenson, Offner e Zeri e l'esaustiva trattazione della sua opera condotta da Offner e Steinweg hanno consentito di ricostruire con sufficiente chiarezza il percorso artistico di uno dei maestri più prolifici del Trecento fiorentino. Nonostante la cospicua quantità di opere che compongono il catalogo di G., la cui buona esecuzione tecnica è dimostrata dal ragguardevole stato di conservazione che ancora oggi caratterizza molte di esse, rari sono stati i giudizi positivi sulla sua pittura. Si staccano dal coro di critiche Zeri (1962), che sottolineava la liricità di certe opere giovanili e la capacità del maestro di tradurre in un linguaggio popolareggiante e spontaneo le istanze più colte della pittura fiorentina coeva; Offner (1967-69), che ne rivalutava l'opera insistendo sul vivace naturalismo di alcune sue pitture, Boskovits (1975), che evidenziava la forza innovativa di certe caratterizzazioni fisionomiche.
Se ha trovato unanime consenso il corpus di opere riunito da Offner e Steinweg (1967-69), con qualche aggiustamento apportato da Boskovits (1972; 1975) e Skaug (1994), assai più problematica appare la ricostruzione del percorso cronologico. Infatti, nonostante la sussistenza di alcuni dipinti datati, le vistose oscillazioni del livello qualitativo, il coesistere di elementi di modernità e arcaismi, la costante reiterazione degli stessi modelli formali e compositivi rendono ancora oggi non completamente intelligibile l'evoluzione stilistica del maestro.
Nessuna traccia sembra aver lasciato nella formazione dell'artista l'origine casentinese, oscurata da un apprendistato condotto a Firenze a stretto contatto con la bottega di Nardo e Andrea di Cione detto l'Orcagna, dalla quale G. derivò modelli compositivi e formali, oltre a una solida tecnica pittorica. L'artista collaborò con Nardo all'esecuzione degli affreschi della cappella Strozzi nella chiesa fiorentina di S. Maria Novella, eseguiti fra il 1353 e il 1357; sono concordemente attribuite a G. le figure dei Padri della Chiesa nel sottarco dell'arcone d'ingresso e le Virtù domenicane raffigurate nella volta.
Il perduto polittico della Compagnia di S. Sofia a Castelfiorentino attesta una campagna di lavori condotta da G. in Val d'Elsa intorno al 1360 e alla quale risalgono anche la tavola con Tre santi francescani datata 1360 (Lussemburgo, Musée national d'histoire et d'art) e gli affreschi con Storie dei ss. Francesco, Paolo e Pietro nella chiesa di S. Francesco a Castelfiorentino, emulati su modelli compositivi che rimandano alla tradizione pittorica fiorentina del primo Trecento, da Giotto a Taddeo Gaddi.
Dopo il ritorno a Firenze, G. lavorò per i camaldolesi del monastero di S. Maria degli Angeli eseguendo nel 1363 un polittico con i Padri della Chiesa, oggi parzialmente conservato sull'altare maggiore della chiesa di S. Croce a Firenze, e, nel 1364, un trittico con la Presentazione al tempio destinato all'altare Benini nella sala capitolare del monastero (oggi Firenze, Galleria dell'Accademia). È possibile che le commissioni camaldolesi fossero giunte a G. tramite la bottega di Nardo di Cione, impegnata nello stesso giro di anni a fornire al monastero di S. Maria degli Angeli diverse pale d'altare di formato analogo al trittico Benini (Freuler).
Sembrerebbero risalire al momento più antico del percorso artistico di G. alcune delle sue opere qualitativamente più alte, quali le cinque tavole con Storie di s. Benedetto, parte di un dossale perduto (Roma, Galleria Colonna; Toronto, Art Gallery of Ontario; Londra, già coll. Matthiesen; Firenze, collezione Acton), il dossale di S. Giovanni Gualberto (oggi nella chiesa di S. Croce a Firenze, ma proveniente dal monastero vallombrosano di S. Salvi), l'Annunciazione di Buffalo, NY (Albright Knox Art Gallery), lavori caratterizzati da una pittura accurata e da uno squillante cromatismo che si accompagna a un raffinato senso decorativo. Accanto alla preponderante influenza dei modi di Andrea e soprattutto di Nardo di Cione, rievocati nelle composizioni, nell'imponenza corporea delle figure, in certi tipi fisionomici, affiorano nelle scene di piccolo formato brani di vivace naturalismo che rivelano uno spiccato interesse del maestro per la miniatura.
Secondo Zeri (1962), Boskovits (1975) e Offner (1967-69), questo gruppo di dipinti sarebbero l'espressione della più autentica e originale vena creativa di G., corrispondente al momento più precoce del suo percorso artistico e precedente all'appiattimento e all'aridità formale che sembrano caratterizzarne la produzione matura. Di diverso avviso sono invece Bellosi (1973), De Benedictis (1987) e Galli (1993), che pongono questo felice momento stilistico verso la metà dell'ottavo decennio, in concomitanza con un recupero dei modi di Bernardo Daddi e la momentanea attenuazione degli stilemi orcagneschi.
Massima espressione di questo nuovo indirizzo stilistico sarebbe l'Incoronazione della Vergine della chiesa parrocchiale di San Donato in Poggio, datata 1375. La componente neodaddesca che effettivamente connota il dipinto e che si esprime nell'intonazione più sentimentale delle fisionomie, nelle superfici levigate, negli incarnati luminosi delle figure, pare contraddistinguere anche altre opere eseguite nel corso dell'ottavo decennio, come il polittico della cappella Tosinghi Spinelli in S. Croce (Madonna con Bambino e santi), del 1372, e quello della cappella Rinuccini nella stessa chiesa (Madonna con Bambino e santi), datato 1379, quest'ultimo esemplato nella struttura sul perduto polittico di Ugolino di Nerio posto sull'altar maggiore della basilica francescana (Gardner von Teuffel, 1974). Tali caratteri sembrano accompagnarsi a un'accentuazione monumentale delle composizioni, nelle quali la figura umana occupa quasi interamente lo spazio della tavola e le ornatissime tappezzerie degli sfondi lasciano il posto a troni architettonici.
Il mutamento rilevato nell'opera di G. all'altezza dell'ottavo decennio fu probabilmente stimolato anche dall'avvicinamento a Jacopo di Cione, titolare della bottega orcagnesca a partire dal 1368. La comunanza di intenti fra i due maestri è attestata dalla tavola con i Ss. Zanobi, Eusebio e Crescenzio conservata nella cattedrale di Firenze, per la quale Boskovits (1972; 1975) ha supposto un'esecuzione a due mani da parte dei due artisti.
Questi elementi sembrano delineare una continuità di rapporto fra G. e la bottega dei Cione, confortata anche dalla recente analisi delle punzonature dei fondi oro condotta da Skaug, che ha evidenziato la presenza nelle opere di G. di strumenti comuni sia a Nardo sia a Jacopo di Cione; un ininterrotto legame con la bottega orcagnesca, prima accanto a Nardo e Andrea, poi a Jacopo, attivo fino al 1399, potrebbe inoltre spiegare la mancata immatricolazione di G. all'arte dei medici e speziali. Ulteriore conferma di questa ipotesi potrebbe venire dalla recente attribuzione a G. degli affreschi con i Padri della Chiesa, eseguiti intorno al 1390 nella volta della cappella Corsini nella chiesa di S. Gaggio a Firenze; l'esecuzione della pala d'altare della cappella fu infatti contemporaneamente affidata a Mariotto di Nardo, figlio di Nardo di Cione e attivo all'epoca nella bottega di Jacopo di Cione (Chiodo).
All'ottavo decennio del XIV secolo, che a giudicare dal numero di opere pervenute sembra essere stato per G. il momento più intensamente produttivo, risale anche la pala con l'Incoronazione della Vergine del Museo Bandini a Fiesole, eseguita nel 1373 per la famiglia Alberti.
L'affollamento compositivo che caratterizza l'opera, ancora debitrice nell'unificazione spaziale del trittico verso le sperimentazioni operate da Andrea Orcagna, è reso meno monotono dall'accentuazione dei caratteri somatici dei volti dei santi, che evidenzia lo spiccato interesse del maestro per la fisionomica e che si manifesta anche nella vivace resa delle figure dei committenti effigiati in molte sue opere. Oltre a prelati di campagna e congregazioni monastiche, corporazioni di mestieri e ospedali, la clientela di G. annoverò numerose famiglie fiorentine illustri, come i Rinuccini, i Cavalcanti, gli Albizzi, gli Spini, rivelando il diffuso apprezzamento incontrato dal maestro fra i suoi contemporanei, che probabilmente ne ammiravano la solida tecnica pittorica, la rapidità di esecuzione, la ricchezza cromatica e decorativa. L'abbondanza di iscrizioni che compaiono in calce ai dipinti e sulle pagine dei libri retti dai santi, oltre a evidenziare una insolita familiarità del pittore con la lingua scritta, dimostrano la sua capacità di accontentare anche le richieste di una committenza più colta che ispirò probabilmente le numerose immagini simboliche e allegoriche dipinte da G., a contenuto religioso e civico. L'efficienza produttiva di G. induce a ipotizzare l'esistenza di aiutanti che assistevano il maestro nel suo lavoro, nonostante Offner e Steinweg (1967-69) riconoscessero l'intervento della bottega solo nei lavori dell'attività più tarda. La pedissequa reiterazione di modelli formali e compositivi che caratterizza gran parte delle opere del corpus di G. avvalora d'altra parte l'ipotesi che parte di esse siano il frutto di un organizzato lavoro di bottega, condotto secondo rigorose regole di esecuzione e avvalendosi dell'ausilio di libri di modelli e strumenti analoghi.
Nel corso degli ultimi due decenni di attività, entro i quali cade l'esecuzione dell'Annunciazione per la cappella Cavalcanti nella chiesa di S. Maria Novella a Firenze (Firenze, Galleria dell'Accademia), del polittico smembrato della pieve di S. Pietro a Romena in Casentino (Madonna con Bambino e santi), del 1386, della Madonna con Bambino della chiesa di S. Francesco a Figline datata 1392, il pittore alterna immagini ieratiche e grossolane a figure più allungate e aggraziate che appaiono come un pallido e superficiale riflesso della corrente tardogotica. Le piccole scene che compongono le predelle, come quelle del polittico di S. Donnino a Brozzi (Storie della vita del santo), rivelano ancora una notevole vivacità espressiva, anche se a scapito di qualunque logica spaziale e narrativa.
Questa dimestichezza con le immagini di piccole dimensioni ha indotto prima Salmi (1954) e poi Bent (1992) a ipotizzare un'attività di miniatore da parte di G., riconoscendone la mano nelle illustrazioni di alcuni codici usciti dalla scuola di S. Maria degli Angeli.
Nessuna delle attribuzioni finora proposte sembra tuttavia condivisibile, né pare risolutivo il documento reso noto da Bent relativo a un pagamento eseguito nel 1396 dai monaci di S. Maria degli Angeli a G., per una certa quantità di azzurro usata per la decorazione di alcuni antifonari. Il documento non specifica infatti se G. venisse pagato per aver miniato gli antifonari, oppure solo per aver venduto il pigmento azzurro destinato al lavoro di altri maestri miniatori. La notizia, se ricollegata con la provenienza dalla chiesa camaldolese delle due pale d'altare datate 1363 e 1364 sopra ricordate, attesta d'altra parte l'esistenza di un prolungato rapporto intercorso con il monastero di S. Maria degli Angeli e una probabile conoscenza, da parte di G., dell'opera dei miniatori attivi nello scriptorium monastico, da don Silvestro de' Gherarducci a don Simone.
La pittura di G., pur non lasciando una traccia profonda nell'opera dei suoi contemporanei e dei maestri della generazione successiva, costituì un importante riferimento per l'evoluzione stilistica di artisti quali lo stesso don Silvestro de' Gherarducci, Mariotto di Nardo, Lorenzo di Bicci (Offner - Steinweg, 1967-69; Boskovits, 1975).
G. morì a Firenze il 19 ott. 1398.
Alle spese della cerimonia funebre partecipò la Confraternita della Purificazione e S. Zanobi di Firenze, circostanza che induce a credere che il pittore avesse fatto parte della compagnia, nota per aver accolto tra i suoi iscritti numerosi artisti (Archivio di Stato di Firenze, Compagnie religiose soppresse da Pietro Leopoldo, 2171, Libro di uscite 1393-1403, cc. n.n.).
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