GIOVANNI BATTISTADe Rossi, santo
Nacque a Voltaggio, presso Genova, il 22 febbr. 1698, da Carlo e da Francesca Anfossi. A dieci anni entrò a servizio, come paggio, dei nobili genovesi Giovanni Scorza e Maria Bettina Cambiasi. La sua famiglia, però, desiderava ch'egli ricevesse la sua formazione a Roma.
Tre anni dopo, infatti, nel 1711, il cugino Lorenzo De Rossi, canonico di S. Maria in Cosmedin, lo iscrisse al Collegio romano come alunno esterno. Lì, secondo l'uso dei gesuiti, G. si inserì anche in una congregazione per l'animazione spirituale degli studenti, quella "della scaletta", dove entrò in stretto contatto con il padre Francesco Maria Galluzzi, già suo confessore, molto noto per le esortazioni spirituali che dettava da tempo nell'attiguo oratorio del Caravita. Passato presto nel "Ristretto degli apostoli", G. si segnalò per l'assiduità con cui invitava i compagni agli incontri religiosi settimanali.
Nel 1715 il Galluzzi divenne direttore del Collegio e G., da lui guidato, decise di diventare sacerdote e ricevette la tonsura e gli ordini minori; non entrò però tra i gesuiti, perché l'amicizia con Girolamo Vaselli, fondatore della Pia Unione dei sacerdoti secolari di S. Galla, impegnata nell'assistenza ai poveri di Roma, cui aderì nel 1715, lo attirava verso un apostolato più marcatamente caritativo. Non abbandonò tuttavia la spiritualità gesuitica, con la devozione a Luigi Gonzaga, la confessione frequente, la pratica degli esercizi spirituali ignaziani, le opere di carità negli ospedali e i pellegrinaggi annuali alle sette chiese.
Queste intense attività e le eccessive penitenze alimentari che G. si imponeva per correggere il suo carattere, da lui stesso giudicato troppo gioviale e canzonatore, ne danneggiarono però la salute. A causa di un forte esaurimento e dei primi attacchi di epilessia (malattia che lo affliggerà per tutta la vita), fu costretto a lasciare il Collegio romano e a proseguire gli studi teologici in quello domenicano di S. Tommaso alla Minerva, dove non vigeva l'obbligo di trascrivere le lezioni dei maestri, ma era sufficiente seguirle oralmente.
Finalmente, dopo avere ricevuto l'ordinazione diaconale, nel 1720, e quella sacerdotale nel 1721, il 9 marzo dello stesso anno celebrò la sua prima messa in S. Ignazio, sull'altare che custodisce le spoglie del santo.
G. aderì al tentativo di ripresa della pastoralità tridentina e della riforma dei costumi religiosi promosse da Clemente XI, morto dieci giorni dopo la sua ordinazione; fece quindi il voto di conformare la sua vita alle prescrizioni del concilio di Trento e di non chiedere o accettare alcun beneficio ecclesiastico che non fosse quello, obbligatorio, legato al suo specifico ufficio di cura delle anime. Fu una scelta di povertà da lui espressa anche privandosi di abiti lussuosi o indumenti superflui, dedicando il maggior tempo possibile al servizio del prossimo ed evitando particolarmente la frequentazione dei teatri.
L'arco di tempo compreso tra il 1721 e il 1735 non presenta date particolarmente importanti nella vita di G., eccetto il 1° giugno 1731, quando prese in affitto una casa degli Odescalchi al prezzo di 80 scudi l'anno per stabilirvi la appena fondata sezione femminile dell'ospizio di S. Galla, diretta dal Galluzzi.
L'istituzione rispondeva, almeno in parte, ai problemi della politica reclusoria di Innocenzo XII nei confronti dei poveri e all'insufficienza dell'assistenza privata occasionale attraverso l'accoglienza delle donne in forma libera e preventiva, nella maniera più confacente ai bisogni di ognuna, da una sola notte a periodi più lunghi, o attraverso aiuti economici. G. scelse di affidare la direzione dell'opera al suo maestro e dopo di lui ai suoi successori nel Collegio romano, per assicurarne la stabilità nel tempo, rendendola indipendente dalla propria persona.
Il 5 febbr. 1735, dopo molti dubbi e resistenze, accettò di diventare coadiutore del cugino canonico, preparandosi a prenderne il posto, cosa che avvenne nell'ottobre 1737, quando Lorenzo devolse buona parte dell'eredità all'ospizio femminile.
Il capitolo di S. Maria in Cosmedin affidò quindi a G. il compito di provvedere all'istituzione della Compagnia del Santissimo, l'amministrazione dell'eredità Crescimbeni, il rinnovamento delle suppellettili della chiesa, la stampa di sussidi devozionali e la scelta di predicatori validi.
Egli eseguì tali incombenze contribuendo anche con denaro proprio senza con ciò diminuire l'impegno con cui si dedicava alle confessioni. Per queste ragioni ottenne l'esenzione dalla presenza nel coro, concessagli da Clemente XII nel 1739 e confermata in perpetuo da Benedetto XIV, nel 1743. Apprezzato per la "carità operativa" e per la moderazione del suo ministero, G. acquisì una notevole reputazione, ed era richiesto continuamente da persone che desideravano essere confessate da lui o a lui chiedevano soccorso. Benedetto XIV lo nominò suo consultore per la riforma della disciplina ecclesiastica e, ancora nel 1743, gli affidò l'istruzione religiosa settimanale ai soldati e ai funzionari dei pubblici tribunali, impartita nell'oratorio di S. Filippo Neri a via Giulia. G. accettò l'incarico a patto che fosse gratuito e senza interrompere le consuete visite nelle prigioni e negli ospedali romani, specie d'estate, quando i ricoverati aumentavano a causa delle febbri malariche. Usava confessare i malati e prestare loro aiuti materiali, ma impediva loro di nominarlo depositario nei testamenti, contro il comportamento comune più diffuso che egli condannava.
Volendo vivere da povero tra i poveri, nel 1747 abbandonò la sua abitazione presso S. Maria in Cosmedin per stabilirsi nel convitto sacerdotale della Trinità dei Pellegrini e si aggregò a quella Confraternita dedita all'assistenza. Nel 1760 rinunciò al canonicato in cambio di una piccola pensione e "uno stallo in coro per divozione a Maria". Chiamato a tenere discorsi morali al clero nella chiesa di S. Tommaso ai Cenci, dal 1758 al 1763, sollecitò i sacerdoti all'impegno caritativo verso le vittime della carestia che afflisse la città negli anni '60.
Consumato dalle condizioni in cui visse, morì a Roma il 23 maggio 1764, in concetto di santità. Beatificato da Pio IX il 13 maggio 1860, G. fu canonizzato da Leone XIII l'8 dic. 1881.
G. ha lasciato i manoscritti dei Discorsi morali e alcune lettere al parroco di Rocca di Papa Pietro Santovetti (Fragnelli), mentre sono state pubblicate postume le sue Regole per la saggia direzione delle anime ad uso precipuo dei reverendi parrochi… (Torino 1847) e le Memorie utilissime ai vescovi, parrochi e confessori di monache… (Napoli 1858), a cura del postulatore della causa di beatificazione Telesforo Galli.
Fonti e Bibl.: Bibl. apost. Vaticana, Vat. lat. 15112, cc. 1-53, 58-84v; G.M. Toietti, Vita del servo di Dio don G., Roma 1768 (Genova 1770, Roma 1881); M. Tavani, Vita del beato G., Roma 1867; H. Cormier, Un ami du peuple ou Vie de saint Jean-Baptiste D.…, Rome 1901; V.E. Giuntella, Roma nel Settecento, Bologna 1971, pp. 174 s., 273, 277, 323; P. Fragnelli, "Carità operativa" e cura d'anime nelle lettere di G., in Ricerche per la storia religiosa di Roma, VII (1988), pp. 289-330; L. Fiorani, Identità del prete romano tra Sei e Settecento, ibid., p. 163; Enc. cattolica, VI, coll. 617 s., s.v. (A.M. Lanz).