GIOVANNI da San Gimignano
Nacque a San Gimignano, presso Siena, probabilmente tra il 1260 e il 1270. Del padre si conosce soltanto il nome, Giacomo, da cui il patronimico Iacoppi o Coppi con il quale viene designato in alcuni documenti.
Il cognome Gorini o Gerini, che i biografi domenicani del XVII secolo attribuirono a G., non trova riscontro nelle fonti più antiche, ed è frutto della confusione con un altro Giovanni da San Gimignano (Kaeppeli, II, p. 544), vissuto nella seconda metà del XIV secolo e appartenente anch'egli all'Ordine domenicano, autore di una vita del beato Pietro da Foligno, che è stata spesso attribuita a G., ma la cui composizione è ormai definitivamente datata in un periodo compreso tra il 1364 e il 1392.
G. prese l'abito in una data imprecisata nel convento di S. Domenico di Siena; ignoriamo dove si sia svolta la sua formazione: il Dondaine ipotizza un periodo di studio a Barcellona, dove G. avrebbe avuto dei contatti col mondo arabo, cui fa cenno nelle sue opere.
La prima notizia sicura sul suo conto compare negli atti del capitolo provinciale di Pistoia del 1299: G. veniva assegnato come lettore al convento di S. Maria sopra Minerva. Nel 1310 era sicuramente priore del convento di Siena, carica che ricoprì fino al 1313. Durante il suo priorato il convento si arricchì di uno studium di teologia; sempre in questo periodo G., insieme con altri due confratelli, redasse la regola della Confraternita della Beata Vergine Maria e di S. Domenico. Dal 1318 al 1329 svolse un ruolo determinante nella fondazione di un convento domenicano a San Gimignano: il 1° giugno 1318 ricevette, a nome del convento senese cui apparteneva, la donazione di una casa destinata a ospitare i frati di passaggio a San Gimignano; una seconda donazione del 1325 aumentò i possedimenti dei domenicani; finalmente il 22 febbr. 1329, su richiesta del maestro generale dell'Ordine, papa Giovanni XXII permise la fondazione di un convento nella città; il 4 luglio dello stesso anno G., accompagnato da due confratelli, si spostò da Siena per prendere possesso del nuovo convento. Ulteriori donazioni ne aumentarono l'estensione, e già nel 1331 il capitolo di Orvieto vi inviava un lettore, un baccelliere, quattro sacerdoti e un frate converso; l'anno successivo il capitolo di Roma assegnava alla comunità ulteriori membri, inviandovi tra l'altro come lettore Bartolomeo da San Concordio.
Non è possibile fissare con precisione la data della morte di G., ma certamente egli viveva ancora il 6 marzo 1333, quando compare come ricevente di una donazione per conto del monastero senese di S. Caterina.
La produzione letteraria di G. è quasi completamente dedicata alla predicazione: diverse collezioni di sermoni, conservate in un buon numero di manoscritti e di edizioni antiche documentano un'intensa e continua attività omiletica.
Il ciclo di Sermones de tempore comprende 154 sermoni, predicati fra il 1300 e il 1310, e in seguito raccolti, ampliati e pubblicati da G. medesimo su istanza dei confratelli, per rispondere all'esigenza specificamente domenicana di predicare nel corso dell'avvento sulle figure e le profezie dell'Antico Testamento. La raccolta, conservata in forma più o meno completa in 9 manoscritti, fu parzialmente pubblicata dal domenicano francese Pietro "de Tardito" sotto il titolo di Opus aureum sermonum adventualium (Paris, J. Petit, 1512). Lo stesso curatore pubblicò anche il sermonario più conosciuto di G., il Quadragesimale, databile tra il 1304 e il 1314, di cui si conservano 27 manoscritti e si conoscono 3 edizioni e che consta di 99 sermoni preceduti da un prologo. Si tratta di sermoni piuttosto brevi e dottrinalmente poco impegnativi destinati al pubblico meno colto; nel prologo G. ne prevede una utilizzazione diversificata da parte dei singoli predicatori, i quali, grazie alla struttura chiara e semplice delle partizioni interne, vi potevano attingere, a seconda delle loro esigenze, moduli di ampiezza variabile.
Spesso confusa col Quadragesimale è un'altra raccolta di Expositiones epistolarum et prophetiarum Quadragesimae, databile nello stesso periodo e conservata in 3 manoscritti; si tratta in questo caso più che di veri e propri sermoni (in numero di 50), di esposizioni letterali, vicine ai commenti scolastici, che analizzano l'intero brano scritturale anziché svilupparne soltanto il tema.
Al periodo dell'avvento è anche legata una raccolta costituita da 17 sermoni, De operibus sex dierum, della quale non ci sono pervenuti manoscritti, ma che fu pubblicata a Parigi nel 1512 (cfr. Kaeppeli, II, n. 2640) sotto il nome di G., e la cui attribuzione è unanimemente riconosciuta attendibile. La raccolta comprende un ciclo di sermoni predicati a Siena in volgare e successivamente molto ampliati nel testo latino, che ripercorrono le fasi della creazione passando in rassegna tutti gli elementi dell'Universo. Dei singoli oggetti creati G. fornisce dettagliate descrizioni di carattere scientifico per passare poi a una lettura in chiave morale. L'argomento dei sermoni e il metodo, del tutto analogo a quello sistematicamente impiegato nell'opera enciclopedica di G., il Liber de exemplis et similitudinibus, fa di questa raccolta un esempio concreto della possibile utilizzazione di quella enciclopedia in chiave sermocinale. Particolarmente ampia, anche rispetto alla più equilibrata trattazione del Liber, è la parte dedicata ai corpi celesti, dove G. affronta numerosi problemi di carattere scientifico e teologico, che vanno dall'avvicendarsi delle stagioni, alla descrizione delle costellazioni, fino al problema degli influssi degli astri sul libero arbitrio dell'uomo.
Più diffusa e fortunata è la raccolta di Sermones de sanctis, conservata in 15 manoscritti e composta tra il 1323 e il 1327. Si tratta di 140 sermoni, destinati, come afferma esplicitamente il prologo, a essere predicati in volgare. Il sermonario si configura come specificamente domenicano: segue il calendario dell'Ordine, dedica sermoni numerosi e particolarmente lunghi ai santi domenicani (s. Tommaso, s. Pietro martire, s. Domenico) e costituisce una preziosa fonte di informazione per la storia dell'Ordine. Non mancano tuttavia anche due prediche in onore del santo locale, s. Gimignano.
Infine a G. si deve un importante sermonario De mortuis, composto fra il 1325 e il 1330 e più volte stampato fra il XVI e il XVII secolo. La raccolta, che comprende 98 sermoni, è un utile manuale per predicare in qualsiasi cerimonia funebre, ma, strutturata secondo un ordine sistematico in 7 sezioni, finisce per assumere la fisionomia di un trattato che affronta il tema della morte in tutta la sua ampiezza. La prima distinzione riprende le tematiche tradizionali del contemptus mundi, insistendo sulla brevità, fragilità e precarietà della vita; la seconda è dedicata a definire la natura della morte, evento terribile ma inevitabile e in ultima analisi utile; la terza mette a confronto vita e morte ed evidenzia il legame inscindibile che lega la prima alla seconda. A partire dalla quarta distinzione il discorso si fa meno teorico e mette a fuoco in termini concreti la condizione dei morti: il loro disfacimento fisico, l'abbandono di ogni bene mondano e la loro destinazione ultraterrena; la quinta distinzione, la più ampia, comprende 48 sermoni che, sul modello dei sermoni ad status, forniscono lo spunto per predicare in occasione del funerale delle diverse categorie di persone, dal papa fino al più umile degli artigiani; anche la sesta distinzione è costituita di sermoni per i funerali, distinti questa volta a seconda delle circostanze in cui è avvenuto il decesso (morti in guerra, per mare, in carcere, condannati a morte, uccisi a tradimento ecc.); infine l'ultima distinzione tocca il problema del lutto e della consolazione di quanti hanno perduto una persona cara.
I sermoni di G. sono in genere di buon livello dottrinale; in particolare la raccolta De mortuis gli consente di toccare diversi temi teologicamente rilevanti (il peccato originale, la penitenza, la composizione dell'anima umana), per dibattere i quali egli si avvale soprattutto di costanti riferimenti alle opere di Tommaso d'Aquino. Ma la preoccupazione maggiore di G. è quella di rendere i suoi scritti facilmente utilizzabili dai predicatori ed efficaci nei confronti dell'uditorio; l'attenzione a non appesantire troppo i discorsi e a non affaticare gli ascoltatori si accompagna alle indicazioni rivolte ai frati per utilizzare al meglio i sermonari. Quasi tutte le raccolte presentano nei manoscritti delle tavole alfabetiche (non sempre opera dell'autore) che ne rendono più facile la fruizione ai fini della predicazione, anche al di fuori delle occasioni per le quali i singoli sermoni sono stati specificamente predisposti.
Strettamente legata alla predicazione è anche la più importante delle opere di G., la sua enciclopedia morale intitolata Liber de exemplis et similitudinibus rerum, la cui datazione può essere fissata tra il 1298 e il 1314. Il Liber conta 56 manoscritti (cfr. Kaeppeli, con le aggiunte di Van den Abeele) e moltissime edizioni a partire dal 1477, ed è sicuramente opera di G., a dispetto di una attribuzione a un "Helvicus Theutonicus" contenuta in numerosi manoscritti ed edizioni. Le finalità omiletiche sono dichiarate apertamente: si tratta di fornire ai predicatori una ricca collezione di esempi e similitudini, da utilizzare all'interno dei sermoni al fine di istruire e di edificare. La maggior parte degli esempi sono tratti dalla Bibbia, ma G. fa riferimento anche a una serie di scrittori sia sacri (Agostino, Gerolamo, Gregorio, Isidoro, Beda, Bernardo), sia profani (Cicerone, Seneca, Plinio, Aristotele, Platone, Avicenna, Ippocrate, Galeno, Costantino Africano, Solino, Tolomeo). Nel prologo G., oltre a dichiarare le finalità dell'opera, specifica la natura degli esempi che costituiscono l'oggetto della sua indagine: a differenza dalle tradizionali raccolte di exempla, il Liber de exemplis esclude programmaticamente ogni genere di racconto, per soffermarsi invece sugli esempi "naturali". L'intero Universo diventa un immenso repertorio di allegorie e di simboli messi a disposizione dei predicatori secondo un ordine sistematico che, partendo dalle realtà sensibili, passa poi ai prodotti dell'immaginazione e da ultimo alle elaborazioni della ragione. Il Liber si configura come un importante sussidio per la memoria dei predicatori, ai quali fornisce anche un ammaestramento tecnico e una serie di suggerimenti per facilitare il ricordo: l'opera, suddivisa in 10 libri organizzati secondo l'ordine alfabetico, fornisce tutte le possibili associazioni tra una serie di soggetti di natura morale o teologica e i diversi ambiti degli esempi naturali che ne illustrano le caratteristiche, in maniera tale da fissarsi nella memoria tanto dei predicatori quanto degli ascoltatori. Il primo libro è dedicato ai corpi semplici (elementi naturali e corpi celesti), ciascuno dei quali, secondo una tecnica costantemente impiegata nel corso dell'opera e largamente diffusa nella tradizione esegetica, può simboleggiare anche soggetti diversi: il fuoco è esempio di bontà o di astinenza, ma anche di accidia, simboleggia gli angeli, ma anche il peccato; le stelle sono i dottori della Chiesa o i santi; la Luna può alludere alla vita attiva, al peccatore o alla Vergine Maria. Il secondo libro tratta dei corpi inanimati, elementi, pietre e metalli, il cui impiego a scopo morale è largamente attestato dalla Bibbia; sempre nella Bibbia e in particolare nei Vangeli trovano il loro prototipo le moralizzazioni tratte dal mondo vegetale che costituiscono il terzo libro, mentre il quarto e il quinto libro sono dedicati agli animali, suddivisi nei due grandi gruppi dei pesci e dei volatili da una parte e degli animali terrestri dall'altra. Piuttosto brevi, ma molto numerosi, nonostante G. dichiari di essersi limitato ai principali, gli esempi di animali sono introdotti da due prologhi che illustrano le molteplici relazioni che l'uomo intrattiene col mondo animale. L'ordine imposto da Dio all'atto della creazione prevede la subordinazione di tutti gli esseri viventi ad Adamo; il peccato, sconvolgendo quell'ordine, ne sovverte le regole a tutti i livelli e l'insubordinazione dell'uomo a Dio trascina con sé la disobbedienza degli animali, divenuti ormai una minaccia per la sua stessa sopravvivenza. Tuttavia anche nell'Universo ormai sconvolto l'uomo può trarre molti vantaggi dagli animali: può nutrirsi delle loro carni, il cui consumo gli viene consentito da Dio dopo il diluvio, può sfruttare la loro forza per il suo lavoro, può trarre da loro utili rimedi per la sua salute. Ma soprattutto l'uomo trova nel mondo animale una serie sconfinata di salutari lezioni di ordine morale. Animali reali e animali fantastici, descritti soprattutto da Isidoro di Siviglia e dal Phisiologus, si alternano a simboleggiare, non sempre in maniera univoca, le realtà spirituali: gli uccelli sono per lo più i contemplativi, ma la rondine allude alla lascivia e la cornacchia alla vecchia mezzana; il monaco è simile alla tartaruga, il prelato al cameleopardo, il tiranno all'unicorno o al camaleonte, mentre la iena può simboleggiare tanto la morte quanto l'incostanza. La parte forse più interessante dell'enciclopedia è il libro VI, dedicato al corpo umano. Un lungo prologo pieno di riferimenti alle dottrine filosofiche del mondo greco affronta il problema della natura composita dell'uomo e dei molteplici rapporti che intercorrono tra anima e corpo. Definibile in termini aristotelici come unione di materia e forma, la relazione che lega l'anima al corpo ammette tutta una serie di letture diverse: il corpo infatti in tutte le sue parti è strumento dell'anima, ma è anche un peso che le impedisce di innalzarsi troppo, un carcere dal quale uscire al più presto, uno stimolo continuo alla lotta, un servo da mortificare attraverso le pratiche ascetiche e soprattutto un exemplar in cui l'uomo può leggere le norme del suo stesso comportamento. Attorno all'idea dell'uomo esteriore come simbolo dell'uomo interiore e alla metafora centrale del Cristo medico dell'anima, si aggrega un ricco repertorio di immagini, nel quale G. dimostra una conoscenza piuttosto vasta delle fonti mediche anche più recenti. Il modello medico funziona a diversi livelli e consente non solo di leggere in chiave morale l'anatomia e la fisiologia del corpo umano, ma anche di stabilire precise corrispondenze tra i diversi stadi della malattia, i suoi sintomi e le sue terapie e le attitudini morali dell'uomo: passioni, vizi, virtù, progressi spirituali, ecc. Ai prodotti dell'attività immaginativa è dedicato il settimo libro, che si occupa dei sogni, proponendone una dettagliata casistica accompagnata dall'analisi delle molteplici cause da cui essi derivano. Le regole di interpretazione messe a punto dai filosofi antichi possono costituire un utile supporto alla spiegazione dei numerosi sogni presenti nella Scrittura. I restanti tre libri sono dedicati all'attività razionale dell'uomo e ai suoi prodotti. Il libro ottavo tratta dell'attività legislativa e delinea nel prologo una sintetica tipologia delle diverse leggi e una breve storia del diritto. Fra le molte similitudini di carattere giuridico impiegate dalla Scrittura particolarmente ricco il discorso che si articola attorno al tema del giudizio del Cristo alla fine del mondo. Il libro nono si occupa invece delle tecniche manuali, delle quali G. spiega l'origine e la natura di rimedio del peccato originale fornendo una delle più dettagliate tassonomie delle arti meccaniche, che va dalle diverse tecniche agricole, alle distinzioni più specialistiche della lavorazione dei metalli, fino alle arti della scrittura e della produzione libraria o alla costruzione di strumenti musicali. Infine l'ultimo libro, brevissimo, analizza le altre forme di attività umana distinguendole a seconda delle diverse persone che le svolgono (uomini o donne, chierici o laici).
L'intera produzione di G. è contrassegnata da una forte omogeneità di stile, che tende ad attenuare le distanze fra i diversi generi letterari: i trattati esegetici sono abbastanza simili ai sermoni, ma molti dei sermonari tendono ad assumere la fisionomia del trattato. Ancor più stretti i legami tra i sermoni e l'enciclopedia; se la raccolta De operibus sex dierum si configura come una trasposizione, a tratti letterale, del materiale enciclopedico all'interno dei sermoni, il Liber de exemplis mutua la sua impostazione dal genere sermocinale in funzione del quale è stato composto: il prologo generale e i prologhi che introducono i singoli libri sono strutturati a partire da un versetto biblico, del quale, secondo il modello dei sermoni, sviluppano e dilatano le distinzioni.
Più scontate le corrispondenze tra i Sermones de sanctis e l'unica opera di carattere agiografico che G. ha composto: la Legenda di s. Fina, patrona di San Gimignano, morta nel 1253. Il testo, così come è stato pubblicato negli Acta sanctorum martii (II, Parisiis et Romae 1865, pp. 231-238), è conservato in un unico manoscritto, ma ne esistono anche una versione abbreviata e almeno due volgarizzamenti. La Legenda, commissionata a G. da frate Coccio, rettore dell'ospedale di San Gimignano dedicato a s. Fina, fu composta intorno al 1300 avvalendosi della testimonianza di persone che l'avevano conosciuta direttamente o avevano verificato di persona i suoi miracoli, e i cui nomi furono rigorosamente segnalati da G. al termine della Legenda. Il racconto della vita della giovane Fina, morta all'età di quindici anni dopo una vita di sofferenze, è tratteggiato a tinte molto forti e punta a fornire un modello di santità in chiave eroica; G. si sofferma soprattutto sui miracoli che scandiscono il momento del trapasso della santa e seguono la sua sepoltura.
Numerose altre opere vengono ascritte a G. in diversi manoscritti. Il catalogo dei manoscritti della Biblioteca nazionale di Firenze gli attribuisce una Expositio ecclesiastici (Conventi soppressi, A 2.513; Kaeppeli, II, n. 2644; Stegmüller, n. 4936), della quale esistono altri sette manoscritti senza indicazione di autore. Altre attribuzioni presenti nei manoscritti o consolidate dalla tradizione dei biografi più antichi risultano ancora più incerte; si è già parlato della Vita del beato Pietro da Foligno, che è stata a lungo considerata opera sua, ma a G. sono pure attribuiti un ciclo di sermoni per l'avvento sulla storia di Giuditta (Kaeppeli, II, n. 2645); delle Meditationes in Evangelia (Dondaine, p. 170); una Expositio psalmorum e alcuni sermoni sparsi (ibid., pp. 173-176).
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