CALZAVACCA (Calciavacha, de Calcivacha, de Calzavachis), Giovanni
Figlio di ser Bartolomeo, nacque a Parma ignoriamo esattamente quando, ma certo intorno al terzo decennio del sec. XV, da cospicua famiglia aderente alla fazione dei Rossi. Nulla sappiamo circa gli anni della sua formazione: le fonti a noi note ci riferiscono che fu miles e doctor, ma non ci dicono dove e quando compì i suoi studi giuridici, addottorandosi in diritto civile; né per quali meriti e in quale momento della sua vita fu insignito della dignità di cavaliere. Sulla base delle informazioni forniteci dalle fonti note, siamo in grado di indicare solo alcune tappe della sua vita e della sua carriera di uomo politico, svolta prevalentemente al servizio dei duchi di Milano.
Nel 1463 era già membro del Collegio dei giudici di Parma, e in tale veste, il 12 di gennaio, come risulta da un rogito del notaio Martino Ricci, pronunziò sentenza su una causa vertente tra il conestabile di porta S. Barnaba, Giacomo deRipatrenzano, e Gian Benzola Benzoli. Luogotenente di Iacopo Pongolini, "avogadro della Mercanzia e del Comune", fu nominato a succedergli nella direzione dell'officiumadvocationis Parme con missiva ducale dell'11 giugno di quello stesso anno 1463. La lettera di nomina non specifica un limite di tempo alla magistratura parmense del C.; è lecito quindi ritenere che egli sia stato sollevato da quell'incarico solo nel 1466, quando gli succedette (Pezzana, III, p. 265) Domenico Bocchi, rettore dell'ospedale di S. Giacomo al Ponte d'Enza. Podestà di Perugia nel 1472, venne confermato nella carica anche per il successivo 1473. Quattro anni più tardi, nel corso dei violenti e sanguinosi disordini che sconvolsero Parma tra la fine di gennaio e i primi di marzo del 1477, la sua abitazione, sita nei pressi di S. Moderanno, fu devastata e data alle fiamme da facinorosi ostili alla fazione dei Rossi: con quella vennero saccheggiate anche altre case di sua proprietà e di proprietà dei suoi fratelli.
Dopo la tragica morte diGaleazzo Maria Visconti, assassinato il 26 dic. 1476, nella città emiliana era pericolosamente aumentata la tensione interna, sia per il diffuso malcontento provocato dall'insufficiente approvvigionamento delle granaglie - di cui i grandi proprietari del contado impedivano, per ragioni politiche, il regolare afflusso - sia per i continui e sempre più violenti disordini fomentati dalle diverse fazioni in lotta tra loro per il controllo politico della città. In particolare, le fazioni dei Correggio, dei Sanvitale e dei Pallavicini (le "tre squadre" dei cronisti coevi) si erano collegate per una comune azione contro gli aderenti alla fazione filosforzesca dei Rossi: azione che traeva senza dubbio origine anche da un risveglio dei sentimenti autonomistici, e la sua forza dall'appoggio di Roberto da Sanseverino, accampato con trecento cavalleggeri sotto le mura della città, e dagli sbanditi e dai ribelli fatti rientrare. Del resto, il timore che a Parma, insofferente della dominazione milanese, potesse venirsi a creare uno stato di cose contrario agli interessi degli Sforza traspare già da un dispaccio del 19 febbraio, in cui la reggente ordinava ai funzionari responsabili di far eseguire al più presto i lavori per il riattamento delle mura della cittadella, e di provvedere con solerzia ad approntare il necessario indispensabile ad assicurarne la difesa. Fu quindi inviato da Milano un rinforzo di duecento provsilsionati agli ordini di Gian Luigi Bossi per il mantenimento dell'ordine pubblico: ma, nonostante i provvedimenti - del resto poco incisivi e incerti - presi dal podestà, Azzone Visconti, e dallo stesso Bossi perché le parti venissero a concordia, la situazione non era tardata a precipitare. L'uccisione di Michele Lampugnano, fattore del conte Ludovico Valeri, avvenuta nel corso di un tafferuglio, era stata la scintilla che aveva provocato l'incendio: per tre giorni le case e le proprietà dei Rossi e dei loro aderenti e simpatizzanti erano state saccheggiate dalla plebe tumultuante (2-4 marzo 1477). Fautore dei Rossi e sostenitore con loro di una linea politica di adesione agli Sforza, anche il C. ebbe, come si è detto, i suoi beni devastati dai dimostranti.
Probabilmente il C. non si trovava allora a Parma, perché non viene ricordato dai cronisti come testimone di questi sanguinosi avvenimenti; e non vi si doveva trovare nemmeno nel mesi successivi, quando le "tre squadre", nell'intento di svincolarsi dal dominio sforzesco, avevano offerto la signoria di Parma a Roberto da Sanseverino prima, e ad Ercole d'Este poi; né quando avevano assalito la casa di Branda da Castiglione e minacciato la vita dello stesso podestà Gian Antonio Sparavaria (giugno-luglio 1477). Nel giugno di quell'anno, infatti, egli doveva già trovarsi a Genova come podestà. Non ci è pervenuta la lettera con cui i duchi di Milano affidavano al C. la podesteria della città ligure: ignoriamo pertanto la data esatta dell'inizio del suo incarico, data che tacciono anche le fonti narrative. Tuttavia, poiché sappiamo che il cremonese Giovanni Zucchi, l'immediato predecessore del C., era stato nominato "a die XX presentis mensis ad annum unum" (missiva ducale del 6 giugno 1476), e cioè per un anno, a partire dal 20 giugno 1476, è ragionevole ritenere che questi fosse scaduto dalle sue funzioni il 19 giugno 1477, e che intorno a tale data gli fosse sottentrato il Calzavacca. Il 3 ottobre di quello stesso anno, come risulta da un rogito del notaro Benedetto Zandemaria, il C. sitrovava nella sua città natale, dove, insieme con gli "egregii viri" Francesco Centoni, Giacomo Sgai e Sebastiano Zandemaria, aveva ricevuto in deposito da Giovan Battista Garimberti, nobiluomo, 220 ducati di camera. Nel documento il C. è definito "spectabilis et eximius miles" e "doctor legis"; vi si dice anche che è figlio del quondam Bartolomeo: a questa data, dunque, suo padre doveva già essere morto.
Difficile situazione quella che il C. dovette affrontare assumendo la sua nuova podesteria. A Genova era allora governatore ducale Prospero Adorno, un nobile genovese che, già fatto incarcerare da Galeazzo Maria Sforza, era stato liberato dal Simonetta in occasione della rivolta di Carlo Adorno: l'Adorno era rientrato nella sua città l'11 aprile del 1477, riuscendo a impadronirsi del potere con l'appoggio degli Sforzeschi. L'Adorno mirava tuttavia a svincolarsi della pesante tutela milanese, e a farsi proclamare doge sfruttando i persistenti sentimenti autonomistici della popolazione: tentò dunque di accordarsi con Ferdinando di Aragona, che gli inviò danaro e soldati, e cerco un riavvicinamento col pontefice, Sisto IV. Tali manovre, immediatamente comunicate a Milano, suscitarono i sospetti del governo della reggente, che inviò a Genova Branda da Castiglione con l'incarico di deporre l'Adorno. Il C., dal canto suo, se aveva provveduto sollecitamente a comunicare a Milano le oscure manovre avviate dall'infido governatore, aveva anche cercato di riaffermare l'autorità ducale sulla città, non esitando a reprimere con forza e decisione inflessibili i disordini fomentati dallo stesso Adorno, e a far sciogliere le radunate sediziose: come quando aveva fatto processare per direttissima e impiccare sulla pubblica piazza due persone che, nel corso di una manifestazione, avevano inneggiato a un governo dell'Adorno su Genova libera dalla dominazione sforzesca. L'arrivo dell'inviato ducale Branda da Castiglione provocò la rivolta di Genova: la guarnigione sforzesca, con il C., si ritirò nel Castelletto, mentre l'Adorno si faceva riconoscere doge dal popolo, e assumeva, con l'assistenza di dodici capitani, il governo della città facendo levare di nuovo gli antichi stendardi della Repubblica (25 giugno 1478). Mentre Roberto da Sanseverino, accordatosi col nuovo doge, entrava nella città con i suoi armati ed attraccava nel porto una squadra aragonese condotta da Ludovico Fregoso, la guarnigione sforzesca e il C. ottenevano qualche successo locale, non decisivo però nel quadro generale delle operazioni tanto che, nel luglio, dovettero acconciarsi a patteggiare la resa, e sgomberare il Castelletto. Rientrato in Parma, fu scelto dagli Anziani per far parte - accanto al vicario generale dei duchi di Milano Ruggero Del Conte, a Bartolomeo e a Nicola Gabrieli, a Gaspare Del Prato - del collegio dei cinque sindacatori del podestà (dicembre 1478): segno dell'influenza allora goduta dal C. presso il governo della reggente. I duchi di Milano, infatti, non dovevano essere rimasti scontenti di lui e del modo con cui aveva saputo amministrare, nonostante tutte le circostanze avverse, la sua podesteria genovese: lo nominarono podestà e commissario ducale di Pavia dal 1º genn. 1479, e quindi, l'anno seguente, commissario ducale a Padova.
È questa della commissaria padovana, l'ultima notizia sul C. fornitaci delle fonti a noi note.
Fonti e Bibl.: Cronica gestorum in partibus Lombardie et reliquis Italiae, in Rerum Italic. Script., 2 ediz., XXII, 3, a cura di G. Bonazzi, pp. 7, 28, 37; Antonii Galli Commentarii de rebus Genuensium, ibid., XXIII, 1, a cura di E. Pandiani, pp. 31, 32, 37 ss.; Bartholomaei Senaregae De rebus Genuensibus Commentaria, ibid., XXIV, 8, a cura di E. Pandiani, pp. 3, 47, 78; Gli uffici del dom. sforzesco (1450-1500), a cura di C. Santoro, Milano s.d. (ma 1948), pp. 317, 468, 565; A. Pezzana, St. della città di Parma, III, Parma 1847, ibid. 230, 351; IV, ibid. 1852, pp. 2 s, 12-26, 97, 119 s., 124, 220; C. Santoro, Gli Sforza, s.l. né d. (ma Milano 1968), pp. 186 s., 202 ss. Secondo R. Soriga, Schede manoscritte sulla serie dei podestà di Pavia, conservate presso la Biblioteca comunale Bonetta di Pavia, il C. avrebbe retto la podesteria di quella città dal 1478 al 1480.