CARAFA, Giovanni
Nacque da Fabrizio, conte di Policastro, e da Beatrice Capece Alinutolo, dei principi di Ruoti. Prima dell'anno 1693 mentre era ancora vivo Antonio Carafa, duca di Traetto, che era maresciallo del Sacro Romano Impero, il C. si recò a prestar servizio nell'esercito imperiale, ottenendo molto presto il grado di capitano dei corazzieri a cavallo. Fu, quindi, promosso, nel 1700, tenente colonnello. In quello stesso anno ebbe dall'imperatore Leopoldo l'incarico di venire in Italia per prendere contatto con esponenti del mondo napoletano al fine di sondare quali possibilità di riuscita avesse l'azione filoasburgica che si andava organizzando nel Regno ad opera di alcuni esponenti dell'aristocrazia. Recatosi dapprima a Roma, insieme con Carlo di Sangro, e raggiunta poi Napoli, diede ad intendere, per stornare eventuali sospetti, di essere stanco del servizio imperiale; ma i suoi scopi furono ben presto scoperti in seguito al tradimento del fratellastro Giuseppe. Questi era stato sollecitato ad aderire al partito filoasburgico e a convincere anche il fratello Ettore, conte di Policastro, a seguirlo, ma, forse nella speranza di ottenere qualche particolare ricompensa, riferì tutto al viceré Medinacoeli. Il C., tuttavia, riuscì a fuggire e a ritornare a Vienna, dove, protetto dal ministro principe di Salmkyrburg, ottenne in ricompensa la nomina a conte del Sacro Romano Impero. Successivamente, anche per l'appoggio della vedova di Antonio Carafa, fu elevato al grado di feldmaresciallo dell'Impero.
Tiberio Carafa, nelle sue Memorie, lo giudicava uomo interessato solo ai suoi vantaggi e indifferente ai problemi del Napoletano e riteneva che si fosse distinto "non per altre migliori arti che per quelle de' corteggiani", a cui sarebbe stato debitore dell'aver ottenuto, nonostante l'ostilità dell'arciduca Carlo e di Eugenio di Savoia, una rilevante posizione in campo militare (VIII, ff. 19-20).
Insieme con le forze austriache spedite dall'imperatore alla conquista del Regno di Napoli, il C. ritornò in Italia (1707). Per aver fatto prigioniero il generale della cavalleria nemica, Tommaso d'Aquino, ebbe il titolo di principe del Sacro Romano Impero.
Nominato comandante generale delle truppe imperiali nel Regno di Napoli, egli, in relazione alla diminuzione dei poteri del viceré operata da Vienna, si venne a trovare in frequente contrasto con l'autorità civile. All'approssimarsi del pericolo di un attacco al Regno da parte delle armi borboniche, dopo che la guerra di successione polacca si era già estesa anche alla Lombardia, il problema della divisione dei poteri tra il C. ed il viceré G. Visconti (1733-34) diede motivo di preoccupazioni al governo di Vienna. Si giunse, infine, in seguito all'intervento del principe Eugenio di Savoia e dello stesso imperatore Carlo VI, a una definizione, in verità poco chiara, dei reciproci rapporti, che, in sostanza, significava la quasi totale soggezione del viceré - cui restava, di fatto, solo la possibilità di esprimere un parere consultivo sulle questioni di maggiore importanza - al Carafa.
Questi - nella cui esperienza sembra non nutrissero grande fiducia né il popolo né i soldati - aveva elaborato vari piani per la difesa del Regno e li aveva inviati a Vienna, ma tra la Corte asburgica e il comando napoletano non vi fu sempre concordanza di vedute, con effetti assolutamente negative. All'interno del comando stesso esistevano, del resto, opinioni diverse circa il problema della difesa: ciò determinò un duro conflitto tra il C. e il tenente maresciallo Ottone von Traun - uno dei più autorevoli ufficiali austriaci, allora in servizio a Napoli - con un conseguente ulteriore indebolimento dell'azione militare.
Motivo essenziale del contrasto tra i due ufficiali era il modo in cui affrontare il nemico: se andargli incontro ai confini del Regno con tutto l'esercito oppure ritirarsi al Sud, attendendo rinforzi da Vienna e dalla Sicilia per poi dare battaglia campale in condizioni di maggiore forza. Il Traun e la corte viennese erano favorevoli alla prima soluzione, il C. alla seconda. Anche le fortificazioni fatte fare dal C. a Capua, considerata un caposaldo essenziale per la difesa del Regno, furono giudicate dal Traun inadeguate, dato che la difesa sarebbe costata agli interessati uno sforzo maggiore che la conquista agli avversari.
Nel marzo 1734 il mancato arrivo dei rinforzi sembrò confermare il giudizio sull'impossibilità e l'inutilità della difesa ai confini e fu, perciò, adottato il piano del C. di una ritirata nelle province meridionali del Regno in attesa di altri contingenti militari.
Questa impostazione della difesa aveva certamente una sua logica se rapportata alle linee strategiche generali della guerra indicate in un primo momento dal comando viennese, secondo cui il fronte meridionale era secondario e subordinato, rispetto a quello padano. In questa prospettiva il compito delle forze militari presenti nel Regno di Napoli doveva essere essenzialmente quello di tener impegnata una parte dell'esercito nemico impedendogli di essere presente in altri settori. Pertanto la soluzione di una ritirata verso il Sud, in attesa di ricevere i necessari rinforzi, era, comunque, suscettibile di dare buoni frutti - e in tal modo negli ultimi tempi era stata, poi, giudicata anche a Vienna - sempre che si fossero verificati i due presupposti del prossimo arrivo di consistenti aiuti militari e un andamento della guerra nell'Italia settentrionale favorevole per gli Austriaci. Le cose andarono, invece, diversamente dal previsto, in quanto la spedizione spagnola nel Regno di Napoli guidata dal Montemar - effettuata prima del previsto, mentre gli insuccessi riportati su altri fronti impedivano al comando austriaco di inviare truppe nel Mezzogiorno - fece sì che le sorti della guerra si decidessero in questo settore. Quando anche le coste del Regno furono attaccate dalle navi spagnole fu necessario, nonostante gli ormai tardivi, seppure insistenti, ordini di resistenza provenienti da Vienna, realizzare il piano del Carafa.
Il 3 apr. 1734 questi lasciava Napoli con la cavalleria, dirigendosi prima a Marigliano poi ad Avellino. Successivamente l'andamento della guerra gli fece ritenere opportuno di ritirarsi in Calabria, dopo essersi congiunto a Taranto con i rinforzi venuti dalla Sicilia e le reclute croate. Ai primi di maggio del 1734 il C. si apprestava ad incontrare l'esercito nemico in Puglia ma, essendo stata disapprovata la sua strategia dall'imperatore, egli riceveva l'ordine di lasciare il comando dell'esercito al principe di Belmonte e di recarsi a Vienna.
Secondo l'opinione di un contemporaneo, l'imperatore avrebbe agito in tal modo non conoscendo con precisione la situazione venutasi a creare nel Regno di Napoli e senza comprendere, quindi, le ragioni che avevano spinto il C. a seguire la linea strategica della ritirata invece di adottare il criterio della difesa ad oltranza, come gli era stato ordinato da Vienna (T. Carafa, Memorie, pp. 690-691).
Il C., giudicato tra i principali colpevoli della perdita del Regno di Napoli, fu esiliato a Wiener Neustadt e a suo carico fu avviato un processo presso il Supremo Consiglio di guerra. Il C., dopo aver subito anche un periodo di carcere, si ritirò a Venezia, dove morì il 3 maggio del 1743.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Napoli, Biblioteca, nn. 76-76/5: T. Carafa, Memorie; Ibid., n. 74: Id., Corrispondenza, 40; T. Carafa, Relaz. dellaguerra fatta in Italia nel 1733-1734, a cura di B. Maresca, in Archivio storico per le provincie nap., VII (1882), pp. 293-296, 308, 314-318, 320-322, 563, 574 s., 578, 584-587, 686-687, 690 s., 709; M. Schipa, Il Regno di Napoli altempo di Carlo di Borbone, Milano-Roma-Napoli 1923, I, pp. 13-14; R. Aiello, La vitapolitica napol. sotto Carlo di Borbone, in Storiadi Napoli, VII, Napoli 1972, pp. 472-488; G. Galasso, Napoli spagnola dopo Masaniello. Politica,cultura,società, Napoli 1972, pp. 587, 595; P. Litta, Le famiglie celebri italiane,s.v. Carafa di Napoli, tav. VIII.