BARTOLENA, Giovanni
Nacque a Livomo, da antica e ricca famiglia, il 24 giugno 1866 (erroneamente alcuni riportano come data della sua nascita il 1869, altri il 1870). Nipote del pittore Cesare, cominciò ad appassionarsi alla pittura sin da ragazzo. Verso i vent'anni si decise a partire per Firenze con l'intenzione d'iscriversi all'Accademia; ma finì nella scuola del Fattori, che, visti alcuni suoi disegni, lo volle con sé. Di carattere vivace e irrequieto, frequentava poco la scuola e il vecchio pittore lo cacciò, per riammetterlo però quasi subito dietro l'insistenza dello zio Cesare, suo amico. Il B. non mutò, per questo, comportamento; tuttavia incontrava spesso il maestro, che dopo la riconciliazione s'era legato al discepolo d'una affettuosa amicizia, in un locale frequentato anche dal Lega e dal Signorini.
Carattere esuberante e indipendente, si godè la vita, dipingendo e spendendo il denaro che gli forniva la famiglia, fino a trent'anni, allorché un rovescio economico lo costrinse a cambiar tenore. Se ne andò, allora, a Marsiglia, e lì si guadagnò da vivere facendo il conduttore di tram a cavalli, che egli stesso governava e poi ritraeva nei suoi momenti di libertà.
Tornato dopo sei mesi a Livomo, andò poi a Lucca e in seguito a Firenze. Alla fine della prima guerra mondiale si stabilì definitivamente nella sua città natale, ormai avvilito, solitario, misantropo, dopo tante avversità. Non faceva altro che dipingere, smettendo solo quando un mercante d'arte cercava di legarlo a sé con un mensile: pur di non dover rispettare contratti preferiva vivere in miseria.
Il B. amava dipingere soprattutto nature morte, in cui avvicinava le più diverse cose che aveva raccolto e disseminato nel suo studio (Ricci e boccale, Sigaro e arance). Dotato di una notevole esuberanza e sensualità cromatica, si sforzava di mantenere tutta la freschezza e lo smalto ai suoi colori stendendoli ed elaborandoli direttamente sulla tavola, che in precedenza aveva trattato con varie sostanze perché non assorbisse. In talune opere sono i verdi a prevalere, in altre i gialli (Aringhe) o i rossi (Sinfonia rossa). Oltre i garofani, i pomodori, i carciofi, i frutti di mare, le mimose, i limoni, i pesci, ecc., che sono i suoi soggetti ricorrenti, non, mancano i paesaggi, che egli spesso dipingeva a studio frugando la campagna circostante con un lungo cannocchiale da marina. Come nelle nature morte, in essi, mescolata ad un certo spirito macchiaiolo, c'è tutta la sua esasperazione espressionistica (Piazza a Livorno, Cisternone, Pini a Quercianella,ecc.). Non mancano, tra le sue opere, dipinti di altri soggetti, per es. Testa di fanciullo, La caccia al cervo a San Rossore, Bagnanti; alcuni di essi, nonostante la loro tipica originalità espressiva, rivelano al fondo una discendenza fattoriana, come Il buttero, Soldati a cavallo e soprattutto l'Autoritratto, che per impostazione e per spirito ricorda non poco quello famoso del Fattori. Va notato, anzi, che tale discendenza fattoriana è meglio visibile nei disegni del Bartolena. Qui il segno, che nelle pitture è sommerso dal colore, pur essendo nella sua fragilità meno incisivo di quello del Fattori, porta alle estreme conseguenze l'esemplificazione fattoriana delle forme, acquistando quasi il carattere di suggerimenti fatti in punta di penna.
Soltanto nel 1927, cioè a più di sessanta anni, il B. fu conosciuto ed apprezzato dalla critica. Infatti nel gennaio di quell'anno egli "esordì" a Milano con una personale di una trentina di quadri. La critica fece i nomi dei fauves, di Van Gogh, di Cézanne, di Ensor, e il B. confessava indirettamente la sua scarsa cultura, chiedendosi chi mai fossero Ensor e Van Gogh.
Dopo la personale di Milano il B. continuò la sua esistenza di pittore solitario e misantropo, concludendola, povero e abbandonato, a Livorno il 26 febbr. 1942 nel letto d'un ospedale.
Subito dopo la sua morte ne fu rivalutata la pittura e in concomitanza di ciò, come già per il Fattori, il Lega ed altri, molti falsi sono stati immessi sul mercato.
La critica, pur essendo concorde sul carattere istintivo della pittura del B., ha dato su di essa giudizi ora eccessivamente benevoli, puntando l'attenzione sull'originalità dell'impeto di colorista, ed ora limitativi, mettendo in evidenza il provincialismo della produzione del pittore livornese. In realtà la visione del B. è limitata e priva di quei sostrati culturali che sono insiti nella pittura fauve, a cui spesso egli è stato avvicinato, come è lontana dalle concezioni rivoluzionarie d'un Cézanne e d'un Van Gogh. In sostanza, egli è un tipico pittore nato dall'humus macchiaiolo, al quale ha dato accento espressionistico per mezzo dei suo furor di colorista, furor che il Fattori, con il suo metodo didattico del "siate individuali, non imitate nessuno", ha senz'altro contribuito a far esprimere liberamente e completamente.
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