GIOVANNI da Monte Cremasco (Giovanni da Monte)
Non si conosce la data di nascita di questo pittore, probabilmente originario di Monte Cremasco, presso Como, attivo nella seconda metà del XVI secolo. Le notizie intorno alla sua formazione sono difficilmente verificabili: Lomazzo (1584) e Torre (1674) lo definiscono allievo di Tiziano; mentre Lanzi (p. 106) ipotizza che il suo primo maestro sia stato il cremasco Aurelio Buso.
Il discepolato presso Tiziano appare poco sostenibile poiché non trova alcun riscontro documentario né stilistico; l'unica fonte attendibile sarebbe costituita da un documento che attesta la presenza di un "Ioannis de Monte, filio Iacobi, pictor" a Venezia nel 1541 (Prijatelj, 1981, pp. 257 s.), in veste di testimone per un contratto di dote matrimoniale, e quindi maggiorenne.
Il probabile alunnato presso Buso, collaboratore di Polidoro da Caravaggio a Roma, fu proposto da Lanzi (pp. 105 s.) attraverso l'analisi stilistica della prima opera milanese di G.: una predella con figure a monocromo che originariamente si trovava sotto la Pala della Resurrezione di Antonio Campi in S. Maria presso S. Celso a Milano, e successivamente trasferita sotto un affresco raffigurante La Madonna fra i ss. Nazaro e Celso nella navata sinistra della stessa chiesa. È molto probabile che la predella sia stata eseguita nello stesso periodo in cui fu dipinta la pala di Campi, quindi intorno al 1560. Torre (1674, p. 74) riferisce che inizialmente anche la pala era stata commissionata a G., ma che l'incarico gli fu sottratto con l'inganno dal collega; ciò farebbe supporre che all'epoca G. non fosse ancora affermato, probabilmente perché si trovava a Milano da poco tempo.
Nel 1557 fu concesso a "Giovanni de Monte, pittore di Venezia", dalla maggior parte della critica identificato con il pittore cremasco, un salvacondotto per ritornare in Italia dalla Polonia, dove si trovava in servizio alla corte di Sigismondo II Augusto (Thieme - Becker, XXV, p. 84). Di questo soggiorno rimane il Ritratto del vescovo di Vilna, conservato nella pinacoteca del Museo d'arte della capitale della Lituania (allora unita alla Polonia).
Alpini (1986, pp. 141 s.; 1996, pp. 132-138) ipotizza inoltre che, subito dopo il rientro in Italia, G. dipingesse la tela con S. Gerolamo e s. Francesco (Crema, Museo civico), ipotesi confutata recentemente da Agosti (1998, p. 134), attraverso una lettura stilistica del dipinto che anticipa la data d'esecuzione dell'opera di almeno un ventennio.
Negli anni intorno al 1566-67 G. ricevette alcuni pagamenti dalla Fabbrica del duomo di Milano per aver fornito cartoni per le vetrate. La vetrata XXXV, con tre scene della vita di Maria (La Pentecoste, La morte della Vergine, L'Assunzione), terminata nel 1566, è quella più probabilmente riferibile a G. (Monneret de Villard, 1918, p. 152). Brivio (1980, pp. 25 s.) attribuisce a G. anche la vetrata XXX, con episodi della vita di Maria. Alpini (1985, pp. 212-214) ha, inoltre, messo in evidenza l'affinità stilistica tra le scene della vetrata XXXV e gli affreschi a monocromo della facciata di una casa nei pressi della chiesa di S. Domenico a Crema (Sforza Benvenuti, 1859).
Nel 1568 G. reclamava il pagamento per il lavoro eseguito nell'abside di S. Lorenzo a Lodi, dove era intervenuto per rifare i dipinti, ormai rovinati, di Callisto Piazza. La stima del suo lavoro venne eseguita da Antonio Campi; e il pagamento fu sollecitato anche da Carlo Borromeo (Fraccaro, 1994, p. 303).
Ancora negli anni Sessanta G. eseguì a Milano i dipinti per palazzo Marino, distrutti durante la seconda guerra mondiale. Probabilmente si trattava di alcune tele che ornavano la volta di una sala, che si affacciava sul fronte della chiesa di S. Fedele (Mongeri, 1872, p. 256), raffiguranti diversi episodi della storia antica tra cui Il ratto delle Sabine (Torre, 1674). L'opera più nota realizzata durante il suo soggiorno a Milano sono le ante dell'organo della chiesa di S. Nazaro, ora conservate nella sacrestia della stessa chiesa. Le quattro tele raffigurano S. Nazaro, S. Celso, La caduta di Simon Mago e La caduta di s. Paolo.
Torre (1674), che era canonico di S. Nazaro, ammirò molto questi dipinti dando testimonianza anche della stima che godettero presso gli artisti tra i quali cita G.B. Crespi, detto il Cerano. Venturi (1934) ha notato in queste opere l'influsso del Pordenone (G.A. de' Sacchis), soprattutto negli atteggiamenti impetuosi, nelle luci e nella predilezione per i grandi volumi. I dipinti, che sono effettivamente di grande qualità, dimostrano l'aggiornamento del pittore sulle novità del manierismo veneziano e la perfetta padronanza dell'uso dello scorcio, soprattutto nelle due scene relative alla caduta di Simon Mago e di s. Paolo.
Dal 1571 al 1583 G. lavorò presso la corte imperiale. I documenti di pagamento relativi a questo lungo soggiorno, tutti pubblicati nel Jahrbuch der KunsthistorischenSammlungen (1886-95), non sono di facile interpretazione. Secondo M. Devigne (Thieme - Becker, XXV, p. 74) essi si riferiscono a Johannes Mont, fiammingo, che nel 1571 giunse a corte dall'Italia e che nel 1583 chiese il permesso di tornarvi, a causa dell'età avanzata e delle cattive condizioni di salute; Alpini (1985, p. 213; 1996, pp. 79-88) invece, li riferisce con certezza a Giovanni da Monte Cremasco. Dell'attività di G. come pittore di corte non ci è pervenuta alcuna opera; ma ne è possibile una ricostruzione parziale in base ai documenti e alle notizie tramandate dalle fonti.
Nel 1572 l'imperatore Massimiliano II d'Asburgo scrive da Vienna al duca di Mantova affinché conceda a "Ioannes de Monte, pictor noster" il permesso di copiare i ritratti dei cesari di proprietà del duca (Jahrbuch…, XVI [1895], pp. CXCI s. n. 14000). Lanzi (p. 437) accenna alla coabitazione di G. con Giuseppe Arcimboldi, verosimilmente nel periodo in cui entrambi lavoravano a corte, e al divertimento dei due artisti nel comporre figure umane costituite da oggetti, genere nel quale Arcimboldi divenne ben più famoso; fra le opere di G. di questo tipo Lanzi ricorda un dipinto raffigurante una cucina composta di pentole e paioli, di cui non resta traccia. Lomazzo (1584, VI, p. 437) riferisce di ritratti dell'imperatore Massimiliano eseguiti dai due artisti; e si può ipotizzare che ricevesse la notizia dallo stesso G., ormai rientrato definitivamente a Milano.
Negli ultimi anni trascorsi a Milano il pittore eseguì ancora un'ultima opera, l'Incoronazione di spine, oggi conservata presso il collegio della Guastalla a Monza (Torre, 1674, p. 34; Alpini, 1985, p. 213, e 1996, pp. 207-209). Il dipinto presenta un gruppo serrato di figure in scorcio che si stagliano su fondo scuro, con una interessante ricerca sugli effetti luministici provocati dalla luce artificiale. Nello stesso edificio
si conserva una Flagellazione, anch'essa recentemente attribuita a G. (Alpini, 1996, pp. 204-206; Agosti, 1998, p. 134).
Non si conosce l'anno di morte di Giovanni.
Fonti e Bibl.: G.P. Lomazzo, Trattato dell'arte della pittura, Milano 1584, VI, pp. 435, 437; VII, p. 688; Id., Rime, V, Milano 1587, p. 303; C. Torre, Il ritratto di Milano, Milano 1674, pp. 34, 74, 295; G.B. Zaist, Notizie istoriche de' pittori, scultori e architetti cremonesi, I, Cremona 1744, pp. 161 s.; F. Bartoli, Notizia delle pitture, sculture e architetture…, Venezia 1776, pp. 188, 192, 206, 210; C. Bianconi, Nuova guida di Milano, Milano 1787, pp. 139, 169, 438; L. Lanzi, Storia pittorica della Italia, II, Bassano 1795-96, pp. 105 s., 437 s.; F. Sforza Benvenuti, Storia di Crema, I, Milano 1859, p. 391; G. Mongeri, L'arte in Milano, I, Milano 1872, pp. 256, 439; Jahrbuch der Kunsthistorischen Sammlungen des Allerhoechsten Kaiserhauses, IV (1886), 1, pp. 47-50; VII (1888), 2, pp. CXLV n. 5307, CXLVII n. 5267; XIII (1892), 2, p. CXXXIII n. 9293; XVI (1895), 2, pp. CXCI s. n. 14000; U. Monneret de Villard, Le vetrate del duomo di Milano, I, Milano 1918, pp. 152, 209; A. Venturi, Storia dell'arte italiana, IX, 7, Milano 1934, pp. 391-395; A. Bombelli, I pittori cremaschi dal 1400 ad oggi, Milano 1957, pp. 57-61; E. Brivio, Le vetrate istoriate del duomo di Milano, Milano 1980, pp. 25 s.; K. Prijatelj, Un documento sui rapporti tra il pittore V. Drzic e il pittore veneziano G. da M., in Ars auro prior, Warszawa 1981, pp. 257-259; C. Alpini, in I Campi e la cultura artistica cremonese del Cinquecento (catal., Cremona), a cura di M. Gregori, Milano 1985, pp. 212-214, 477; Id., Una pala di G. da M. al Museo civico, in Insula Fulcheria, XVI (1986), pp. 141-147; C. Fraccaro, Due nuovi documenti…, in Arch. stor. lodigiano, CXIII (1994), pp. 301-304, 307 s.; C. Alpini, G. da Monte. Un pittore da Crema all'Europa, Bergamo 1996; B. Agosti, Lungo la Paullese 2, in Quattro pezzi lombardi, Brescia 1998, pp. 127-136; C. Pirina, Per una storia della vetrata manieristica in Italia: vetrate inedite di G. da M., in Journal of glass studies, 1999, n. 44, pp. 135-145; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIV, p. 131; XXV, pp. 74, 84.