CASTIGLIONE (Castiglioni), Giovanni Battista
Di famiglia mantovana o, più probabilmente, piemontese, si trasferì in giovane età in Inghilterra durante il regno di Enrico VIII, che servì come militare, e già il 29 ott. 1550 venne naturalizzato nel paese, dove si stabilì in forma definitiva. Ignoto è l'anno della sua nascita, così come mancano notizie precise sulla sua famiglia, forse aristocratica, sui suoi studi e sulle sue esperienze giovanili.
Ècerto comunque che alla decisione di emigrare non furono estranee motivazioni di ordine religioso, come risulta non solo dal fatto che la sua naturalizzazione si verificò nel periodo più avanzato della riforma inglese, durante il regno di Edoardo VI, ma anche dal suo inserimento negli ambienti della diaspora protestante ed ereticale italiana. Èimpossibile tuttavia stabilire, allo stato attuale della documentazione, in che ambito e in che prospettiva debba essere collocata la sua conversione alle dottrine riformate.
Coerenti con la sua fede appaiono i legami che lo unirono ben presto alla principessa Elisabetta, del cui seguito entrò a far parte in qualità di "maestro di insegnar la lingua italiana"; ancora nel 1568 un suo compatriota, esule come lui e come lui unito da molteplici rapporti con l'Inghilterra, Pietro Bizzarri, poteva scrivere a proposito di Elisabetta: "Ma in particolare possede ella la nostra più tersa et più elegante favella, di cui suo principal precettore è stato il signor Giovanni Battista Castiglioni" (P. Bizzarri, Historia della guerra fatta in Ungheria... con la narratione di tutte quelle cose che sono avvenute in Europa dall'anno 1564 insino all'anno 1568, Lione 1568, p. 206). Si spiegano quindi le ragioni del difficile momento che ebbe ad attraversare durante la restaurazione cattolica sotto Maria Tudor. Infatti, a seguito dell'incarceramento di Elisabetta nella torre di Londra (18 marzo 1554) dopo la fallita congiura di Wyatt, lo stesso C. fu implicato nei processi e colpito dalla repressione della sovrana cattolica. Mantenne una corrispondenza segreta con la principessa rinchiusa nella torre, prese contatti a suo nome, si adoperò per ottenerne la liberazione e fu addirittura sospettato di essere autore di pamphlets (un Dialogo)contro la religione, il governo "et la persona principalmente" dei sovrani. Non stupisce dunque che nel corso di due anni (1554-56) fosse arrestato per ben tre volte e sembra che venisse anche torturato, tanto "da rimanerne zoppo". Del resto, il suo ultimo arresto (maggio-giugno 1556) dovette avere un carattere definitivo, se fu solo grazie all'ascesa al trono di Elisabetta nel 1558 che venne rilasciato dalla torre, dove si trovava ancora rinchiuso alla morte della regina cattolica. Il nuovo regno segnò naturalmente l'inizio delle sue fortune, giacché la regina non dimenticò i suoi passati servigi e le difficoltà e sofferenze che aveva affrontato per lei: il C. ottenne quindi una patente di nobiltà, entrò a far parte della corte come membro della Camera privata della regina ed ebbe il possedimento di Benham Valence nel Berkshire. La sua condizione economica di questi anni sembra essere stata alquanto florida, anche grazie al matrimonio con Margherita, figlia ed erede del ricco mercante fiorentino B. Compagni (morto il 1º maggio 1561), anch'egli un riformato trapiantato in Inghilterra. Le figlie che il C. ebbe da questa unione furono accolte a corte come damigelle della regina.
Nei primi anni del regno elisabettiano l'esule italiano ebbe modo di svolgere anche alcune missioni diplomatiche (modeste e sporadiche, a quanto risulta) a favore del governo inglese, come nel 1563, quando forse ritornò per breve tempo in Italia, a Pavia, donde recava una lettera di un informatore italiano al ministro Cecil, o nel 1565, quando fece la spola con Anversa per occuparsi di un rifornimento di armi per l'esercito inglese a nome del duca di Leicester.
Tuttavia, gli interessi più vivi e i legami più stretti in questi anni della vita del C. devono essere ricercati nell'ambito delle sue motivazioni e tensioni religiose. È infatti particolarmente significativa la profonda amicizia: che lo legò a un altro ben noto esule italiano in Inghilterra, Iacopo Aconcio, giunto nell'isola nel 1559. Certo il C. fu particolarmente vicino al suo compatriota durante il soggiorno inglese di quest'ultimo, in un rapporto di fiducia e di stima testimoniato non solo e non tanto dalle imprese economiche avviate in collaborazione (il C. fu il garante e poi il socio delle attività di bonifica di alcuni terreni, nelle quali l'Aconcio si impegnò) o dal fatto che forse - come ipotizza l'O' Malley - egli fece valere gli ottimi rapporti che aveva con la regina per ottenere una pensione per l'amico, quanto da una più importante e impegnativa comunanza di problematica religiosa. È superfluo - ovviamente - sottolineare i diversi livelli ai quali i due esuli italiani si pongono, e tuttavia vale la pena di segnalare come gli scarni dati biografici di cui si dispone indichino con chiarezza che il C. si trovò a fianco dell'autore degli Stratagemata Satanae nelle sue battaglie per l'irenismo teologico e la tolleranza religiosa. Così, nell'estate del 1560, non esitò a prendere apertamente le parti, insieme con l'Aconcio, di Adrian van Haemstede, accusato dalle Chiese francese e olandese di Londra di difendere gli anabattisti e di nutrire opinioni eterodosse. Si può forse identificare in lui quel Iohannes Baptista che a conclusione della vicenda - con altri nove - dovette subire la scomunica per non aver approvato in questa occasione il comportamento dei ministri. Ancor meglio, i legami che lo unirono all'Aconcio risultano dal fatto che fu proprio al C. che questi lasciò i suoi scritti e le suee carte, quasi ad affidargli la cura e l'eredità del suo pensiero. E fu certamente da questo prezioso lascito che il C. trasse quella Essortatione al timor di Dio che fece pubblicare intorno al 1580 (come ipotizza il catalogo del British Museum), premettendovi una dedica alla regina Elisabetta che costituisce il suo unico scritto conosciuto (Una essortatione al timor di Dio. Con alcune rime italiane, nuovamente messe in luce, in Londra, appresso Giovanni Wolfio, servitore de l'illustrissimo signor Filippo Sidnei, s.d.).
In essa, al di là del vivo elogio per la regina, cui spettava il merito di aver "così saggiamente governato questo suo per lei felicissimo regno, sterminandovi del tutto ogni falso culto divino et abuso introdottovi, e liberandolo da la fiera tirannia e crudel servitù con cui l'Antichristo lo teneva oppresso" (p. 5), tributava un omaggio affettuoso alla memoria dell'amico, "da me mentre ei visse per le molte sue virtù e christiane qualità molto amato et honorato" (pp. 3-4). L'opera che finalmente si era deciso a pubblicare, "di sua mano scritta e, secondo che da lo stile mi parve potersi comprendere, dal suo felice ingegno parimente composta" (p. 3), era stata tratta appunto dalle carte che il celebre esule trentino aveva lasciato all'amico "quando... da questa a l'altra vita fece passaggio". A conclusione dell'opuscolo aconciano (pp. 7-29) venivano stampate alcune rime (pp. 31-43:due canzoni e un sonetto in lode di Elisabetta, un sonetto in onore di una gentildonna inglese e una Canzone a Dio, quest'ultima di particolare interesse), anche esse probabilmente dovute alla penna del Castiglione. La lettera di dedica alla regina Elisabetta dell'Essortatione di Aconcio è stata edita in G. Aconcio, De Methodo e opuscoli religiosi e filosofici, a cura di G. Radetti, Firenze 1944, pp. 287 s.
Della fine del 1580 è anche l'ultima testimonianza nota sulla vita dell'esule, che compare come intermediario epistolare tra Alberico Gentili e il duca di Leicester, con il quale era evidentemente ancora in rapporto. Morì assai più tardi, nella sua casa di campagna, il 12 febbr. 1597.
Fonti e Bibl.: G. Bowyer, On the History of the Family of Castiglione, in Archaeologia, XXXII(1847), pp. 371-72; The Diary of Henry Machyn, a cura di J. G. Nichols, London 1848, p. 384; Calendar of State Papers, Domestic series, 1547-80, a cura di R. Lemon, London 1856, p. 691; Calendar of State Papers, Foreign series, 1563, a cura di J. Stevenson, London 1869, p. 532 n. 1237; 1564-65,a cura di J. Stevenson, London 1870, pp. 320 n. 1064, 548 n. 1791; Calendar of State Papers... Venice, 1555-56, a cura di R. Brown, London 1877, pp. 70 n. 80, 475 n. 505; G. Bonet-Maury, Des Origines duChristianisme unitaire chez les Anglais, Paris 1881, pp. 160, 181, 196; W. Page, Letters ofDenization and Acts of Naturalization for Aliensin England, 1509-1603, Lymington 1893, p. 43; L. Einstein, The Italian Renaiss. in England, New York 1902, pp. 98, 181; M. A. Scott, Elizabethan Translations from the Italian, Boston-New York 1816, pp. XXXVII, 487 s.; F. A. Yates, Italian Teachers in Elizabethan London, in Journ. of the Warburg Inst., I (1937-38), pp. 103-16; P. Rossi, Giacomo Aconcio, Milano 1952, pp. 17, 33 s.; C. D. O' Malley, Jacopo Aconcio, Roma 1955, pp. 26, 32 s., 56-65, 181 ss.; C. De Frede, La restauraz. cattolica in Inghilterra sottoMaria Tudor nel carteggio di Girolamo Seripando, Napoli 1971, p. 84.