FASSOLA (Primi Visconti), Giovanni Battista (Feliciano)
Nacque a Varallo Sesia (in provincia di Vercelli, allora nello Stato di Milano) il 22 sett. 1648, da Giacomo e Maria Marca, mercanti. Quattro anni più tardi la precoce morte del padre parve interrompere l'ascesa economica e sociale della famiglia e inaugurò una fase di acuta tensione all'interno della parentela. Nel 1669, raggiunta la maggiore età, egli ottenne dal Senato milanese la divisione dell'eredità: grazie alla rinuncia al fedecommesso istituito dal padre, il F. acquistò nello stesso anno un canonicato nella locale collegiata, appena eretta dal vescovo di Novara. Ma lo stato chiericale non lo appagava (vi rinunciò infine nel 1676) e fin dal 1667 egli tentò la carriera letteraria con un romanzo eroico-galante, La Rassolina.
Accanto alla letteratura, gli interessi del giovane F. apparvero tuttavia indirizzarsi verso la storia e la politica locale. Nel 1671 egli divenne delegato della Vicinanza di Varallo alla gestione del locale Sacro Monte, a cui testimoniò la sua dedizione nella Nuova Gerusalemme, un'opera dedicata a Maria Anna d'Austria, madre di Carlo II e reggente di Spagna. Le continue tensioni tra laicato, dei vicini varallesi, clero secolare e regolare costituivano la matrice dei conflitti di cui si nutriva la vita politica locale, e il F. ne colse la trama plurisecolare nella Valle Sesia descritta, redatta nel 1672 e dedicata a don Giovanni d'Austria.
Si tratta di problemi di cui lo stesso F. stava sperimentando in quegli anni la forza di costrizione. Tra 1670 e 1672 dové infatti affrontare una lunga serie di liti, transazioni e compromessi con fratelli, zio tutore e creditori per entrare in possesso della sua quota di eredità paterna. Questo tentativo si incrociò con la sfortuna politica della famiglia, che toccò il punto critico nel 1672: per l'ornicidio di un gabelliere, che li aveva sorpresi a importare illecitamente vino nella Valsesia, un fratello e uno zio del F. vennero arrestati e banditi e i beni della famiglia confiscati, lasciando uno strascico di vendette e rappresaglie nei confronti dell'élite locale.
In questa temperie di contrasti e di tensioni dovette maturare, nel dicembre di quello stesso anno, la decisione di abbandonare la patria per la Svizzera, Lione e infine Parigi. Il viaggio non impedì al F. di proseguire l'attività letteraria: a Ginevra consegnò all'editore Viderhold un'opera, purtroppo non identificabile, che egli aveva dedicato al principe Dal Pozzo della Cisterna e al conte Fabio Visconti Borromeo. Soprattutto, il viaggio costituì il momento di avvio di due delle attività, per le quali egli è stato a lungo conosciuto: anzitutto quella di indovino, con cui sbalordiva i compagni di viaggio cogliendone al volo il carattere e le intenzioni. In secondo luogo, quella di memorialista, poiché durante il tragitto verso Parigi il F. iniziò a comporre il Liber itineris Galliae dal quale avrebbe ricavato, non senza autocensure e rielaborazioni, i suoi Mémoires.
Le informazioni spicciole riportate in questa prima redazione del diario ci restituiscono invece tutte le sfaccettature dell'avventura parigina: in primo luogo, gli espedienti, a cui egli Dovette presto ricorrere per campare, compongono un quadro assai duro dei primi ami della vita parigina eil suo universo quotidiano risulta popolato, più che dai nobili che animano la successiva rielaborazione delle memorie, da borghesi di dubbia fama, e soprattutto da immigrati italiani come lui in cerca di fortuna, come Adriano Nigrosanti (che noi oggi definiremmo con qualche imprecisione grafologo), o un non meglio identificato abate Del Carretto. Sollecitato da questi compagni d'avventura, il F. sfruttò con astuzia la propria fama di indovino, e si dedicò - non senza autoironia - a cercare, invano, tesori nascosti, ciò che gli valse la fama di creatura di Colbert che dal re "habuisse concessionem pro thesauris"; inoltre il F. si fece conoscere come evocatore di spiriti, non più fortunato, occorre dire, che nella veste di rabdomante. Ancora, ricercava e annotava formule magiche e formule chimiche, "secreti" per dorare oggetti, imbiancare il viso delle donne, salmi atti a far ottenere benefizi ecclesiastici, a evitare venefici, guarire il male di denti, fabbricare candele, curare "oppilazioni" ginecologiche, ecc.
Accanto a queste pratiche, interessi più precisamente magici, alimentati dalla passione dei Parigini, sono rintracciabili in appunti di alchimia, medicina e veterinaria, in letture magiche in senso stretto, ma soprattutto nell'attività di astrologo che con una certa continuità il F. svolse in questi suoi primi anni parigini: a partire dall'estate 1673 egli conquistò una clientela di dame e cavalieri cui vendeva oroscopi. Fu questa la strada maestra che lo condusse a corte, gli offri relazioni sulle quali costruire, in senso letterale, un sapere e, di qui, una carriera. L'amicizia preziosa del duca di Vendôme, Louis-Joseph, e del priore Philippe de Vendôme, cui il F. giunse per il tramite del loro scudiero, non costituì un semplice trampolino per conoscere i loro pari e in seguito il delfino e lo stesso Luigi XIV, ma rappresentò l'occasione, non si saprebbe dire quanto sollecitata dal F., di una immersione totale nel mondo della corte: i due fratelli lo "sequeàtrarono" nel loro palazzo per ben sei settimane, durante le quali lo fecero istruire dall'abate de la Baume sulla topografia dei rapporti di amore, amicizia e affari tra i cortigiani.
Questo sapere pragmatico, ideale per la costruzione degli oroscopi - ma anche, in cambio, per la conoscenza della rete di informazioni cui i Vendóme potevano essere interessati -, consentì al F. di dedicarsi ad imprese eterogenee che noi oggi collocheremmo in prospettive esistenziali e in percorsi di vita differenti: la divinazione, l'editoria, lo spionaggio, la storiografia e l'attività politica in senso stretto.
Della divinazione abbiamo già detto, e il fatto che il F. l'abbia presentata a Luigi XIV, durante il loro primo incontro, come uno scherzo più che una forma di conoscenza, non indica affatto che egli ne avesse preso le distanze. Le iniziative editoriali riguardarono la pubblicazione di due generi diversi, uno dei quali appare almeno formalmente legato alle facoltà divinatorie: si tratta della composizione, o della compilazione, di un almanacco astrologico, del quale il F. stesso ci dà notizia il 20 dic. 1675, il giorno dopo averne ricevuto il privilège dal re. L'almanacco pare sia stato immediatamente ben accolto dalla regina, tanto da indurre il F. a comporre un memoriale "pro pensione habendi" e consegnarlo personalmente a Luigi XIV. Nella speranza della pensione, probabilmente, egli si dedicò a un'alacre attività letteraria, i cui prodotti ancora una volta, non ci sono pervenuti (si tratta di due opere, un Ludo pro rege e una Pugna avium che egli ricorda nel diario). Il F. dové inoltre vincere resistenze di concorrenti che lo portarono in tribunale, ma a partire dal 1676 l'almanacco prese corpo, trovando un titolo, Le Pescheur fidèle (che per l'evidente ricalco sul più noto esemplare milanese può essere stato all'origine del procedimento giudiziario), e un protettore, il cavaliere di Vendôme, cui il primo della serie fu dedicato. Lo stesso P. si dedicò alla compilazione del Pescheur fidèle per il 1677 e il 1678, ma l'almanacco risulta ancora pubblicato a Parigi nel 1686, anche se l'ideatore ne aveva già venduto i diritti concessigli da Luigi XIV all'editore Thomas Guillain per venti anni. Il ritrovamento di un almanacco omonimo a Bruxelles nel 1724 e a Lilla nel 1813 può far pensare a un successo editoriale che sopravvisse al proprio creatore.
La seconda impresa editoriale del F. riguarda il progetto di un foglio settimanale di notizie della vita parigina, dal quale egli dovette tuttavia desistere per l'opposizione di Th. Renaudot, proprietario della Gazette de France, nonostante il permesso concessogli da Luigi XIV nel 1676 e l'appoggio del duca di Créqui. Dopo le prime venticinque copie, una delle quali il F. offerse personalmente alla regina, venne a metà luglio l'opposizione del luogotenente di polizia La Reynie, che, avvertito dal tipografo Colletet (lo stesso che stampava la Gazette di Renaudot), costrinse l'aspirante giornalista a restituire il privilegio al re.
Il terzo ramo di attività del F., lo spionaggio, è evidentemente poco documentabile: è una indicazione che si fonda soprattutto su scarni accenni dello stesso F. a proposito dei viaggi in Olanda e in Inghilterra, dove si recò nel dicembre 1681, ma dove già nel 1673 aveva soggiornato per tre settimane (alla corte, o presso il residente francese) e incontrato ambasciatori moscoviti. Meglio documentate sono, invece, le attestazioni per il periodo di poco successivo, quando il F. disegnava carte della Valsesia e del Milanese per Luigi XIV e diffondeva informazioni riservate attraverso le sue opere storiche.
La produzione storiografica del F. precedette, come abbiamo visto, l'avventura parigina, ma qui si ammantò di nuovi contenuti, essenzialmente politico-militari e diplomatici. Già nel 1677, un anno dopo il primo almanacco e il progetto del notiziario, il F. pubblicò una cronaca militare intitolata La campagna del re Cristianissimo nell'anno 1677, con cui cercò di superare la concorrenza degli storici ufficiali di Luigi XIV: da Vittorio Siri a Paul Pellisson-Fontanier, per non dire di J. Racine e N. Boileau, del quale ultimo nei Mémoires colse la scarsa passione per gli studi storici. Forse per questo motivo egli passò prontamente a nuove fatiche, I successi della guerra nell'anno 1678, e a un progetto di storia generale della guerra di Olanda, cui lo esortò per anni lo stesso maresciallo Turenne e di cui egli offrì senza successo i primi frutti a S. Arnauld marchese de Pomponne.
Queste nuove imprese non devono indurre a pensare a una conversione dell'indovino e del negromante. E nemmeno a una prudente ritirata dell'astrologo nella tormentata bufera del processo dei veleni, in cui la sua fama di storiografo lo mise al riparo dall'interessamento di La Reynie con la protezione personale dello stesso sovrano. Si tratta piuttosto di vocazioni che lo stesso F. non percepi come contraddittorie; semmai, nei suoi Mémoires egli ne riconosceva l'intercambiabilità. Certamente, non le ritenevano contraddittorie i suoi clienti e lettori: la stessa dama di Cazzeville, che il 4 ott. 1673 lo introdusse al vicecancelliere Sangiac "pro Historia Olandiae componenda", era un'ammiratrice che gli procurava clienti per gli oroscopi.
Così come non escluse la divinazione, la storiografia non si distinse necessariamente neppure dallo spionaggio, come le vicende legate alla pubblicazione dell'opera successiva del F., la Historia della guerra d'Holanda, edita nel giugno 1682, nella quale, per ordine diretto o indiretto del re, inserì una pagina sul trattato di Dover del 1670 concluso segretamente fra Enrichetta Stuart, moglie del duca di Orléans, e Carlo II, in danno dell'Olanda. Scopo della rivelazione: accrescere le ragioni di urto fra Carlo Il e il Parlamento inglese, che stava per essere convocato. Ma, per ritardo della riunione del Parlamento, o per salvare le apparenze, e prima ancora delle proteste del governo inglese per bocca dell'ambasciatore Richard Graham visconte di Preston (un personaggio ben conosciuto dal F., che gli dedicò un sonetto), l'opera venne sequestrata e l'autore imprigionato alla Bastiglia per sei mesi. Tutto ciò, insieme con l'inusitata estensione dell'imprimatur, legittimò il sospetto inglese, così come quello veneziano e parigino, che il F. fosse stato gratificato di una pensione e di una somma di denaro dal re.
Con la scarcerazione dalla Bastiglia la vita del F. cambiò temporaneamente teatro e si riaffacciò sulla terra d'origine (dove la prospettiva di essere definifivamente escluso dall'eredità paterna e i conseguenti conflitti con fratelli e cugini l'avevano già costretto a rientrare tra giugno e dicembre 1681). Quello dell'aprile 1683 fu un ritorno in grande stile: il F. si fece chiamare "conte Fassola" mentre a Parigi aveva assunto successivamente i nomi di abate Primi, Primi Visconti, conte di San Maiolo, oppure visconte de la Sourbe - nome al quale pregava i cugini di indirizzare la corrispondenza - o ancora conte di Rassa e, più raramente, anche quello di "comitis de la frigida": tutti riferimenti al villaggio di origine della famiglia. Ma, accanto alla fama, al denaro e ai titoli nobiliari il F. mostrò soprattutto di avere un progetto politico.
Nominato reggente generale della Valle stessa l'8 ott. 1684, nel periodo di acuta conflittualità interpersonale che seguì la sollevazione popolare del 15 ag. 1678, egli si batté per il mantenimento dei privilegi politici e fiscali dei valligiani, e per la difesa della libertà dei commerci. In questo rivelò una personale visione dell'autorità politica, che va compresa sullo sfondo degli umori valligiani: durante la rivolta infatti i Valsesiani avevano saccheggiato le case e imposto il bando ad alcune famiglie del patriziato varallese accusate di monopolizzare le relazioni commerciali della Valle con l'esterno e di prolungare artificiosamente le contese private.
Anzitutto il F. cercò di regolare la provvista del sale della Valle riprendendo il sistema dell'asta pubblica della ferma, abbandonato da anni in favore di convenzioni con Milano o Torino, ed egli riuscì così a ottenere un prezzo estremamente favorevole per le popolazioni montanare. Inoltre concesse la libertà di commercio dei cereali - risi vercellesi e novaresi soprattutto - che rappresentava una fonte di entrate essenziale per popolazioni montane di emigranti temporanei e di contrabbandieri. Tale decisione colpi gli interessi economici del patriziato varallese e ne lese il prestigio politico che ad esso procurava il commercio delle tratte con gli Spagnoli.
Entrambi questi punti implicavano una forte enfasi sui privilegi della Valle (da secoli legata a Milano da patti e convenzioni particolari), che egli aveva raccolto nella giovanile ricerca sulla Valle Sesia descritta: a tale scopo il F. provvide al riordino - per non dire alla creazione - degli archivi locali. Tale interesse era strettamente legato alla seconda parte di un programma che intendeva, nelle parole dello stesso F., "metter la pace tra Comunità, popoli, fazioni, famiglie, e render quieta, unita e felice la Valle". A questo fine egli interpretava con particolare vigore la carica di reggente: faceva da paciere e arbitrava le contese interpersonali; combatteva esplicitamente il banditismo, che spesso era generato proprio dai conflitti locali. Anche il riordino degli archivi e l'istituzione di uno stipendio per il reggente, che egli patrocinava, vanno interpretati in tale senso: spesso infatti l'occultamento di documenti amministrativi e atti notarili aveva rappresentato un'arma nelle lotte di fazione, e le spese che gli amministratori locali dovevano affrontare nelle "vacazioni" fuori sede per trattare con il governo milanese costituivano una fonte di indebitamento per le Comunità ed erano perciò causa frequente di faide locali.
Al di là dei toni "popolari", il programma del F. si nutriva anche di iniziative importanti di patrocinio: ne è un esempio la chiamata dell'incisore Giovanni Blasio Manauf a Varallo durante il 1684, che ancora quattro anni dopo lavorerà dietro sua commissione. Il F. tuttavia si nutriva della stessa logica che combatteva, e ciò finì per ritorcersi contro di lui. Proprio quando caldeggiava la formazione di milizie valligiane nelle Comunità per difenderle dai "ladri dei confini" (presumibilmente i contrabbandieri di parte piemontese) il F. venne accusato con lettere "orbe" e memoriali di avere capeggiato alcune di queste bande, di aver costruito case-forti nel villaggio natale e, ovviamente, di essere un agente di Luigi XIV. In realtà, egli stesso era coinvolto nelle ostilità che cercava di sedare, poiché i debiti che aveva contratto per entrare in possesso dell'eredità paterna e per restituire la dote della cognata lo avevano fatto entrare in conflitto con un fronte di patrizi varallesi, probabilmente legati agli esiliati del 1678 (i Mognetti e gli Alberganti).
La reggenza del F. si concluse anticipatamente, il 13 ott. 1684, a un anno di distanza dall'elezione. Il suo rovesciamento da parte dei rivali preluse all'intervento militare spagnolo del 3 dicembre e alla rocambolesca fuga cui fu costretto "con i circoli ne' piedi" attraverso i monti del Biellese, dove venne accolto come un eroe dai valligiani in armi. Il 12 dicembre egli raggiunse a Torino la residenza dell'ambasciatore francese, abate J.-Fr. d'Estrades, che lo fece fuggire in Francia attraverso Pinerolo con il suo seguito. Il F. si lasciò alle spalle per sempre la Valsesia, dove l'anno successivo i suoi beni di Rassa e Varallo sarebbero stati saccheggiati, e dove non sarebbe restato a suo ricordo che un pamphlet di protesta dei suoi seguaci, Il salvamento del conte F. di S. Majolo reggente di Valsesia descritto dal can. Torrotti, nel quale, oltre alla difesa della sua reggenza, si insisteva sulla autenticità dei suoi titoli nobiliari (e quindi sulla doppia atrocità dell'affronto spagnolo).
Il ritorno a Parigi rappresentò l'inizio della terza e ultima fase della vita del F.: grazie agli oltraggi subiti dagli Spagnoli poté sollecitare lettere di naturalizzazione. Continuò la sua attività di storico ufficiale di Luigi XIV, cui si aggiunse quella di conoscitore professionale della politica italiana. La sua vita subì poi una svolta definitiva nella primavera del 1687, quando lo troviamo coinvolto in una burrascosa storia d'amore con Marguerite, figlia di Frédéric Léonard, ricchissimo libraio parigino e regio fornitore di libri destinati a edificare i protestanti convertiti. Marguerite era la giovane vedova di un giudice del Parlamento di Parigi, Herbin, ma legata a letterati quali Hamelot de la Houssaye e l'abate Coquelin, ed ella stessa traduttrice di P. Capece, Etat de la République de Naples en 1647. Nel 1679 l'astrologo F. le aveva predetto la morte del marito - e perciò essa sarebbe stata accusata di veneficio dai parenti di lui - e le future nozze con un principe: come tale egli stesso le si svelerà poco dopo la morte del marito, ed ella acconsentirà alle nozze dopo avergli donato tutte le sue sostanze. Il promesso sposo contraccambiò con tutto ciò che possedeva in Italia, che fece rappresentare, più tardi, da Giovanni Blasio Manauft in una incisione dedicata all'amata. Il padre di lei e gli eredi del defunto marito reagirono facendo rinchiudere Marguerite a Port-Royal e diffamando il R; ma le influenti relazioni di quest'ultimo valsero a ottenere dal Parlamento di Parigi la libertà della futura sposa.
Grazie alla rosea situazione economica, il F. e Marguerite si trasferirono a Neubourg, di cui ella assunse il titolo e dove godé della vicinanza di numerose e importanti dame di corte di Luigi XIV. Egli proseguì la sua attività al servizio del re di Francia, come la moglie gli aveva formalmente richiesto nell'atto di donazione dei suoi beni. Ne restano abbondanti tracce: in primo luogo un celebre Portrait de Louis le Grand, pubblicato nel 1690, ma anche i Mémoires sur l'état de l'Italie faits pour le Roy, par le Comte de St-Maiole depuis 1691 jusqu'en 1696 sulla situazione politica della penisola italiana durante la guerra della Lega di Augusta; infine, alcune carte del Milanese, che attestano la ripresa dell'attività di cartografo. Inoltre tra 1691 e 1696, nel pieno della guerra della Lega di Augusta, egli redasse - probabilmente per l'abate Le Grand - informative particolari su alcuni Stati italiani: sui Ducati di Parma, Modena, Mantova, su Casale, sul Ducato di Savoia e Pinerolo, nonché sullo Stato pontificio, Venezia e altri Stati europei. Di maggior respiro appaiono i Mémoires du comte de Saint-Majole suivant le système présent del 1694, nei quali il F. toccò temi quali "le sentiment de Paix en general et en particulier de chaque puissance tant neutre que partielle", i "moyens pour y parvenir soit par les négociacions soit par les armes", e nel quale proponeva nuovi sistemi di alleanza a Luigi XIV e si faceva sostenitore della necessità di distogliere l'attenzione degli Imperiali dall'Italia illudendoli sull'apertura della successione di Spagna.
Durante la guerra di successione spagnola l'attività del F. sembrò invece limitarsi a una fitta corrispondenza sugli affari di corte con il duca di Vendôme, verso il quale conservò grande devozione (avrebbe cercato di fungere da mediatore nei suoi dissidi con il gran priore suo fratello) e una profonda amicizia. Durante la sua assenza a causa della guerra, egli lo tenne informato sulla vita di corte. Il F. era di fatto un testimone diretto e prezioso del soggiorno a Parigi nel 1704 del duca di Mantova, di cui egli divenne buon amico; della malattia del re tra maggio e agosto 1705; della morte del figlio del duca di Borgogna; dell'aumento della devozione e della pietà a corte; ma anche e soprattutto dell'accendersi della lotta di fazione tra i diversi comandanti militari, Vauban, Villeroi e soprattutto Villars. Grazie alle informazioni che riceveva da Vendôme, il F., a sua volta, rafforzò la propria posizione a corte poiché poteva correggere notizie false sulla campagna militare e sul suo potente protettore. Il F. rivelò la sua capacità di consigliere sia in campo militare, sia in campo politico: nel primo caso la pigrizia di Vendôme facilitava il compito; ma il F. ebbe modo di sfoggiare la conoscenza - anche archeologica - della terra natale. In campo politico egli ebbe il merito di aver compreso la necessità di indirizzare l'amico e protettore verso la situazione spagnola, e di averlo sostenuto nel suo rapporto con Filippo V. Vendôme gli avrebbe serbato a lungo gratitudine, e probabilmente non fu estraneo alla pensione che il F. avrebbe ricevuto dagli Spagnoli nel 1712. Altri consigli il F. riserverà al duca di Orléans sull'interesse della carica di vicerè d'Italia per la monarchia spagnola.
In ogni caso la vita del F. parve rasserenata dalla sicurezza degli affetti e dalla stima ormai non più intaccabile di cui godeva. Si spense a Parigi, pochi mesi dopo la morte di Marguerite, il 4 dic. 17 13, dopo aver ricordato nel testamento, il 9 febbraio, figli naturali e amici "pubblici" come il marchese di Montéléon. I suoi beni vennero posti sotto sequestro per il timore che le carte custodite potessero nascondere segreti di Stato: il solerte sospetto dei funzionari di polizia salvò in tal modo la cronaca della corte di Luigi XIV che il F. era andato pazientemente rielaborando dai suoi diari di giovinezza.
La carriera letteraria di F. si apre con La Rassolina o vero Gli amori armati. Si tratta di un romanzo eroico-galante, che la critica assimila alla peggiore maniera che il Seicento abbia prodotto. Rassolina non è una pastorella come voleva la tradizione erudita valsesiana, ma una virago che per sottrarsi alle sollecitazioni dei suoi numerosi adoratori se ne va per il mondo armata di tutto punto, "moderna Bellona in terra", compiendo prodezze di ogni genere, disarcionando i cavalieri in cui si imbatte, sfuggendo ad inseguimenti e tradimenti, vincendo giostre, assaltando corrieri per impadronirsi di lettere galanti, espugnando città e domando ribellioni di popoli e principi. Nell'avvertenza "AI Lettore" il F. afferma di non scrivere per i critici pedanti, "gregge democratica" che dichiara "rea l'inclinazione de' poveri virtuosi" e ama parole come "Fato, Destino, Iddij, Paradiso, idolatrare e simili" che l'adolescente F. detesta.
Non è tuttavia l'insuccesso letterario a determinare la rapida conversione del F. alle tematiche politiche e storiografiche. Già nella prefazione alla Rassolina egli annunciava due opere, l'una dedicata a Il prigioniero della libertà e l'altra a La repubblica democratica, che non sappiamo se abbiano mai veduto la luce. Esse prefigurano almeno nel titolo i nuovi interessi, poi resi espliciti nella Nuova Gerusalemme, pubblicata nel 1671, e nella Valle Sesia descritta, redatta nell'anno successivo. Nella prima opera, la descrizione del Sacro Monte di Varallo fornisce l'occasione per ricostruire la storia della cittadina valsesiana attraverso i conflitti stessi che la presenza del santuario innesca; a questa trama è ricondotta la dettagliata ricostruzione delle vicende costruttive del santuario e, soprattutto, della committenza grazie alla quale questo assunse la forma definitiva (di spicco, l'opera della famiglia D'Adda). Nella seconda, il F. illustra il peculiare regime di governo della piccola "repubblica" montanara della Valsesia: i suoi privilegi ma soprattutto i precari equilibri tra il notabilato del capoluogo e le Comunità valligiane, tra la conflittualità privata e gli odi pubblici, ne costituiscono la trama plurisecolare. Pur fondandosi su documenti originali e su una preesistente cronaca, andata perduta, opera del notaio Gilardi D'Anna di Campertogno, il F. fa un abbondante uso delle leggende locali.
La vocazione storiografica del F., pur precedente l'avventura parigina, si ammanta qui di nuovi contenuti, essenzialmente politico-militari e diplomatici. Nel 1677 il F. pubblica una cronaca militare intitolata La campagna del re Cristianissimo nell'anno 1677, che ebbe una certa fortuna: grazie alla prontissima traduzione francese dell'abate Choisy, lo stesso Luigi XIV poté goderne qualche pagina. Sempre in chiave aneddotica e cronachistica, il F. passa prontamente a nuove fatiche: I successi della guerra nell'anno 1678, tradotti sempre dall'abate Choisy nel 1679, e un progetto di storia generale della guerra di Olanda, cui lo esorta per anni lo stesso maresciallo Turenne e di cui egli offre senza successo i primi frutti al marchese di Pomponne. Il progetto si tradurrà nel 1682 nella Historia della guerra d'Olanda del conte di San Maiolo, che non comprende tuttavia che due dei dieci libri preannunciati nell'indice. Possiamo considerarlo il frutto più maturo del F. storico se consideriamo i criteri metodologici che l'hanno guidato nella ricerca. Essi riguardano il valore della cronaca come oggetto della storia e assimilano, con largo anticipo rispetto alla cronologia consolidata, lo storico al giudice. Si tratta di temi su cui il F. riflette per qualche anno, poiché li troviamo già presenti nella dedica a Luigi XIV dell'opera del 1677: qui il F., nel dichiarare al sovrano di essersi dovuto spogliare della passione "benché grande" che egli nutre per il re per raggiungere la "sincerità", osserva come questa consenta allo storico di affidarsi più al "veritiero e puro racconto delle vostre azioni che in quanti abbellimenti possino imaginarsi dai più eruditi scrittori". Nella storia della guerra d'Olanda il F. continua a sostenere la superiorità della cronaca sulle storie "scritte, e messe in luce in diverso tempo de' successi", che sono spesso "comedie, e non historie" poiché non consentono di sottoporre a vaglio critico le affermazioni degli autori. Il F. invece ha proceduto in altro modo: ha intervistato i protagonisti distinguendoli per grado, e si è così posto a "giudice dell'Europa" valutando le "parti, gli scritti, i detti dell'una, e dell'altra [parte], ed hò riportate le cose, nelle quali m'è parso, che l'una, e l'altra habbino convenuto". Il risultato, tuttavia, continua a essere una cronaca: "non all'historico, mà al semplice racconto s'aspetta di lasciar à i lettori il giudizio". si tratta di una vera e propria concezione della storia e del genio storiografico: "Non tutte queste osservazioni bastano ancora per l'historia. Vi si vuol un genio singolare, un'indifferenza portata da Patria disinteressata dalle cose, che si scrivono, un infinita communicazione con tutti gli huomini di qualsivuoglia grado, humore, e nazione, un particolare conoscimento degli affari del mondo, il che non si puol' havere, se non per lunghi viaggi, giri, spesa, maneggio, e sopra ogni cosa una non mendicata fortuna per insinuarsi, aggradire, ed haver commercio liberamente con chi si sia". Per scrivere di storia con metodo diverso, "bisogna, che tali scrittori habbino rivelazioni!".
Possiamo perciò comprendere meglio l'importanza che il F. attribuiva alle sue memorie (che nomina tra le fonti e il materiale preparatorio della Guerra d'Olanda): esse dovevano costituire la base per una storia di Luigi XIV di cui abbiamo a lungo posseduto soltanto il Portrait del sovrano. Nei suoi Mémoires, che di tale storia rappresentano la trama non improvvisata, il F. si dimostra migliore osservatore di Madame de Sévigné, e meglio di lei vede la concatenazione dei fatti, cui accompagna il coraggio di formulare giudizi politici su governo, istituzioni e costumi. Molto chiaro, ad esempio, il motivo del disprezzo che Luigi XIV nutre per il Parlamento, di evidente matrice aristocratica. Esempio spesso riportato è il giudizio del F. sul processo dei veleni, di cui egli comprende la vera natura oltre lo stupore momentaneo: il F. mostra infatti come Madame de Montespan sia stata implicata, ma allo stesso tempo egli ne dimostra l'innocenza parlando del disprezzo che ella nutriva per le scienze occulte.
Un brano specifico degli annali del regno di Luigi XIV che il F. sta scrivendo è rappresentato dal Portrait de Louis le Grand. A parte la freschezza della scrittura, è rilevante il tentativo di cogliere la psicologia del sovrano nelle sue reazioni quotidiane, che per analogia vengono ricondotte ad episodi dell'antichità romana. Era questa la prospettiva storiografica che il F., forse proprio perché "avventuriero della penna", contrapponeva alla storiografia erudita su Luigi XIV.
Opere. Manoscritti: Aix-en-Provence, Bibliothèque Méjanes, Memorie, Mss. 499-501 (sono state pubblicate parzialmente da J. Lemoine con il titolo: Primi Visconti, Mémoires sur la Cour de Louis XIV traduits de l'italien et publiés avec une introduction, des appendices et des notes, Paris s.d. [ma 1908], e in Revue de Paris, XV [1908], nn. 4-6; ediz. parziale italiana, a cura di L. Fassò in Riv. delle biblioteche e degli archivi, XXXV [1925], pp. 28-50; una ritraduzione ital. in Primi Visconti, Memorie di un avventuriero alla corte di Luigi XIV, Roma 1945); Liber itineris Galliae et morae extra patriam mei comitis Ioannis Baptistae Feliciani Fassolae Visconti, perduto (ediz. parziale, a cura di G. Romerio sulla base della trascrizione dell'abate A. Carestia [1891], in Deputaz. subalpina di storia patria. Boll. della Sez. di Novara, XXXI [1937], pp. 56-111); Parigi, Bibl. nat., Coll. Clairambault; n. 1007, "État présent de l'Italie en général et en particulier, écrit en septembre 1691 pour Sa Majesté par le comte de Saint-Majole" (cc. 1-36); "État présent du duc: de Parme du mois de septembre 1691 pour Sa Majesté par le comte de Saint-Majole avec la suite en 1693" (cc. 37-56); "État présent du duc de Modène du mois de septembre 1691, écrit pour Sa Majesté par le comte de Saint-Majole... on a adjouté jusqu'au mois de septembre 1693" (cc. 57-72); "État présent du duc de Mantoue écrit en septembre 1691 pour Sa Majesté par le comte de Saint-Majole (cc. 5); altro esemplare ibid., n. 993, c. 553; ibid., n. 1007, "Éstat présent du Roy en Italie écrit pour Sa Majesté par le comte de Saint-Majole en octobre 1693" (cc. 73-108); "Mémoire du comte de Saint-Majole touchant Casal du mois de février 1693" (cc. 255-270); Ibid., Mss. Fr. 4167, e Coll. Clairambault, n. 1007, "Mémoires du comte de Saint-Majole suivant le système présent, 1694. Sur le sentiment de Paix en général et en particulier de chaque puissance tant neutre que partielle. Moyens pour y parvenir soit par les négociacions soit par les armes. Quelle des tentatives paroit la plus efficace pour le service et la gloire solide de V. M. et la félicité de ses peuples" (cc. 109-228); "Mémoire du comte de Saint-Majole du mois d'octobre 1695, touchant Pignerol et la guerre d'Italie..." (cc. 229-254); "Mémoire du comte de Saint-Majole du mois de novembre 1695. Moyens pour la guerre offensive en Italie avec un plan général sur la campagne de 1696" (cc. 271-322); "Mémoire du comte de Saint-Majole du mois d'octobre 1696 sur la succession d'Espagne et des intérèts de la France en cas qu'elle soit ouverte" (cc. 323 ss.); Ibid., Coll. Clairambault, n. 518, "Lettre du comte de Saint-Majole sur le Vicariat du Roy d'Espagne en Italie, qui pourrait estre rempli par m. le duc d'Orléans"; Parigi, Bibliothèque de l'Arsenal, Mss., n. 8569, "Supplica di Primi conte Fassola di S. Maiolo, reggente generale delle Valli di Sesia, ruinato da i Spagnuoli in odio di Vostra Maestà, nella cui giustificazione si veggono i dritti della Corona di Francia su il ducato di Milano", s.d., ma precedente 1691; Parigi, Archives historiques du Ministère de la guerre, "Lettres au duc de Vendôme et à son frère le grand-prieur" (95 lettere comprese tra 28 apr. 1704 e 4 giugno 1706).
A stampa: La Rassolina o vero Gli amori armati, parte prima, Milano 1667 (Milano, Bibl. naz. Braidense: la seconda parte non risulta esser mai stata pubblicata); La Nuova Gierusalemme, o sia il Santo Sepolcro di Varallo, consacrato all'Aug.ma Regina Maria Anna d'Austria madre del Gran Monarca Carlo Secondo N. S., Milano 1671 (2 ediz., Milano 1741; ristampa anastatica, Borgosesia 1976); La campagna del Re Cristianissimo nell'anno 1677 (con lo pseudonimo Primi Visconti), Parigi 1677 (trad. franc., La campagne du roi en l'année 1677, ibid. 1677); I successi della guerra dell'anno 1678, Parigi 1679 (trad. franc. La dernière campagne du roi en Flandre jusquà la paix et le succès de ses armes en Allemagne, ibid. 1679); Historia della guerra d'Olanda, Parigi 1682 (trad. franc., Histoire de la Guerre de Hollande, écrite en italien par le comte de Saint-Majole, et mise en français par..., Paris 1682); Portrait de Louis le Grand. Traduit de l'italien. A mgr. le cardinal D. P. O., Paris 1690; Factum pour le comte de Saint-Majole (J.-B. Primi Félicien des Visconti de Rassa, comte Fassola de Saint-Mayol, règent général des Vallées de Sésia) touchant les dites vallées: traduit de l'it., s.l. 1691 (Parigi, Bibl. nat., 8º Fra 2679); Factum servant d'addition, de contredit et de réponse aux mémoirs imprimés que le sr Léonard a fait distribuer depuis trois ans contre le sieur comte de Saint-Mayolle, son gendre, et la dame de St. Mayolle, sa fille, s.l. 1697 (ibid., 8º Fra 15155); La Valle Sesia descritta dal conte Giovanni Battista Feliciano Cavaliere Fassola, alla serenissima altezza di Giovanni d'Austria consacrata. 4 ag. 1672, F. Tonetti, in Museo storico ed artistico valsesiano, IV, 1, Varallo 1887.
Carte geografiche: Varallo Sesia, Museo del Sacro Monte, Torino, Bibl. Reale, e Parigi, Archives nationales, cat. 21, Giovanni Blasio Manauft, La Nuova Gerusalemme nel Sacro Monte di Varallo (ora in Iconografia del Sacro Monte di Varallo. Disegni, dipinti e incisioni dal XVI al XX sec., a cura di M. Cometti Valle, Varallo 1984, p. 42); Parigi, Archives départementales de Seine-et-Oise, A. 1007, "L'Estat de Milan d'aujourd'huy 1692 avec l'étendue de plusieurs confins présenté à Sa Majesté, par son très soumis, très zélé et très fldèle serviteur qui a l'honeur d'estre présentement son sujet. Le comte de Saint-Majole, régent general des Vallées de Sésia" (cm 105 × 150: questa carta contiene il rinvio ad altre carte della Valle Sesia, della Valle d'Aosta e del Piemonte che si troverebbero nella biblioteca di Versailles).
Fonti e Bibl.: Varallo Sesia, Biblioteca Durio, cart. VI, B "Documenti riguardanti la famiglia Fassola"; cart. VI, n. 2, "Il Salvamento del Conte Fassola di San Maiolo reggente Generale di Valsesia descritto dal Canonico Torrotti"; cart. VI, n. 3, "Informazione per la Valsesia, nella quale si espone per la giustizia impedita da ammutinamenti di alcuni perturbatori"; n. 13, "Cronologia per il Fassola" (28 atti notarili, civili e criminali riguardanti la famiglia Fassola raccolti e trascritti da F. Tonetti); Ibid., Società per l'incoraggiamento allo studio del disegno in Valsesia, cart. 56, "Fondo Carestia-Geniani. Documenti relativi alla famiglia del conte Fassola"; Ibid., cart. 83; Parigi, Bibl. nat., Mss. Fr., 8122, "Rapports de police 1666- 1699" (in particolare, cc. 237-242, lettera di Gaignières sulla storia tra il F. e Marguerite Léonard; c. 248, "Contrat de mariage astrologique"; cc. 253 ss., "Histoire véritable de J.-B. Primi qui se dit comte de St-Maiolle"); P. O. 1688 (Léonard) e P. O. 3030 (Visconti); J. Lemoine, Appendices, in Primi Visconti, Mémoires sur la Cour de Louis XIV, Parigi s.d., pp. 321-419; Istoria della Nuova Gerusalemme. Il Sacro Monte di Varallo del canonico Torrotti, Varallo 1686; C.-H. de Saint-Simon, Mémoires, Parigi 1896, XII, p. 240, 603-605; F. Tonetti, Storia della Valsesia e dell'Alto Novarese, Varallo 1875, pp. 503-39; Id., Le famiglie valsesiane. Notizie storiche, in Museo storico ed artistico valsesiano, I, Varallo 1884, pp. 5-57 (Fassola), 79-99 (Morgiazzi) e 101-130 (La guerra de' Morgiazzi. Sollevazione valsesiana ossia Istoria della Val Sesia nel 1678 a' di 15 agosto); Id., Albero genealogico delle principali famiglie valsesiane di Varallo e della Valsesia e notizie sulla vita degli uomini che si distinsero..., Varallo 1885, P. Maricourt, En marge de notre histoire, Paris 1905; J. Lemoine, Primi Visconti, in Revue de Paris, XV (1908), pp. 329-334; Id., Introduction a Primi Visconti, Mémoires sur la Cour…, pp. I-XLVII; Id., Primi et Vendôme, XVI (1909), pp. 498-520; L. Fassò, Avventurieri della penna del "Seicento", Firenze 1924, pp. 130-132; Id., G. B. Primi Feliciano F. e le sue memorie sulla corte di Luigi XIV, in Riv. delle bibl. e degli archivi, n. s., II (1925), pp. 1-28; P. Strigini, G. B. Feliciano F. e alcune lettere inedite, in Deputaz. subalpina di storia patria. Boll. della sezione di Novara, XXX (1936), pp. 189-200; G. Romerio, Il "Liber itineris Galliae" di G. B. Feliciano F., ibid., pp. 251-257; L. Fassò, Nel Pantheon valsesiano, I, Un avventuriero geniale: G. B. F., in Quaderni della Società valsesiana di cultura, n. 5, Varallo 1961; Id., Dall'Alighieri al Manzoni, Firenze 1955, pp. 241 ss., 257 ss.