BORGHI, Giovanni
Nacque a Milano il 14 sett. 1910 da Guido (1883-1957) e da Maria Moro.
Il padre, figlio di operai e inizialmente operaio egli stesso, nel 1904 si era messo in proprio, aprendo a Milano un negozio di materiale elettrico ed effettuando servizi di installazione di impianti elettrici. Grazie anche al matrimonio di Guido con la Moro, di famiglia relativamente benestante, la piccola ditta artigianale ampliò gradatamente il proprio giro di affari, ai quali si aggiunse la gestione di alcuni dei primi cinematografi milanesi. Tutto ciò consentì alla famiglia di raggiungere un certo grado di benessere.
Il B., compiuti gli studi elementari, entrò verso i dodici, tredici anni come apprendista nel laboratorio paterno, in cui lavoravano anche i fratelli Gaetano (1907-1978) e Giuseppe (1915-1954). All'inizio degli anni Quaranta la ditta dei Borghi, che possedeva una modesta officina elettromeccanica che dava lavoro a circa trenta operai, aveva ormai acquistato una certa notorietà locale. Ma nell'agosto 1943 i bombardamenti alleati su Milano distrussero quasi completamente il negozio e il laboratorio (secondo però un'altra versione l'azienda fu devastata dalla folla il 25 luglio 1943, in odio alle simpatie fasciste di Guido), e la famiglia decise perciò di trasferirsi a Comerio, in provincia di Varese. Poiché a Guido rimanevano ancora buone risorse finanziarie, egli pensò di iniziare la produzione di fornelli elettrici da cucina, in un primo tempo effettuando solo il montaggio dei vari componenti. Con la collaborazione dei figli, rientrati dopo l'8 settembre dal servizio militare, e di un numero molto limitato di operai, riuscì ad ottenere un discreto successo di vendite che si incrementò ulteriormente nell'immediato secondo dopoguerra, quando, acquistato da un artigiano milanese il marchio Ignis, la ragione della ditta fu mutata in Officine elettrodomestiche Ignis di Guido Borghi e figli. Le cucine elettriche Ignis si segnalarono alla Fiera campionaria di Milano del 1946 e a quella di Lione del 1947, mentre, allo scopo di favorirne una distribuzione capillare, furono aperti depositi a Napoli, a Roma e a Conegliano Veneto.
Nel 1949 inoltre i Borghi acquistarono le Smalterie De Luca a Napoli che, sotto la nuova denominazione di Serit, provvidero alla smaltatura dei semilavorati prodotti a Comerio. Proprio in quell'anno tuttavia le misure adottate dal governo italiano per contenere i consumi di energia elettrica ridussero alquanto il mercato dei fornelli elettrici e spinsero i Borghi ad intraprendere la produzione delle cucine a gas. È a questo punto che si rivelò lo spirito innovativo del B., sino ad allora dedicatosi prevalentemente a mantenere diretti contatti commerciali con i clienti sparsi per l'Italia: immaginando che anche il mercato delle cucine a gas si sarebbe presto saturato, pensò di entrare nel campo dei frigoriferi domestici, allora prodotti in serie in Italia solo dalla FIAT. In tale prospettiva, tra il 1950 e il 1951, rilevò i brevetti della Isothermos, una fabbrica milanese di apparecchi ad assorbimento, costituì la SIRI (Industria refrigeranti Ignis) e iniziò a Gavirate la fabbricazione di frigoriferi ad assorbimento (elettrici o a gas o a petrolio). Questo tipo di apparecchi presentava però vari inconvenienti, come un alto costo di produzione, un forte ingombro dei mobile e una limitata capacità interna. Nel 1953 passò allora alla produzione di frigoriferi a compressore (un sistema di raffreddamento ancora poco diffuso), dopo aver concluso un accordo con la società danese Danfoss (licenziataria della casa statunitense Tecumseh), che gli fornì i gruppi refrigeranti completi di evaporatori e condensatori.
"Era una scelta - scrive C. Pillon - che avrebbe permesso… di raggiungere due risultati: aumentare la capacità dei frigoriferi (da 90 a 180 litri), mantenendone limitato l'ingombro, e di ridurre i costi di produzione". Il nuovo frigorifero incontrò subito un grande successo e l'azienda cominciò a crescere rapidamente: nel 1954 fu inaugurato il nuovo stabilimento di Comerio (dotato di un grandioso impianto di smaltatura a fuoco continuo, progettato dalla Bayer di Leverkusen), mentre i dipendenti, che nel 1943 erano solo cinque, salirono a circa duemila. Il principale obiettivo del B. rimaneva comunque quello di sganciarsi dalla dipendenza della società danese e produrre in proprio tutti i componenti dei frigoriferi, obiettivo che fu raggiunto nel 1960 attraverso la creazione di una fitta rete di società collaterali addette alle varie fasi della lavorazione e che rifornivano il nuovo stabilimento di Cassinetta di Biandronno.
Nel frattempo il B. si avviava a diventare l'unico e incontrastato dominatore della Ignis: morti il fratello Giuseppe nel 1954 e il padre nel 1957, nel 1963 il fratello Gaetano si separò dall'azienda di famiglia e si mise per proprio conto, pur continuando a mantenere rapporti d'affari con la società di Comerio.
Sempre alla ricerca di soluzioni tecniche innovative e che riducessero i costi di produzione e di conseguenza i prezzi di vendita, nel 1963-64 il B. applicò in grande serie, primo nel mondo, il sistema sperimentale statunitense dell'isolamento termico per mezzo di una struttura portante di poliuretano espanso.
A differenza della tradizionale lana di vetro, il poliuretano richiedeva solo un sottile rivestimento, permettendo di ridurre ulteriormente le dimensioni, ma non il litraggio, dei frigoriferi. Per quanto riguarda l'aspetto estetico, aggiunse poi al classico colore bianco di quegli elettrodomestici una vasta gamma cromatica ottenuta con l'applicazione di speciali pannelli plastici. Ma il buon mercato fu la principale caratteristica dei prodotti della casa di Comerio: la Ignis infatti fu "la prima azienda a ridurre i prezzi di vendita dei frigoriferi dalle mille lire per ogni litro di capacità - che era la quotazione all'inizio degli anni cinquanta - fino a 300 lire al litro, cioè a meno di un terzo" (Pillon).
Il B. divenne così il più grande industriale di frigoriferi d'Europa e uno dei più importanti del mondo: a metà degli anni Sessanta l'Ignis, con un fatturato di circa quaranta miliardi annui, disponeva di tre stabilimenti in Italia e di una cinquantina di filiali, anche all'estero (e precisamente in Germania, Spagna, Francia e Olanda), per un totale di 7000 dipendenti. Con una capacità produttiva di 8000 frigoriferi al giorno, copriva il 40% della produzione nazionale e aveva dato l'avvio a un'imponente esportazione in tutti i paesi del mondo (si trattava di circa duecentocinquantamila unità annue, pari a un terzo della produzione).La straordinaria vicenda imprenditoriale della Ignis nascondeva tuttavia due seri elementi di debolezza. Da un lato la personalità prorompente e accentratrice del B. aveva impedito il formarsi di una struttura direttiva d'impresa organica e competente, dall'altro proprio il carattere familiare e "chiuso" dell'azienda rendeva spinoso il problema dei grandiosi mezzi finanziari necessari per la gestione e per l'avanzamento di un'impresa che aveva raggiunto così ragguardevoli dimensioni. Mentre cioè l'autofinanziamento era ormai insufficiente, gravoso sarebbe stato un sistematico ricorso agli istituti di finanziamento industriale. Allora il B., alla ricerca di un consistente apporto di denaro fresco, nel 1969 si accordò con il gruppo olandese Philips, che già da tempo era tra i distributori dei prodotti Ignis. Fu così fondata la IRE (Industrie riunite di elettrodomestici), con un capitale sociale di 25 miliardi di lire, di cui 12 e mezzo versati dalla Philips. L'IRE si occupava solo della gestione della parte industriale, mentre la rete di vendita rimase in mano al B., che trasformò la Ignis in società commerciale.
In realtà la nuova combinazione societaria non diede i frutti sperati dal B., che anzi si trovò spesso in aspro contrasto con i soci olandesi. E del resto si era ormai verificata in Europa una netta inversione di tendenza nel mercato dei frigoriferì, poiché esisteva una stridente divergenza tra la capacità produttiva degli impianti e le possibilità di assorbimento del mercato. L'insorgere del fenomeno della sovraproduzione si riflesse soprattutto nei deludenti risultati di bilancio ottenuti dalla IRE nei suoi primi anni di vita. Cosicché i pur rilevanti investimenti che vennero effettuati in quel periodo si risolsero in una crescente esposizione debitoria della società. Per cercare di risolvere la crisi il B. pensò dapprima di unificare la sezione commerciale Ignis con quella industriale IRE, onde evitare il peso della doppia fatturazione; poi parve propendere ad accettare una partecipazione di minoranza nel gruppo in cambio di un nuovo apporto finanziario della Philips, che dal canto suo si offriva anche di rilevare completamente il pacchetto azionario in mano al B.; infine si indirizzò, consenziente la società olandese, a riscattare per 7 miliardi la quota del socio, ritornando così unico proprietario. Riteneva infatti (con una di quelle intuizioni preveggenti che gli erano proprie) che il mercato degli elettrodomestici "del freddo" avrebbe ricevuto nuovo slancio dalla vendita alle famiglie dei congelatori (freezer). Il B. tuttavia non riuscì a trovare adeguati finanziamenti a sostegno del suo progetto, ed anzi l'impresa subì, nella sua struttura direttiva, un duro colpo con il passaggio alla maggiore concorrente, la Zanussi, di V. Ponti, "l'unico collaboratore dotato di una vera personalità manageriale che sia emerso alla Ignis in quasi trent'anni di schiacciante dittatura dell'egocentrico imprenditore varesino" (Pillon). Abbandonato dal suo più stretto e competente collaboratore (fatto grave anche perché il figlio Guido non mostrava doti imprenditoriali pari a quelle del padre) e snobbato dai più potenti gruppi finanziari, per giunta in cattivo stato di salute, il B. fu perciò costretto nel 1972 a cedere tutta la sua quota alla Philips, che ottenne pertanto il controllo assoluto dell'IRE e dell'Ignis.
Infaticabile, il B. non si ritirò tuttavia completamente dagli affari: si dedicò alla produzione di macchine distributrici a gettone di bibite e soprattutto si occupo attivamente della società Emerson, di cui aveva acquisito il controllo negli anni Sessanta. Si procurò tecnici altamente qualificati e fece produrre dalla Emerson un nuovo tipo di televisore a colori; ma fu la sua ultima impresa perché la morte lo colse a Comerio il 25 sett. 1975.
Sebbene solo successivi studi, approfonditi e analitici, possano sceverare il "mito" dalla realtà, liberando la vicenda personale ed economica dei B. da agiografle o semplificazioni, è certo che la sua figura è emblematica del "nuovo imprenditore" diffusosi in Italia negli anni del cosiddetto miracolo economico: ex artigiano, la voce roca, l'uso costante del dialetto milanese, le maniere sbrigative e poco attente al galateo, la continua sottolineatura che ogni cosa e ogni essere umano hanno un loro prezzo, la scarsa cultura scolastica (anche se ottenne nel 1966 la laurea honoris causa in ingegneria), sono tutti elementi che lo hanno reso un simbolo vivente della nuova Italia industriale del dopoguerra, un'Italia astuta, aggressiva, dinamica e consumistica. Il B. ha contribuito inoltre a diffondere una diversa immagine di ricco borghese, non più chiuso nel suo ambiente esclusivo e quasi irrangiungibile e sconosciuto a livello popolare, ma un borghese attento a instaurare, attraverso un abile uso dei mezzi di comunicazione di massa, un rapporto diretto con il pubblico: tutto questo egli conseguì adottando - e anche in ciò si rivelò "pioniere" - il sistema della sponsorizzazione di squadre sportive, che talora comprendevano autentici campioni, nelle discipline del pugilato, dei ciclismo, della pallacanestro e del calcio. Sebbene vi sia stato chi ha criticato il suo eccessivo esborso di danaro per queste sponsorizzazioni, è indubbio che l'abbinamento fra Ignis e squadre sportive costitui un formidabile veicolo pubblicitario, nonché un'intelligente operazione per rendere gradevole e simpatica l'immagine di un'impresa (che, va sottolineato, produceva principalmente frigoriferi, oggetti in sé non particolarmente attraenti) e di chi la dirigeva.
Molto tradizionale era invece il B. per quanto riguarda i rapporti con la forza-lavoro, improntati a un ruvido e patriarcale paternalismo, tipico dell'ex operaio divenuto datore di lavoro. E sempre da tale atteggiamento sembra derivare il suo sostanziale rifiuto di una normale e corretta dialettica sindacale. Egli era del resto convinto di essere il solo a potere interpretare e, quando era il caso, soddisfare i veri bisogni e gli interessi dei suoi dipendenti. Anche se alcune sue iniziative di stampo apparentemente paternalistico (come il provvedimento di alloggiare a Comerio in decorosi convitti gruppi di giovani operai meridionali, da rimandare nella fabbrica di Napoli dopo avere ricevuto a cura della Ignis un'appropriata istruzione professionale) indicano quanto il suo "spontaneismo" e la sua "impulsività", caratteristiche costanti della figura imprenditoriale del B., rispondessero in fin dei conti a criteri oggettivi di razionalità economica. Probabilmente il B. era molto meno naïf di quanto appariva e, soprattutto, di quanto teneva ad apparire.
Fonti e Bibl.: V. Notarnicola, G. B., Milano 1966; A. Pigna, Miliardari in borghese, Milano 1966, pp. 81-90; Lui, chi è?, Torino s. a. [1969], I, p. 216; Il Chi è? nella vita economica, Milano 1972, p. 92; C. Pilion, Perché è tramontato l'astro di G. B., in Affari economici, 21 maggio 1972, pp.24-26; G. Nascimbeni, B., pioniere da West fra i consumi, e A. Colussi, Da Porta Volta a Carosello, in Corriere della sera, 26 sett. 1975; G. Tanzi, I primi passi della Ignis, in Varese. Vicende e protagonisti, a cura di S. Colombo, III, Bologna 1977, pp. 211 -215; Ignis, in Grande Dizionario enciclopedico UTET…, Appendice 1979, Torino 1979, p. 379.