BUSSI, Giovanni Battista
Nacque a Viterbo (non ad Urbino, come vuole il Pastor) il 31 marzo 1657; si addottorò in leggi alla Sapienza; entrò in prelatura e probabilmente ottenne presto, ma la notizia non è databile, la carica di abate commendatario dell'abbazia di S. Salvatore; Innocenzo XII gli attribuì poi un canonicato nella basilica vaticana. Lo stesso papa nell'estate del 1695, durante un'epidemia di tifo, gli affidò il governo della città leonina, e fu probabilmente il buon servizio prestato dal B. in questa circostanza che gli aprì le vie della diplomazia pontificia. Nel novembre del 1698 infatti egli fu prescelto per ricoprire la carica di internunzio delle Fiandre, succedendo al vescovo di Tebe Orazio Filippo Spada.
La nunziatura di Bruxelles estendeva la propria giurisdizione anche alla cosiddetta missione d'Olanda. Di qui vennero al B. le maggiori preoccupazioni negli otto anni della sua missione fiamminga. Il clero cattolico delle Sette Province Unite, infatti, nell'ultimo periodo del pontificato di Innocenzo XII, aveva ripreso ad agitarsi per il nuovo vigore che aveva acquistato la predicazione giansenista sotto la protezione dell'arcivescovo di Sebaste, Pietro Codde, vicario apostolico della missione olandese.
Le accuse del clero ortodosso contro l'arcivescovo investirono nello stesso tempo la nunziatura di Bruxelles e la S. Sede. Il B. fu a lungo perplesso sulla reale consistenza di queste accuse, e in tale atteggiamento, del resto, lo seguirono a lungo molti esponenti di primo piano della Curia. Il Codde infatti non rivelava esplicitamente la propria adesione alle dottrine condannate, sebbene fosse nota la sua amicizia, con vari esponenti giansenisti e specialmente con l'Ainaud. La situazione della missione d'Olanda peggiorò ancora quando Clemente XI, sotto il quale fu intrapreso l'esarne della posizione del Codde, fu indotto a riconoscere veritiere le accuse di simpatie gianseniste e quindi a privare l'arcivescovo della rappresentanza della S. Sede in Olanda. Al suo posto, il 7 maggio 1702, fu designato, con titolo di provicario, un sacerdote di assoluta ortodossia, Teodoro de Cock. Ma i capitoli di Utrecht e di Haarlem si rifiutarono, nonostante le pressioni del B., di riconoscere il de Cock e, mentre presentavano appello a Clemente XI per ottenere il ristabilimento del Codde nel vicariato, ottenevano che gli Stati generali facessero a loro volta pressioni sul B. perché proponesse a Roma il ritorno del Codde. E mentre gli Stati delle province di Olanda e della Frisia Occidentale impedivano al provicario di esercitare le funzioni, gli Stati generali stabilivano che nessun religioso potesse abbandonare il paese, troncando così ogni contatto personale del clero delle Sette Province con la Sede apostolica. In queste condizioni il B. divenne il principale tramite della Curia pontificia con i fedeli olandesi, in quello che era ormai un conflitto aperto e tutt'altro che favorevole alla S. Sede per l'appoggio incondizionato che le autorità civili delle Province Unite accordavano ai giansenisti; ma i suoi tentativi di sollevare i fedeli contro i giansenisti non ebbero risultato, e anzi fu il papa a cedere almeno parzialmente, rinviando il Codde in Olanda, il 17 febbr. 1703, tuttavia non restituendolo alla carica di vicario. Nello stesso tempo il de Cock veniva richiamato a Roma e il B. tentava di arrivare ad un compromesso con gli Stati generali proponendo di inviare come vicario in Olanda Gerardo Potkamp, che non appariva sgradito ai giansenisti. Il B. riuscì ad accordarsi in questo senso con gli Stati generali, anche per la mediazione del rappresentante dell'elettore di Treviri all'Aia; ma se il B. aveva pensato di acquietare il dissenso del clero olandese con la nomina di un vicario gradito, era andato troppo in là nel ritenere che il Potkamp avrebbe seguito sostanzialmente le istruzioni di Roma. Il nuovo vicario, infatti, rivelò simpatie gianseniste molto più marcate di quanto il B. non avesse previsto, nominando come provicari due giansenisti dichiarati, confermando le prerogative del capitolo di Utrecht che Roma avversava strenuamente, e prendendo altre misure non meno pregiudizievoli per la S. Sede. Se l'errore del B. non ebbe conseguenze catastrofiche per la politica della S. Sede, fu per la morte del Potkamp, seguita soltanto un mese dopo la sua nomina. In seguito a questo avvenimento Clemente XI, mentre il Codde rivendicava inutilmente il proprio ritorno alla carica di vicario, decideva di attribuire queste funzioni provvisoriamente al B. ed al nunzio a Colonia, Giulio Piazza.Il 25 giugno 1706 Clemente XI promosse il B. alla carica di vescovo in partibus di Tarso, dignità che preludeva al suo trasferimento alla nunziatura di Colonia: questo infatti seguì di lì a poco, il 13 settembre di quello stesso anno, mentre l'internunziatura delle Fiandre veniva affidata a Girolamo Grimaldi. Tuttavia il B. non si liberò, con la nuova responsabilità, della spinosa questione della missione olandese: questa rimase largamente di sua competenza, un po' perché così venne deciso nella Curia romana, in omaggio all'esperienza prolungata, anche se non sempre felice, che il B. aveva fatto della controversia, un po' perché così voleva la soluzione provvisoria adottata a Roma alla morte del Potkamp.
Tra i primi provvedimenti che il B. prese in proposito nella sua nuova qualità fu appunto quello di eleggere un successore al Potkamp, l'8 genn. 1707. La scelta del nunzio cadde su Adamo Daemen, canonico del duomo di Colonia, che in seguito alla decisione del B. ricevette la dignità di arcivescovo di Adrianopoli. Questa volta il B. aveva vagliato attentamente l'ortodossia e la fedeltà del prescelto; ma per il momento il problema del nuovo vicario olandese non era evidentemente destinato ad avere una soluzione: le qualità del Daemen, se costituivano una garanzia per il nunzio a Colonia e per la S. Sede, dovevano necessariamente essere il principale ostacolo ad una sua accettazione da parte del clero dissidente olandese. In effetti il capitolo di Utrecht non accettò la designazione del nuovo vicario e le autorità civili olandesi, il cui intervento fu richiesto anche dal Codde, proibirono al Daemen con un decreto del 26 apr. 1708 di entrare nel territorio delle Province Unite, sicché l'arcivescovo di Adrianopoli non poté mai esercitare le funzioni attribuitegli dal Bussi.
Più ancora, gli Stati generali si assunsero l'iniziativa di una clamorosa rivalsa contro i gesuiti, ritenuti responsabili delle dissensioni tra i cattolici del paese: quando il B., il 14 dic. 1708, comunicò al clero olandese la promulgazione del giubileo stabilito da Clemente XI e ne escluse esplicitamente i giansenisti, gli Stati di Olanda e della Frisia Occidentale espulsero i gesuiti e proibirono la pubblicazione delle ordinanze papali in Olanda.
Inutilmente il B. moltiplicò le proprie pressioni, da una parte cercando di riguadagnare all'ortodossia il Codde, la cui influenza egli giustamente riteneva decisiva, dall'altra cercando di isolare i giansenisti: nessun successo conseguì con il Codde il quale morì nel dicembre del 1710 senza aver rinunziato al proprio atteggiamento; migliori risultati gli arrisero con il secondo tentativo, che si determinò, nel 1708, in una dichiarazione di illegittimità delle attività sacerdotali del clero giansenista, e in particolare, come chiarì in una istruzione dell'8 dic. del 1711, di non validità dei sacramenti da esso impartiti. Queste misure drastiche ottennero qualche successo, poiché indussero una parte notevole del clero dissidente a sottomettersi; quelli, tuttavia, che rimasero nella loro opposizione, aumentarono la loro intransigenza, tanto più quando il B. respinse un tentativo conciliatorio compiuto dai due giansenisti Steenoven e Dalenoort.
La questione olandese, anche se nella sua gravità rappresentò una larga parte dell'attività del B. nella nunziatura renana, tuttavia fu ben lontana dall'esaurirla. Rilevanti difficoltà vennero al B. dalla anomala situazione politica dell'Elettorato: l'elettore Josef Clemens, infatti, era stato bandito da tutto il territorio dell'Impero per il suo appoggio al partito borbonico nella guerra per la successione di Spagna, e durante il periodo trascorso dal B. a Colonia viveva in esilio in Francia ed in Belgio; in, sua assenza il governo dell'Elettorato era tenuto dal capitolo del duomo di Colonia e fu compito del B. muoversi con estrema circospezione nei suoi rapporti con il capitolo, per non comprometterne le relazioni con Roma, senza peraltro creare difficoltà con il Clemens, la cui restaurazione appariva probabile.
Altre difficoltà, più tradizionali queste, il B. incontrò nella pretesa delle autorità civili, specialmente a Liegi, di imporre contributi speciali al clero per le spese della guerra e di rivendicare all'imperatore il diritto di nomina nei canonicati vacanti.
Il 23 ott. 1706 il B. fu deputato anche all'aministrazione della diocesi di Monaco di Baviera. Il 3 febbr. 1710 fu eletto vescovo di Ancona e il 26 sett. 1712 fu elevato da Clemente XI alla porpora cardinalizia. Il 15 novembre dello stesso anno lasciò la nunziatura e fece ritorno in Italia. Assunse il titolo presbiteriale di S. Maria in Aracoeli il 30 genn. 1713 e fece parte di varie congregazioni cardinalizie: dei Vescovi e regolari, della Immunità, di Propaganda Fide. Non particolarmente rilevanti le sue attività pastorali nella diocesi anconitana: dal 15 al 18 sett. 1726 tenne un sinodo diocesano i cui atti furono pubblicati postumi l'anno successivo. Nel conclave del 1721, che portò alla elezione di Innocenzo XIII, una sua candidatura fu sin dall'inizio esclusa per i suoi stretti legami con la famiglia del pontefice precedente, il cui ricordo era tutt'altro che gradito alla corte di Vienna: "le Benjamin d'Albani" lo chiamava una pasquinata contemporanea al conclave, nel quale in effetti il B. seguì puntualmente le direttive del cardinale Annibale Albani.
Proprio per la sua devozione alla famiglia Albani, la candidatura del B. fu autorevolmente proposta nel conclave del 1724, dal quale risultò eletto Benedetto XIII: Annibale Albani lo propose tuttavia soltanto in secondo luogo, dopo il cardinale Fabio Olivieri degli Abati; ma contro il B., come del resto contro l'Olivieri, il rappresentante imperiale, cardinale Cienfuengos, aveva il 25 marzo ricevuto istruzioni di opporsi fermamente.
Il B. morì a Roma il 23 dic. 1726.
Fonti e Bibl.: Synodus Anconitana ab eminentissimo... D. Ioanne Baptista... cardinali Bussio episcopo Anconitano, … celebrata diebus 15,17 et 18 septembris anno Domini 1726, Romae 1727; Die Finalrelation des kölner Nuntius Johann Baptista B., a cura di A. Meister, in Römische Quartalschrift für christliche Alterthumskunde und für Kirchengeschichte, XIII (1899), M. 347-364; G.Moroni, Diz. di erudiz. stor. eccles., VI, Venezia 1840, pp. 172 s.; A. Fayen, Les manuscrits du Fondo Gesuitico de la Bibliothèque Victor-Emmanuel à Rome concernant les Pays-Bas, in Bull. de l'Institut historique belge de Rome, I (1919), pp. 139, 148; L. von Pastor, Storia dei papi, XIV, 2, Roma 1932, passim; XV, ibid. 1933, passim;XVI, 3, ibid. 1934, pp. 272, 568; R. Ritzler-P. Sefrin, Hierarchia catholica medii et recentsoru aevi, V, Patavii 1952, pp. 39, 83, 272, 370.