TUTORIO, Giovanni Battista
– Nacque nel comune di Montesanto, oggi frazione di Sellano in provincia di Perugia. Non è nota la sua data di nascita, avvenuta senz’altro non più tardi del 1611. L’indicazione viene da un volume autocelebrativo dell’Accademia veneziana degli Incogniti, Le glorie de gli Incogniti, uscito a Venezia nel 1647, nel quale il profilo biografico di Tutorio è accompagnato da un suo ritratto a trentasei anni (Le glorie..., 1647, p. 232). Presumibilmente Tutorio era nato qualche anno prima del 1611, poiché altri ritratti degli accademici Incogniti, di cui è nota la data di nascita, sono antecedenti al 1647.
Intraprese gli studi giuridici, ma non vi sono conferme sul fatto che esercitasse la professione di giurista. Visse a lungo a Foligno, dove lavorò come professore di lettere latine.
La produzione letteraria di Tutorio è fortemente condizionata dai contesti culturali e umani per i quali fu concepita. Da un lato, infatti, compose opere di argomento religioso, non di rado di carattere occasionale, per le società ecclesiastiche con cui entrò in contatto (e in particolare per la Confederazione dell’oratorio di s. Filippo Neri). Dall’altro lato, in quanto membro accademico, Tutorio scrisse per i sodalizi letterari ai quali appartenne una serie di opere argute, votate alla trovata ingegnosa.
La sua prima opera a stampa è una raccolta encomiastica recitata in presenza del vescovo di Assisi Tegrimo Tegrimi (Panegirici applausi con toscana e latina favella..., Foligno 1632). Tra il 1635 e il 1636 pubblicò due opere rivolte alla celebrazione di s. Filippo Neri.
Il Dialogo [...] fatto a richiesta di persona spirituale (Macerata 1635) è una composizione poetica in settenari ed endecasillabi variamente alternati (eccezione di due interventi del coro in strofe di ottonari), nella quale i protagonisti Volunnio e Persio si scontrano in merito alla scelta di rifiutare o di seguire le pulsioni sensoriali. Soltanto la comparsa di s. Filippo riesce risolutiva, portando al pentimento del giovane Persio. I successivi Affetti spirituali [...] in onore del glorioso san Filippo Neri, a stampa nel 1636 a Bologna e a Fermo, contengono due discorsi sacri dal forte carattere metaforico ed erudito. Nel primo (L’Aquila, pp. 7-47) Tutorio mise in relazione l’episodio dell’Ascensione di Gesù con la continua ascesa della vita di s. Filippo. Di qui nasce la finale equiparazione tra l’aquila e il santo, costruita attraverso una serie di paragoni tra le qualità assegnate al rapace e quelle del santo. Il secondo discorso (Il miracolo, pp. 49-95) celebra Filippo quale santo superiore a tutti gli altri, poiché in ogni azione è stato «epilogo miracoloso di tutte le meraviglie che ne’ passati secoli sono state ammirate nel mondo» (p. 61). Adottando ancora una volta un procedimento comparativo, applicato a un nuovo termine di paragone, Tutorio stila una serie di similitudini tra s. Filippo e le sette meraviglie del mondo antico.
Nel 1642 Tutorio fu il curatore dei Componimenti diversi (Spoleto), un’antologia poetica in onore di padre Francesco Maria Campana, predicatore della cattedrale di Spoleto. La collezione presenta una serie di composizioni in lingua italiana (sonetti, odi e madrigali) di oltre una dozzina di autori, avvicendate da epigrammi latini e da quattro anagrammi del nome del dedicatario. Il piccolo volume di ventisei componimenti si chiude con due epitaffi di Campana, il secondo dei quali a firma dello stesso Tutorio, che pubblicò i suoi lavori accademici più significativi nel 1642, l’anno in cui fu nominato segretario dell’Accademia degli Ottusi di Spoleto.
L’attività del sodalizio è attestata con certezza documentaria dal 1612, quando gli Ottusi si riunirono ad ascoltare un’orazione encomiastica di Evandro Campello per Maffeo Barberini, futuro papa Urbano VIII. Dopo alcuni anni di quiescenza, parzialmente interrotti dalla polemica tra l’Ottuso Bernardino Campello e Giovan Battista Marino, l’Accademia diede alle stampe un importante lavoro collettivo, i Delirii academici de’ signori Ottusi di Spoleto (Venezia 1642) per le cure di Tutorio.
I Delirii illustrano lo svolgimento di due adunanze accademiche: secondo la ritualità consolidata presso gli Ottusi, l’apertura di ogni giornata prevedeva una lezione accademica e continuava con la discussione di un problema posto durante la seduta precedente (Malatesta Garuffi, 1688, p. 429). L’opera è corredata di una cornice, composta con buona probabilità da Tutorio stesso, che introduce ogni protagonista dell’assemblea, narrandone le diverse fasi. Dopo la lezione di Giovanni Campelli sulla gelosia che sminuisce Amore si succedono nella prima adunanza le risposte, tra cui quella di Tutorio, alla questione incentrata sull’episodio delle Storie di Erodoto di re Candaule e di sua moglie. In chiusura della prima assemblea il principe dell’Accademia Bernardino Campelli propone un quesito intorno alla parte del volto della donna più idonea a suscitare sentimenti d’amore. Alla questione che si svolge nella seconda giornata partecipa anche Tutorio adottando una soluzione ardita, celebrando il naso quale rivelatore di bellezza. Tutorio si impegna a tessere le lodi dell’insolito soggetto, affermando che il naso è il primo elemento del volto che diletta la vista e siglando in chiusura la sua eccentrica dimostrazione sulla scorta delle autorità di Socrate e Aristotele. Nonostante la pretesa di originalità, l’elogio paradossale di Tutorio si inserisce in una tradizione già consolidata, che vede tra gli esempi più alti la cosiddetta Nasea di Annibale Caro del 1539 o il Dialogo della musica di Anton Francesco Doni del 1544.
La tendenza al paradosso della produzione letteraria di Tutorio si realizzò appieno nella sua opera più importante, L’ignoranza esaltata e l’incostanza lodata. Sentimenti academici (Spoleto 1642). Il primo dei due elogi paradossali, che celebra l’ignoranza, è introdotto da un avviso ai lettori del dedicatario Bernardo Luparini. Esso identifica i precedenti dell’opera di Tutorio nelle Argute e facete lettere di Cesare Rao (Brescia 1562) e nel Duello dell’ignoranza e della scienza di Costantino de Notari (Milano 1607).
L’esaltazione dell’ignoranza passa attraverso la delegittimazione delle scienze e del sapere. Il pregevole sforzo argomentativo di Tutorio intende dimostrare che la conoscenza può dare adito a una certa ambiguità del linguaggio, può creare inquietudine negli esseri umani, provocare diverbi e, soprattutto, può sfociare in superbia. Il primo paradosso si ricompone solo nel passaggio conclusivo, laddove Tutorio si pente («Ma ohimé, che ho fatto io! Ho lodato l’ignoranza, il piu brutto mostro dell’Affrica», p. 62) e si ripromette di comporre una palinodia in lode delle scienze. Il secondo paradosso sull’incostanza è preceduto dalla nota A chi legge che vale quale giustificazione dell’opera. Nella lode dell’incostanza il fine di Tutorio è provare che il moto sia positivo e il non moto, al contrario, negativo. Egli imposta la dimostrazione a partire dal fatto oggettivo che ogni creatura è necessariamente sottoposta alla mutazione espressa dal tempo. Procede quindi a lodare l’incostanza dell’uomo saggio che può assecondare la temibile volubilità della fortuna e dell’amore. Suggerisce così di imitare quei grandi uomini che, poco rispettosi della parola data, riuscirono a guadagnarsi il favore della fortuna. Analogamente, consiglia all’uomo innamorato di comportarsi da capriccioso così da avvicinarsi al carattere mutevole della donna, raffigurata con tratti bonariamente misogini.
Tutorio partecipò anche ad altri consessi letterari oltre a quello degli Ottusi. Come testimonia la collezione di biografie nelle citate Glorie de gli Incogniti, fece parte degli Incogniti di Venezia e fu in contatto con Giovan Francesco Loredan. Nella biografia celebrativa contenuta nel volume delle Glorie non emergono ulteriori notizie sulla sua vita. L’unico dato di un qualche interesse è il riferimento alla figura del padre, che fece da tutore a Federico Ubaldo della Rovere, futuro duca di Urbino.
L’ultima sua opera a stampa, Le corone della croce (Macerata 1647), è nuovamente di genere encomiastico a tema religioso. Permangono dubbi sull’anno del carme religioso Humanae redemptionis memoria, stampato a Camerino per i tipi di Francesco Ghisilieri.
Di un certo interesse è anche la produzione manoscritta di Tutorio, custodita in larga parte presso la Biblioteca Jacobilli del Seminario vescovile di Foligno. Tra le numerose opere ivi conservate si segnalano un’antologia di liriche latine e volgari (B IV 21), una raccolta di dialoghi e sermoni (C V 3) e un volume di quarantacinque brevi trattati di carattere morale (A II 26). Altra opera manoscritta, già fornita di frontespizio e concepita per essere stampata a Macerata nel 1546, è la raccolta di Imprese virgiliane (C VIII 6), nella quale Tutorio allestì un catalogo di imprese accademiche corredate di motti provenienti dall’Eneide virgiliana.
Nel 1649 Tutorio venne nominato rettore del Seminario di Foligno (Lattanzi, 1994, p. 465). Rimase in carica per pochi mesi, trovando la morte nella stessa Foligno il 5 maggio 1650.
Fonti e Bibl.: Le glorie de gli Incogniti, Venezia 1647, pp. 232-235; L. Jacobilli, Bibliotheca Umbriae..., Foligno 1658, pp. 157 s.; G.F. Loredan, Lettere, Venezia 1660, pp. 348 s.; G. Malatesta Garuffi, L’Italia accademica..., Rimini 1688, pp. 429, 432; G.M. Crescimbeni, Comentari..., V, Venezia 1730, p. 258; C.G. Jöcher, Allgemeines Gelehrten-Lexicon, IV, s.l. 1751, col. 1371; F.S. Quadrio, Della storia e della ragione d’ogni poesia, II, Milano 1751, p. 318; Inventari dei manoscritti delle Biblioteche d’Italia, a cura di A. Sorbelli, XLI, Firenze 1930, pp. 22, 84, 92, 102, 128, 158, 173-175; G. Bragazzi, Compendio della storia di Fuligno (1858-1859), Bologna 1984, pp. 72 s.; B. Lattanzi, Storia di Foligno, 1559-1797, III, 2, Foligno 1994, p. 465.