MITTARELLI, Giovanni Benedetto
(al secolo Niccolò Giacomo). – Nacque a Venezia il 2 sett. 1707, nella parrocchia di S. Moisè, da Antonio, «pubblico ragionato» presso i provveditori in Zecca, e da Prudenzia Glisenti, pure appartenente a una famiglia attiva negli uffici contabili della Repubblica.
Frequentò dapprima la scuola di lettere tenuta dal canonico della chiesa patriarcale Giovanni Hocher, maestro di qualche nome nella Venezia del primo Settecento; quindi, per breve periodo, i corsi di filosofia nelle scuole cittadine dei gesuiti, che lasciò per entrare, nel novembre 1722, tra i camaldolesi di S. Michele di Murano. Un anno dopo pronunciò i voti, scegliendo il nome dell’ex abate Giovanni Benedetto Tassis, iniziatore della rinascita culturale settecentesca del monastero veneziano. Il fratello minore, Giacomo, ne seguì la strada, divenendo monaco camaldolese con il nome di Claudio. Due sorelle maggiori presero l’abito delle carmelitane scalze nel convento di S. Teresa (detto anche delle Terese).
Nel 1724 fu assegnato a S. Maria degli Angeli di Firenze per gli studi di filosofia e teologia. A seguito della brillante conclusione del corso teologico, il capitolo generale del 1729 ne dispose l’invio a Roma, nel collegio di S. Gregorio al Celio, istituito nel 1709, sul modello degli Studia romani di altri ordini religiosi, per il perfezionamento dei migliori studenti della Congregazione. Nel triennio trascorso a S. Gregorio ricevette gli ordini minori e fu consacrato sacerdote, conseguendo nella primavera 1732 il titolo di lettore di filosofia.
Durante il soggiorno romano il M. avviò una cordiale e duratura consuetudine con Carlo Rezzonico, il futuro papa Clemente XIII, e con Alberico Archinto, segretario di Stato tra lo scorcio del pontificato di Benedetto XIV (Prospero Lambertini) e l’inizio di quello di Clemente XIII. Il periodo fiorentino, invece, era stato segnato dall’incontro con Guido Grandi, matematico, docente di filosofia all’Università di Pisa nonché autore delle Dissertationes Camaldulenses (1707), nelle quali il vaglio critico dei documenti sulla fondazione di Camaldoli approdava al rifiuto della cronologia consolidata. Dopo un periodo trascorso al bando della Congregazione – che reagì duramente all’attacco portato alla leggenda delle origini e al conseguente rinnovarsi di tensioni interne tra ramo eremitico e cenobitico e di contrasti con altre famiglie monastiche – Grandi esercitò, tra gli anni Venti e i Trenta, un forte ascendente su giovani camaldolesi come Abbondio e Bonifacio Collina, Giovanni Claudio Fromond, Giammaria Ortes, attratti dalla sua lezione storiografica e scientifica. Anche il M. fu tra questi. A Grandi sottopose nel 1729 le sue tesi di teologia, ricevendone incoraggiamenti e richiami ad adeguarsi ai modelli stilistici più consoni a un monaco: i Padri della Chiesa, i colti generali camaldolesi Ambrogio Traversari e Pietro Dolfin, Jean Mabillon. Tre anni dopo, avuta dallo stesso Grandi la notizia della promozione a lettore di filosofia, gli dichiarò, in una lettera del 24 maggio 1732, carica d’emozione (Pisa, Biblioteca universitaria, Mss., 94, 24 maggio 1732), tutta la propria ammirata gratitudine. Mediato presumibilmente dal più anziano confratello Angelo Calogerà – che fin dal 1728 aveva sollecitato Grandi a redigere una biografia di Pietro Orseolo, doge di Venezia e figura di spicco del primo eremitismo romualdino – il rapporto con Grandi dovette confermare la precoce avversione del M. alle «oziose scolastiche quistioni» (Costadoni, Memorie della vita di d. G. M., p. 6) e orientarlo definitivamente verso la storia monastica, banco di prova, per gli ordini regolari, di una diffusa volontà di rinnovamento culturale, nel solco tracciato dall’erudizione maurina.
Tornato nel 1732 a S. Michele di Murano, il M. vi insegnò filosofia e quindi teologia per nove anni, come previsto dalle Costituzioni camaldolesi. Aderendo a tendenze allora diffuse nelle scuole degli ordini religiosi, impartì un insegnamento fortemente caratterizzato in senso storico-erudito, basato non su «particolari sistemi», ma sull’illustrazione di questioni di «moderna filosofia» e di «vari articoli di critica sacra» (ibid., pp. 8 s.).
Lo stesso anno del rientro – o comunque a breve distanza – dovette essergli affidata la carica di bibliotecario, revocata per motivi imprecisati a Calogerà. La passione del M. per i libri, incoraggiata dal padre fin dai primi anni di studio, e la sua padronanza dei meccanismi del mercato librario furono da allora finalizzate all’incremento dei fondi manoscritti e a stampa della Biblioteca di S. Michele, destinata a imporsi, nel secondo Settecento, come una delle maggiori di Venezia. Non trova riscontro in altre fonti la notizia di una visita alla Biblioteca compiuta in incognito da Pietro Giannone nel periodo della sua permanenza a Venezia, tra la fine del 1734 e il 1735, in occasione della quale il M. avrebbe confutato «con forza» le ardite affermazioni dell’ospite circa l’«autenticità de’ sagri libri della Bibbia» (ibid., pp. 48 s.).
Tra la fine del 1737 e l’inizio del 1740 guidò a distanza Anselmo Costadoni, uno dei suoi primi allievi e futuro biografo, nell’esplorazione e nel riordino dell’archivio romano della procura, a S. Romualdo. Ne favorì quindi, nel febbraio 1740, l’invio a Pisa, a S. Michele in Borgo, presso Grandi.
Questi era stato ormai colpito dalla grave forma di decadimento mentale che ne precedette la fine, nell’estate del 1742. Andavano perciò crescendo, nella Congregazione, i timori per il suo disegno di pubblicare al più presto una nuova edizione dell’epistolario e dell’Hodoeporicon del generale Ambrogio Traversari, testimonianze quanto mai esplicite sulla decadenza morale e le profonde lacerazioni del mondo camaldolese nel XV secolo. In tale quadro il soggiorno pisano di Costadoni, formalmente dettato da motivi di studio, fu in realtà volto a sventare la stampa dei testi traversariani – già consegnati alla tipografia fiorentina Tartini – e a ottenere la restituzione al monastero di Classe delle carte del defunto abate Pietro Canneti, rimaste nelle mani di Grandi. Costadoni fu così strumento di una resa dei conti – della quale la secolarizzazione di Ortes, nel 1743, rappresentò un esito – tra un ristretto gruppo di fedeli estimatori dell’anziano matematico e un più vasto schieramento sensibile alle esigenze apologetiche dei vertici della Congregazione, favorevole a un approccio alla storia monastica più moderato e meno dissacrante di quello grandiano. Il M., insieme con i monaci di Classe, si collocò per tempo in quest’ultimo fronte e ne sposò le ragioni, prendendo decisamente le distanze dall’antico maestro. Il rapporto giovanile con Grandi fu in seguito minimizzato e la biografia di Costadoni lo passò sotto silenzio.
Il M. mise pertanto da parte il progetto, cui lavorava da qualche tempo, per un’edizione completa dell’epistolario di Pietro Dolfin – scabroso documento di una frattura culminata nella sconfessione del generale veneziano da parte degli eremiti e compatrioti Paolo Giustiniani e Pietro Querini – e concentrò le proprie energie sulla ricerca e la trascrizione sistematiche di testimonianze sugli insediamenti e le grandi figure del composito universo camaldolese. Tale lavoro di scavo, privo ancora di obiettivi e finalità precisi, fu coniugato con lo svolgimento degli incarichi istituzionali.
Nominato nel 1742 maestro dei novizi a S. Michele, fu inviato nel 1743, per un triennio, a Treviso, in qualità di confessore ordinario delle monache camaldolesi di S. Parisio, a beneficio delle quali scrisse la sua prima opera a stampa, Ritiro spirituale di un giorno al mese per la rinnovazione de’ voti ad uso delle monache spezialmente benedettine, uscita anonima a Venezia nel 1745. Riordinò inoltre l’archivio del monastero trevigiano e redasse la vita del santo eponimo, pubblicata poi – pure anonima – con dedica a Benedetto XIV (Memorie della vita di s. Parisio monaco camaldolese e del monastero de’ Ss. Cristina e Parisio di Treviso, Venezia 1748). Frattanto a Venezia Calogerà e Costadoni proseguivano lo scambio di notizie e documenti sul passato camaldolese con confratelli di monasteri ed eremi, con studiosi della cultura quattro-cinquecentesca veneziana – dal futuro doge Marco Foscarini, al cardinale Angelo Maria Querini, al francescano Giovanni Degli Agostini, al patrizio Flaminio Corner –, con altri ambienti eruditi veneti e italiani.
Rientrato a S. Michele alla fine del 1746 e assunta nuovamente la funzione di maestro dei novizi, il M. fu nominato un anno dopo cancelliere della Congregazione e si trasferì a S. Ippolito di Faenza, sede degli abati generali, dove rimase fino al 1750.
Il periodo trascorso a Faenza – durante il quale fu ascritto all’Accademia cittadina dei Filoponi e pubblicò alcune Brevi memorie del monastero della Ss. Trinità di Faenza (Faenza 1749) – risultò particolarmente proficuo per le sue indagini documentarie. Assistito e incoraggiato dai confratelli di Classe Mariangelo Fiacchi e Gabriele Guastuzzi, ebbe modo infatti di trascrivere e regestare quantità di pergamene e carte conservate negli archivi di S. Ippolito e di altre fondazioni camaldolesi, visitate al seguito dell’abate generale, il veneziano Giovanni Ipsi. Fu in questi anni, mentre Calogerà si estraniava progressivamente dagli studi di storia monastica, che si cementò tra il M. e Costadoni un sodalizio basato su una rigorosa divisione di compiti, coerente con le attitudini intellettuali e i tratti caratteriali rispettivi: il primo, dotato di spiccata capacità di elaborazione, riservatissimo e schivo, assunse definitivamente la direzione della ricerca; al secondo, puntiglioso paleografo, estroverso e pieno d’iniziativa, rimasero affidati la cura dei rapporti epistolari, gli aspetti pratico-organizzativi e il lavoro di copia.
Al ritorno a Venezia, dopo un vano tentativo di accedere all’archivio dell’eremo di Camaldoli, a suo tempo precluso a Grandi, il M. diede forma definitiva a un progetto storiografico collettivo a lungo oscillante tra codice diplomatico, repertorio dei religiosi celebri e cronotassi delle fondazioni, optando per la formula degli annali, sul modello illustre degli Annales Ordinis s. Benedicti di Mabillon.
Intraprese quindi in compagnia di Costadoni, nella primavera 1752, un «viaggio letterario» che, nell’arco di sette mesi, toccò archivi e biblioteche camaldolesi dislocati tra Emilia, Romagna, Marche e Lazio, ma soprattutto gli agognati depositi documentari del monastero e dell’eremo di Camaldoli (cfr. il puntuale Diario del viaggio fatto da due monaci camaldolesi per i loro monasteri dello Stato ecclesiastico e della Toscana nell’anno 1752, redatto da Costadoni). L’anno successivo avviò la stesura definitiva dell’opera, mentre il compagno completava le visite ad alcune fondazioni maschili e femminili venete e bolognesi, e Fortunato Mandelli, collegiale a Roma in S. Gregorio al Celio, trascriveva altri documenti di quel monastero. Il primo volume degli Annales Camaldulenses Ordinis s. Benedicti fu pubblicato a Venezia nella primavera del 1755, con i nomi di entrambi i collaboratori – una scelta che Costadoni ricondusse in più occasioni alla generosità del M. – e con l’indicazione tipografica «aere monasterii S. Michaelis de Muriano». Fu in realtà il M. ad accollarsi la maggior parte delle spese per la stampa, eseguita dal tipografo veneziano Modesto Fenzo (Costadoni, Istoria della edizione dell’opera intitolata Annales Camaldulenses, pp. 11-13). I volumi, divisi – sul modello maurino – in una parte espositiva e nella relativa appendice documentaria, si susseguirono a cadenza ravvicinata, annuale o biennale: nel 1764 uscì l’VIII, che giungeva al Settecento.
Nella Praefatio al primo volume degli Annales, il richiamo a Mabillon – indicato come guida e lume in tutte le fasi dell’impresa – si intrecciava con riferimenti al Muratori delle Antiquitates Italicae Medii Aevi e al Querini del De monastica Italiae historia conscribenda. Netta suonava invece la presa di distanza da Grandi, il cui apporto alla storiografia camaldolese veniva limitato a una serie di contributi critici su specifiche questioni relative ai primi secoli. In realtà il confronto con l’opera grandiana fu negli Annales, inevitabilmente, continuo. Le Dissertationes Camaldulenses e la Vita di Pietro Orseolo fornirono la traccia per la ricostruzione delle fasi dell’esperienza eremitica di Romualdo, mentre le notizie contenute in un falso grandiano – la Vita S. Bononii abbatis attribuita al monaco Rotberto – furono in parte recepite. Sui punti più spinosi il M. rinunciò alla sua indubbia acribia, nell’intento – enunciato fermamente (Praefatio, p. X) – di astenersi «a contentiosis». Sul nodo delle origini e dell’autonomia di Camaldoli optò per il compromesso: fece proprio il rifiuto della visione romualdina della scala, ma minimizzò le attestazioni del patronato vescovile aretino sui luoghi dell’eremo. Respinse inoltre il rinvio della fondazione dal 1012 al 1027, proposto da Grandi sulla scorta di un esame del livello di attendibilità della documentazione, avvalorato in seguito dalla storiografia. Negli ultimi volumi poi l’esigenza di evitare tensioni con la componente eremitica e veti da parte dei vertici della Congregazione dettò soluzioni estrinseche e inadeguate. Nel volume VII si astenne dall’addentrarsi nei rapporti tra il generale Traversari e il maggiore dell’eremo di Camaldoli Girolamo da Praga, precipitati sullo sfondo delle vicende del concilio di Basilea, e si limitò ad accostare a un ampio ritratto di Traversari una serie di testimonianze sulla figura dell’eremita. Allo stesso modo, poco oltre, giustappose a una narrazione simpatetica delle vicende di Pietro Dolfin, l’eroe dei suoi studi giovanili, un notarile profilo dell’eremita e grande oppositore del generale, Pietro Querini.
Favorevole fu l’accoglienza riservata agli Annales nel mondo erudito. Le Novelle letterarie di G. Lami, nel dar conto dell’uscita del primo volume, insistettero sull’importanza dell’opera per la conoscenza dei «tempi di mezzo, con vantaggio dell’ecclesiastica e della civile istoria» (XVI [1755], 17, 25 apr. 1755, coll. 264-267). G.C. Amaduzzi, nell’elogio funebre del M., indicò negli Annales l’adeguato «supplemento» alle imprese di C. Baronio e Mabillon, dei Bollandisti, di F. Ughelli e di Muratori. Dei «più muratoriani» (Rosa) tra gli annali degli ordini religiosi, suscitò semmai qualche perplessità il ritmo incalzante della pubblicazione, apparso poco consono al «decoro dell’opera», come avrebbe scritto Costadoni (Memorie della vita di d. G. M., p. 22), giustificando tuttavia tanta «sollecitudine di stampa» con il timore del M. e suo proprio di dover lasciare l’impresa incompleta.
Nel 1756 il M. fu nominato a una delle dignità abbaziali della provincia veneta, rimasta vacante. La designazione, formalmente ineccepibile, fece esplodere un contrasto da tempo latente con Calogerà, alimentato dai risentimenti di quest’ultimo – sempre più assorbito dalla militanza antigesuitica – per il mancato riconoscimento del suo contributo agli Annales. Amplificata e divulgata dal monaco giornalista presso i suoi numerosi corrispondenti, la vicenda gettò un’ombra sull’immagine dell’operosa comunità muranese e costituì a lungo motivo d’imbarazzo per l’intera Congregazione. Non pregiudicò comunque la brillante affermazione del M., divenuto nel 1760 abate di governo di S. Michele, e nel 1765 abate generale per il successivo quinquennio. L’elezione fu solennizzata dal conio di una medaglia in onore del generale-storiografo, che nel 1761 era diventato anche vicecustode della colonia arcadica camaldolese. Nella nuova veste il M. si trasferì ancora una volta a Faenza, dove lo raggiunse Costadoni, nominato cancelliere. Nella primavera del 1766, iniziata da Roma la visita dei monasteri, rese omaggio a Clemente XIII, suo grande estimatore e dedicatario del IV volume degli Annales Camaldulenses.
Giunto al governo della Congregazione in un momento particolarmente difficile per gli ordini religiosi, ormai nel mirino delle politiche giurisdizionalistiche, il M. assistette da Faenza alle misure e alle indagini che prepararono la soppressione di un buon numero di insediamenti camaldolesi, poi realizzata nei territori veneti e nella Lombardia asburgica tra il 1771 e il 1772 (alcuni suoi interventi in proposito, in Gibelli, p. 34 e passim). Nel 1768 la dieta generale, da lui presieduta, modificò l’ordinamento degli studi dei membri della Congregazione, riducendo a un biennio il corso di filosofia e prolungando quello di teologia a sette anni, uno dei quali sarebbe stato dedicato al diritto canonico (ibid., pp. 34 s.; cfr. inoltre Camaldoli, Biblioteca del Monastero, Fondo S. Michele di Murano, 1692: Acta Congr. Cam., agli anni 1768 e 1770). Ratificato dal capitolo generale del 1770, tale intervento va probabilmente ricondotto a sollecitudini apologetiche e antilluministiche, che – attestate tra l’altro da materiali scolastici coevi provenienti dallo Studium di S. Michele – vennero in seguito sviluppate in chiave accesamente antigiansenista da F. Mandelli e da più giovani leve camaldolesi di Murano, da Placido Zurla a Mauro Cappellari, futuro papa Gregorio XVI.
Il ritorno del M. a Faenza fu salutato con grande favore dal ceto dirigente cittadino che – a detta di Costadoni (Memorie della vita di d. G. M., p. 40) – gli avrebbe chiesto, nel 1767, di subentrare al vescovo Antonio Cantoni, traslato a Ravenna. Il M. declinò, ma volle ricambiare la stima e l’affetto dimostratigli.
Curò così l’edizione di due cronache del XIII secolo e di altri documenti faentini, riuniti in un volume pubblicato, al rientro a Venezia, con il titolo Ad scriptores rerum Italicarum cl. Muratorii accessiones historicae Faventinae (Venezia 1771), a sottolineare un legame, fortemente sentito, con la grande stagione erudita italiana. Seguì il De literatura Faventinorum, sive De viris doctis et scriptoribus urbis Faventiae (ibid. 1775), frutto degli spogli condotti in quegli anni dal M. su cataloghi e repertori di storia letteraria. Tra le due opere faentine uscì, nel 1773, il nono e ultimo volume degli Annales Camaldulenses. Oltre alle appendici documentarie all’VIII, a suo tempo omesse, compariva qui una serie di testi riguardanti il difficile Quattro-Cinquecento camaldolese. Accanto all’Epistolicum commercium tra Pietro Querini, Paolo Giustiniani e altri amici veneziani, venivano infatti presentati il trattato queriniano Super concilium generale, il Libellus a papa Leone X – del quale quella degli Annales resta a tutt’oggi l’unica edizione – e i Sermones di Girolamo da Praga. Al recupero delle voci più suggestive dell’ambiente eremitico di età umanistica – guardato in precedenza con freddezza – non fu probabilmente estraneo il ripiegamento psicologico e religioso vissuto dal M. e da Costadoni, nel periodo del rapido declino del mondo culturale ed ecclesiastico nel quale si erano formati agli studi.
Anche dopo la cessione della carica di bibliotecario a Mandelli, nel 1758, il M. continuò – tra i vari impegni – a catalogare il fondo manoscritto di S. Michele di Murano, arricchito nel corso del secolo, grazie a scambi e acquisti, di codici di particolare pregio, in gran parte quattrocenteschi. Fu questa l’occupazione pressoché esclusiva nei suoi ultimi anni. La Bibliotheca codicum manuscriptorum monasterii S. Michaelis Venetiarum fu comunque pubblicata postuma, con l’appendice relativa agli incunaboli appena abbozzata (Venezia 1779). Oltre alle opere ricordate, rimangono, a stampa, i testi di alcuni suoi brevi discorsi e parafrasi di salmi, pronunciati in occasione di professioni religiose.
Il M. morì il 14 ag. 1777 a S. Michele di Murano e fu tumulato nella chiesa monastica, ai piedi dell’altare di S. Romualdo.
Fonti e Bibl.: I nuclei principali delle corrispondenze epistolari del M. si trovano in: Camaldoli, Biblioteca del Monastero, Fondo S. Michele di Murano, 1594, 1596; Venezia, Biblioteca nazionale Marciana, Cod. it., X, 325 (6667); Ibid., Biblioteca del Museo Correr, Epistolario Moschini (s.v. Fiacchi, Mariangelo e Guastuzzi, Gabriele); Ravenna, Biblioteca Classense, Lettere, bb. 28, 33; Forlì, Biblioteca comunale, Autografi Piancastelli, Carte Romagna, 609; Pisa, Biblioteca universitaria, Mss., 94. Per gli studi compiuti dal M. sull’epistolario di Pietro Dolfin, vedi Camaldoli, Biblioteca del Monastero, Fondo S. Michele di Murano, 1124: Miscellanea Petri Delphini; 627/II, cc. 276-283: Memorie per servire allo studio di una nuova edizione delle pistole del ven. Pietro Delfino (autografe di A. Costadoni); in generale per l’attività e i metodi di lavoro del M. e del gruppo muranese, nonché per le tappe della realizzazione degli Annales Camaldulenses, ibid., 607-627; 603-606; 643: A. Costadoni, Diario del viaggio fatto da due monaci camaldolesi per i loro monasteri dello Stato ecclesiastico e della Toscana nell’anno 1752; 1591-1593; 1606: Id., Istoria della edizione dell’opera intitolata Annales Camaldulenses; 1692; Roma, Biblioteca nazionale, Fondi minori, S. Gregorio al Celio, 60 (minute e abbozzi autografi del M. per l’allestimento del catalogo dei manoscritti di S. Michele); Camaldoli, Archivio, Fondo Camaldoli, 104: A. Gibelli, Memorie storiche della Congregazione camaldolese, p. 34 e passim; G.C. Amaduzzi, Elogio funebre, in Antologia romana, ottobre 1777, n. 17, pp. 129-132; A. Costadoni, Memorie della vita di d. G. M. veneziano, abate ex generale de’ camaldolesi, in Nuova Raccolta di opuscoli scientifici e filologici, XXXIII (1779), pp. 1-62; A. Fabroni, Vitae Italorum doctrina excellentium qui saeculis XVII et XVIII floruerunt, V, Pisa 1779, pp. 373-391; G. Moschini, Della letteratura veneziana, II, Venezia 1806, pp. 218 s.; G.B. Baseggio, G.B. M., in E. De Tipaldo, Biografia degli italiani illustri, X, Venezia 1845, pp. 140-145; G. Tabacco, La vita di S. Bononio di Rotberto monaco e l’abate Guido Grandi (1671-1742), Torino 1954, pp. 8-9; N. Carranza, Prospero Lambertini e Guido Grandi, in Bollettino storico pisano, s. 3, XXIV-XXV (1955-56), pp. 215 s.; G. Tabacco, La data di fondazione di Camaldoli, in Rivista di storia della Chiesa in Italia, XVI (1962), pp. 451-455; M. Rosa, Echi dell’erudizione muratoriana nel ’700 (Appunti in margine a un libro recente su Muratori), in Studi medievali, s. 3, IV (1963), p. 837; E. Massa, I manoscritti originali custoditi nell’eremo di Frascati, in P. Giustiniani, Trattati lettere e frammenti, a cura di E. Massa, Roma 1967, I, pp. XCI-XCV; M.E. Magheri Cataluccio - U. Fossa, Biblioteca e cultura a Camaldoli. Dal Medioevo all’umanesimo, Roma 1979, ad ind.; U. Fossa, La storiografia camaldolese sul Traversari dal Quattrocento al Settecento, in Ambrogio Traversari nel VI centenario della nascita. Convegno internazionale di studi Camaldoli-Firenze … 1986, a cura di G.C. Garfagnini, Firenze 1988, pp. 121-146; G.M. Croce, I camaldolesi nel Settecento: tra la «rusticitas» degli eremiti e l’erudizione dei cenobiti, in Settecento monastico italiano. Atti del I Convegno di studi storici sull’Italia benedettina, … 1986, a cura di G. Farnedi - G. Spinelli, Cesena 1990, pp. 203-270; Id., Monaci ed eremiti camaldolesi in Italia dal Settecento all’Ottocento. Tra soppressioni e restaurazioni (1769-1830), in Il monachesimo italiano dalle riforme illuministiche all’Unità nazionale (1768-1870). Atti del II Convegno di studi storici sull’Italia benedettina, Abbazia di Rodengo … 1989, a cura di F.G.B. Trolese, Cesena 1992, pp. 205-210; A. Barzazi, Dallo scambio al commercio del libro. Case religiose e mercato librario a Venezia nel Settecento, in Atti dell’Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, cl. di scienze morali, lettere ed arti, CLVI (1997-98), pp. 9-25, 34-44; C. Caby, De l’érémitisme rural au monachisme urbain: les camaldules en Italie à la fin du Moyen Âge, Roma 1999, ad ind.; A. Barzazi, Gli affanni dell’erudizione. Studi e organizzazione culturale degli ordini religiosi a Venezia tra Sei e Settecento, Venezia 2004, pp. 264-332, 413-416; L. Merolla, La Biblioteca di S. Michele di Murano all’epoca dell’abate G.B. Mittarelli. I codici ritrovati, Roma 2010.