VIOLA, Giovanni Battista
Nacque a Bologna il 16 giugno 1576 (Malvasia, 1678, II, p. 149; Granata, 2002, p. 289) da Giacomo Filippo, falegname, e da Angelica de’ Vecchi, e in quello stesso giorno venne battezzato al fonte dei Ss. Naborre e Felice. Predestinato al mestiere di barbiere dal padre, manifestò precoce interesse per la pittura e venne introdotto nella bottega di Annibale Carracci (Baglione, 1642, p. 173; Malvasia, 1678, II, p. 90; Baldinucci, 1681-1728, 1846). Formato dal dominus degli Incamminati, e con lui attivo almeno nel 1595 circa nel Paesaggio con la morte di Assalonne del Louvre (Spear, 1980, p. 301), fu menzionato – ancora vivente – come specialista di pittura di paesaggio (Mancini, 1617-1621, 1956), un genere in cui si espresse inizialmente «alla maniera pittoresca buona italiana» , dipingendo paesi «assai belli, e naturali, a fresco lavorati» (Baglione, 1642, p. 173), e assorbendo l’influsso della pittura nordica soltanto negli anni tardi della sua attività, chiamata spesso a confrontarsi e a competere con quella fiamminga.
Perduta molta sua produzione murale, resta apertissimo il problema di quella da cavalletto: gli esperti non concordano sulla classificazione del suo talento – che oscillerebbe da un «neglected but significant landscape artist» (Spear, 1980, p. 298) a quello di un mestierante «decorativo» (D. Mahon, in Classicismo e Natura, 1996, p. 10) «abbastanza modesto» (C. Whitifield, ibid., p. 16) – e convergono solo su un numero relativamente basso di tele. Né maggiore intesa è stata raggiunta sui topoi del genere prediletto da Viola, che si possono tuttavia riassumere nella propensione a realizzare paesaggi con superfici lacustri o fluviali, rocce spugnose e architetture turrite, con l’inserzione di figure non equivalenti alle sue abilità naturalistiche, e spesso abbigliate elegantemente. Sebbene il suo catalogo sia ancora in fase di assetto, il nome di Viola ricorre ininterrottamente nelle principali collezioni seicentesche italiane e almeno quattro volte nella raccolta di Luigi XIV a Versailles, come opportunamente evidenziato da Richard Spear già quattro decenni orsono (1980, p. 301), rendendo utile e possibile la continuazione di questo, ancorché difficile, recupero.
Tra i primi allievi di Annibale a migrare nell’Urbe, vi giunse in compagnia dell’amico Francesco Albani (Baldinucci, 1681-1728, 1846; Spear, 1980, p. 301) verosimilmente intorno al 1601, e già nel 1603 Giovan Battista Agucchi associava il suo nome a «una caccia» e a un «paese d’acqua» nell’inventario dei dipinti di Pietro Aldobrandini (consultato in Domenichino, 1996, p. 570, nn. 329-330), verosimilmente già peculiari della sua produzione, in cui spesso scene venatorie vennero dipinte in abbinamento a quelle fluviali (Spear, 1980, p. 305). Anche la collocazione è indicativa della sua vicinanza ad Annibale e forse già al Domenichino (a Roma dalla primavera del 1602), entrambi ammirati e sostenuti in casa Agucchi prima, e in quella Aldobrandini poi.
Un lungo e a oggi incolmabile vuoto documentario permane nelle nostre conoscenze fino al 1607, anno in cui Viola versò quindici baiocchi come tassa di iscrizione all’Accademia di S. Luca (ibid., p. 301 nota 20). Nel luglio e nell’agosto di questo stesso anno venne retribuito cinquanta scudi per aver eseguito delle pitture murali (non conservatesi) – insieme e probabilmente «a concorrenza di Paolo Brillo Fiammingo» (Baglione, 1642, p. 173) – nel palazzo del giardino del cardinale Alessandro Peretti Montalto a S. Maria Maggiore (Granata, 2002, pp. 290 s.), luogo al quale nel 1610 erano destinati altri «sei quadretti de paesi», e probabilmente anche quello pagatogli venti scudi nel giugno 1615 (ibid., 291).
Lo stesso deterioramento causato dall’umidità e «dalla tramontana che le guasta e le ruina» (lettera inviata da Roma il 23 dicembre 1611 da Virgilio Gonzaga al cardinale Ferdinando Gonzaga, in Cremona, 2014, p. 868) subirono le varie e «assai grandi» (Baldinucci, 1681-1728, III, 1846, p. 359) pitture realizzate tra il 1609 e il 1610 sui muri di contenimento del terreno del giardino del cardinale Lanfranco Margotti, noto oggi come palazzo Rivaldi, pitture che inquadravano e inglobavano elementi decorativi ed architettonici risalenti alla precedente proprietà del cardinale Alessandro de’ Medici (Cremona, 2014, p. 867), e che vennero riconosciute e descritte dopo il 1660 da Giovan Francesco Grimaldi insieme a «un fregio con scomparto di singolar bellezza e d’ottima conservazione» eseguito all’interno del palazzo, probabilmente nella nuova galleria progettata da Giovanni Vasanzio (ibid.), e ricoperto nei secoli successivi.
Pur cambiando spesso dimora, nei primi anni romani Viola risultava stabilmente nella parrocchia di S. Andrea delle Fratte (Spear, 1980, p. 298 note 9-11, p. 301 note 12-16). Coinquilino di Albani almeno tra il 1610 e il 1612, sposò nel gennaio del 1613 (ibid., p. 298) Silvia Gemelli da Frascati, vedova dello scultore comasco Giovanni Battista Rusconi e madre di Anna, «puella» di tredici anni che nel febbraio dello stesso 1613 fu presa in moglie da Albani (già in Malvasia, 1678, II, p. 90; Vodret, 2011a, p. 34), una parentela ricercata che sigillava e coronava un’amicizia di lunga data tra i due pittori. Con moglie († 16 luglio 1618) e con almeno cinque figli documentati (Spear, 1980, p. 301; Vodret, 2011b, p. 241) Viola dimorò nella stessa parrocchia fino al 1619, anno in cui risulta trasferito nei pressi del monastero di S. Giuseppe fino al 1622 (Vodret, 2011a, p. 35), pur possedendo, almeno dal 1621, una casa di proprietà, in cui erano domiciliati il pittore e intagliatore tedesco Teodoro Cruger e il pittore Niccolò Vanaus (ibid., p. 131).
Citato il 7 giugno 1610 nei pagamenti di Vincenzo Giustiniani per «un mese e mezzo» di lavori di ritocco eseguiti nella galleria realizzata dall’Albani nel palazzo a Bassano di Sutri (Brugnoli, 1957, p. 277, n. XI), Viola venne probabilmente occupato qui in lavori di completamento e rifinitura, ma forse anche negli sfondi marini o in quelli campestri degli episodi alle pareti (riconoscimento proposto nella rappresentazione della Tellus e nel Satiro che si disseta; ibid., p. 269), guadagnandosi l’apprezzamento del banchiere genovese, che possedette anche due non identificati soprapporta piccoli di «paesi con historie del Vecchio Testamento» (Salerno, 1960, p. 95, nn. 28-29) e quattro altri soprapporta maggiori dei precedenti con «paesi con varie historie di figurine picciole» (ibid., p. 95, nn. 30-33) illustranti un Battesimo di Cristo, la Pesca miracolosa, la Predica di s. Giovanni Battista (identificata inizialmente con la tela della collezione Richard L. Feigen di New York, poi declassata a copia: cfr. R.E. Spear, in Domenichino, 1996, pp. 167, 169) e la Fuga in Egitto (individuata in una collezione privata inglese: cfr. Whitfield, 1988, p. 110), in cui si avverte la vicinanza dell’Albani.
Constatata la perdita degli affreschi sopra citati, e valutata la difficoltà di individuare il suo intervento nell’opera di concittadini più richiesti (Annibale Carracci, Albani e Domenichino) con i quali è indubbio che intercorresse una prolifica e vantaggiosa collaborazione, il parere della critica si incontra sull’autografia di pochi esemplari. Tra questi ricordiamo: il Paesaggio carraccesco della Galleria Borghese (Della Pergola, 1955, con l’attribuzione a Giovan Francesco Grimaldi; Spear, 1980, p. 302; Whitfield, 1988, p. 102) – collegato a un pagamento emesso nel 1613 da Scipione Borghese per un acconto di due quadri –, il Paesaggio con s. Eustachio del Louvre – una delle quattro pitture assegnate al Viola nelle collezioni reali francesi e proveniente dalla raccolta di Giulio Mazzarino (Spear, 1980, p. 302; Whitfield, 1988, p. 102) –, un Paesaggio con una scena di caccia della National Gallery di Londra (Spear, 1980 p. 306; Whitfield, 1988, p. 104); e una coppia di tele fiorentine (depositi della Galleria degli Uffizi e della Galleria Palatina), di cui una ripete una composizione dello Zampieri (Spear, 1980, p. 311; Whitfield, 1988, p. 102).
Nel 1614 Domenichino intervenne come padrino al fonte di S. Marcello al Corso per il battesimo di Tecla, la seconda figlia femmina di Viola e della Gemelli (Vodret, 2011b, p. 240), e tra il 1616 e il 1618 convocò il concittadino più anziano per i vasti paesaggi delle Storie di Apollo nel casino della villa Aldobrandini a Frascati (Baglione, 1642, p. 384; Malvasia, 1678, II, p. 226; Passeri, 1673 circa, 1934, divisi tra la collocazione originaria e la National Gallery di Londra). La mano del Viola è stata proposta (R.E. Spear, in Domenichino, 1996, p. 165; Whitfield, 1988, p. 118) anche per lo sfondo naturalistico dell’Erminia tra i pastori del Louvre, dipinto prossimo all’impresa di Frascati e generalmente attribuito al solo Domenichino, mentre sono ancora i documenti a riconsegnarci insieme i due pittori nell’estate del 1621, quando lo Zampieri coinvolse Viola nella decorazione del Camerino dei paesi nel casino dell’Aurora di villa Ludovisi, in cui furono attivi anche Brill e Guercino (Serra, 1909). Al Domenichino i Ludovisi commissionarono anche quattro grandi tele a soggetto biblico (già palazzo Ludovisi a Zagarolo), di cui soltanto il Paradiso terrestre (sala del trono, Roma, Galleria Pallavicini) è noto come frutto della collaborazione tra lo Zampieri, il Viola e un altro incognito pittore fiammingo (Zeri, 1959).
Alla fine del secondo decennio, e in controtendenza ai pittori nordici – che dimostrarono di avvicinarsi sensibilmente al paesaggio ideale bolognese –, Viola manifestò di cedere alle seduzioni fiamminghe, concordemente riconosciute (oltreché nelle sue pitture murali di villa Ludovisi) nella coppia di tavole del Bowes Museum di Barnard Castle, in cui il Paesaggio con musicisti e coppia danzante e il Paesaggio con cavalieri e pescatori mostrano evidenti consonanze con gli esiti di Brill e con quelli di Martin Ryckaert (Spear, 1993, p. 764; C. Whitfield, in Classicismo e Natura, 1996, pp. 137 s., n. 21).
«Di costume assai piacevole et allegro, ma però con prudenza e circospettione, et di zelo d’honore» (Mancini, 1617-1621, 1956, I, p. 246), Viola fu rinomato – ancor prima di abbandonare Bologna – anche per l’abilità nel suonare la chitarra, che accompagnò allegramente «cantandovi dentro certe frottole ed improvvisate da sé compostesi». Si dimostrò inoltre talentuoso nei «motti, picchi e facezie […] ch’altro non più bramavasi, tra le onorate radunanze di gente lieta, che l’intervento e conversazione del Viola» (Malvasia, 1678, II, p. 90). Tali divertissements – che Malvasia dichiarò di conoscere dall’Algardi e da Giovan Francesco Grimaldi (ibid.) – lo avrebbero talmente appagato da persuaderlo ad abbandonare i pennelli e accettare un redditizio incarico di ‘guardaroba’ avanzatogli dal cardinale Ludovico Ludovisi per interessamento della madre di questi, la duchessa Lavinia Albergati. Non è a tutt’oggi noto il tempo che Viola attese a questo compito, sulla cui veridicità assicura l’atto di decesso del pittore, che avvenne all’età di quarantasei anni il 10 agosto 1622 nel «palazzo del duca di Fiano [Orazio Ludovisi]», e trovò sepoltura «in n.ra Chiesa [S. Andrea delle Fratte]» (Spear, 1980, p. 301 nota 17; Granata, 2002, p. 296 nota 15; Vodret, 2011a, p. 185 nota 139).
G. Mancini, Considerazioni sulla pittura (1617-1621), a cura di A. Marucchi - L. Salerno, I, Roma 1956, p. 246; G. Baglione, Le vite de’ pittori, scultori et architetti (1642), Roma 1935, pp. 173, 384; G.B. Passeri, Vite de’ pittori, scultori ed architetti che hanno lavorato in Roma (1673 circa), a cura di J. Hess, Leipzig-Wien 1934, p. 26; C.C. Malvasia, Felsina Pittrice. Vite de’ pittori bolognesi, con aggiunte, correzioni e note inedite dell’autore, di Giampietro Zanotti e altri scrittori, II, Bologna 1678, pp. 90, 149, 226; F. Baldinucci, Notizie de’ professori del disegno da Cimabue in qua (1681-1728), a cura di F. Ranalli (1846), III, ed. anastatica a cura di P. Barocchi, Firenze 1974, p. 359; L. Serra, Domenico Zampieri detto il Domenichino, Roma 1909, p. 17; P. Della Pergola, Galleria Borghese in Roma. I dipinti, I, Roma 1955, p. 49, n. 79; M.V. Brugnoli, Gli affreschi dell’Albani e del Domenichino nel palazzo di Bassano di Sutri, in Bollettino d’arte, XLII, 1957, pp. 266-277; F. Zeri, La Galleria Pallavicini in Roma, Firenze 1959, p. 286; L. Salerno, The picture Gallery of Vincenzo Giustiniani II: The Inventory, Part. I, in The Burlington magazine, CII (1960), pp. 93-104; R.E. Spear, A forgotten landascape painter: G.B. V., ibid., CXXII (1980), pp. 298-315; C. Whitfield, Les paysages du Dominiquin et de Viola, in Monuments et Mémoires. Fondation Eugène Piot, LXIX (1988), pp. 61-127; R.E. Spear, A pair of landscape paintings by G.B. V., in The Burlington Magazine, CXXXV (1993), pp. 762-764; Classicismo e Natura. La lezione di Domenichino (catal., Roma), a cura di S. Guarino - P. Masini, Milano 1996, pp. 10, 16, 137 s.; Domenichino 1581-1641 (catal., Roma), a cura di C. Strinati - A. Tantillo, Milano 1996, pp. 165, 167, 169, 570, nn. 329-330; B. Granata, G.B. V.: nuove ricerche sul “pittore dimenticato”, in Annali dell’Università di Ferrara, III (2002), pp. 287-303; R. Vodret, Alla ricerca di “Ghiongrat”. Studi sui libri parrocchiali romani (1600-1630), Roma 2011a, pp. 34 s., 131, 185 nota 139; Ead., Qualche notizia su G.B. V. e Francesco Albani nei libri parrocchiali romani, in Dal Razionalismo al Rinascimento: per i quaranta anni di studi di Silvia Danesi Squarzina, a cura di M.G. Aurigemma, Roma 2011b, pp. 240-247; A. Cremona, Gli esordi di Vasanzio architetto e le opere perdute di G.B. V. nel giardino di Palazzo Rivaldi a Roma (1609-1611), in La festa delle arti. Scritti in onore di Marcello Fagiolo per cinquant’anni di studi, a cura di V. Cazzato - S. Roberto - M. Bevilacqua, II, Roma, 2014, pp. 864-869.