COLLE, Giovanni
Nacque da Giorgio a Belluno nel 1558. Compì gli studi filosofici e medici all'università di Padova, laureandosi l'8 maggio 1584, dopo di che esercitò la professione medica a Venezia per quindici anni. Nel 1600 il duca di Urbino Francesco Maria II, da lui precedentemente curato, lo volle presso di sé come medico. Il periodo urbinate fu denso di attività, e il C. diede alle stampe varie opere. Il suo primo scritto, comparso nel 1610, fu una raccolta di osservazioni sulla pleurite epidemica, per la cura della quale si suggeriva di sostituire all'inadeguato metodo terapeutico basato sul salasso l'altrettanto inadeguato metodo basato sui clisteri e sui purganti. L'argomento è ripreso, insieme con altre questioni che oggi definiremmo epidemiologiche, nel successivo trattato dal titolo Medicina practica morborum malignorum et pestilentialium, stampato a Pesaro nel 1617.
È da evitare la possibile confusione tra quest'opera e la Medicina practica sive methodus cognoscendorum et curandorum omnium affectuum malignorum et pestilentialium, opera di un altro Colle, Dionisio, anch'egli di Belluno, vissuto nel sec. XIV.
Nello stesso anno, ancora a Pesaro, il C. pubblicò il Cosmetor mediceus, di argomento farmacologico. Accanto agli interessi professionali e scientifici egli coltivò anche interessi dilettantistici per l'erudizione e la letteratura, e a tale settore si riferisce lo scritto, pubblicato a Pesaro nel 1617, Idea et theatrum imitatricium et imitabilium ad omnes intellectus facultates libri aulici.
Dal servizio del duca di Urbino il C. passò poi per un certo tempo a quello del granduca di Toscana. È del 1621 l'Elucidarium anatomico-chirurgicum ex Graecis,Arabibus et Latinis selectum, pubblicato a Venezia: l'opera è interessante come rassegna, appunto, delle fonti mediche greche, arabe e latino-medievali. Nel 1623 il C. fu chiamato a ricoprire la cattedra di medicina all'università di Padova, succedendo a Rodrigo Fonseca; si dedicò così all'insegnamento fino all'anno della morte. Nel 1628 pubblicò a Padova la sua opera più interessante: Methodus facilis parandi iucunda,tuta,et nova medicamenta.
In questo trattato si vogliono scorgere le prime intuizioni relative ai principi sui quali si sarebbe fondata l'applicazione terapeutica della trasfusione del sangue: in realtà il C. sembra parlare non di vera e propria trasfusione sanguigna (né con metodo diretto, né con metodo indiretto), bensì di immissione di medicamenti allo stato liquido nelle vene del paziente. Sono comunque evidenti l'importanza e la novità dell'intuizione del C., che afferma un principio destinato ai più ampi sviluppi.
Le osservazioni in essa contenute a tale proposito conferiscono alla Methodus una posizione di assoluto rilievo tra le altre opere del C., la relativa mediocrità delle quali appare, al confronto, stranamente stonata. Sempre nel 1628 compaiono a Venezia altre due sue opere. La prima, intitolata De cognitu difficilibus in praxi, è costituita da un commento all'ippocratico De insomniis; con la seconda, intitolata De morbo gallico et eius simptomatibus, l'autore fa seguito al prolungato dibattito sull'origine della sifilide, protrattosi nel corso del sec. XVI e provocato dallo sviluppo della pandemia sifilitica diffusasi in quegli anni per tutta l'Europa.
In questa opera il C. non affronta uno dei punti centrali del dibattito, quello relativo all'origine americana o locale della sifilide; circoscrivendo la propria analisi all'Italia egli afferma che, quale che sia l'origine prima della malattia, essa era, in Italia, presente già prima della calata di Carlo VIII, con la quale veniva comunemente posto in relazione lo sviluppo del morbo (e di qui la definizione di "mal francese").
Il C. morì a Padova, di peste, nel giugno del 1631.
Bibl.: P. Freher, Theatrum virorum eruditione clarorum, Norimbergae 1688, pp. 1360 s.; L. Nardo, L'anatomia a Venezia, Venezia 1911, pp. 31 s.; A. Pazzini, Storia della medicina, I, Milano 1947, pp. 544 s.; Id., Biobibliografia di storia della chirurgia, Roma 1948, pp. 120, 122.