DAVIA, Giovanni Antonio
Nato a Bologna il 13 ott. 1660, secondogenito di Giovanni Battista e di Porzia Ghislieri, apparteneva ad una famiglia di origine borghese, da pochi anni nobilitata e, grazie ad un'accorta politica matrimoniale, imparentata con le più cospicue famiglie senatorie bolognesi.
Svolti gli studi letterari, filosofici e giuridici a Bologna e Torino, il D. manifestò uno spiccato interesse per le scienze matematiche ed astronomiche. Egli stabilì con l'ambiente scientifico bolognese un fruttuoso sodalizio: particolarmente intensi i suoi rapporti con M. Malpighi e con G. Montanari di cui fu, insieme ad U. Gozzadini, uno degli allievi più assidui e stimati. Un rapporto che si protrasse anche dopo il trasferimento del Montanari a Padova, come è testimoniato dal Dialogo fisico-matematico sulle forze d'Eolo, i cuiinterlocutori sono appunto Montanari, Gozzadini e lo stesso D. e in cui sono esposte le opinioni da questo espresse nel corso di un incontro avvenuto nel luglio del 1686 nell'abitazione padovana del Montanari.
Nel 1681 il D. compì un viaggio di istruzione, frequentando gli ambienti scientifici parigini e londinesi: a Londra in particolare venne accolto da Robert H. Hooke alla Royal Society che tenne una seduta in onore dell'ospite bolognese. Richiamato in patria dal fratello Virgilio che, divenuto senatore, si riprometteva di inserire il D. nella vita politica cittadina, questi nel dicembre del 1681 fu nominato ufficiale delle Acque, nel 1682 ricoprì l'incarico di anziano e l'anno successivo fu destinato quale pretore a Castel San Pietro, nel contado bolognese. Si trattò peraltro di un'esperienza di breve durata che il D. volle interrompere: nel 1684 infatti partecipò alla spedizione militare organizzata dalla lega santa nella guerra di Morea, arruolandosi, in qualità di ingegnere, su una delle quattro galere armate dal granduca Cosimo III ed affidate ai cavalieri di S. Stefano.
Imbarcatosi a Napoli con un gruppo di amici, il 13 giugno il D. era a Corfù, luogo d'appuntamento della flotta della lega. In agosto partecipò all'assedio della fortezza di Santa Maura, conclusosi con la capitolazione turca e in seguito, dopo una dura marcia nell'entroterra, partecipò col contingente granducale all'occupazione di Prévesa, un successo militare che garantì a Venezia notevoli vantaggi: una base di appoggio sicura per la navigazione nel mare Ionio ed un punto strategico per la lotta contro il Turco.
Rientrato con la flotta toscana in Italia, nell'ottobre dello stesso anno, il D. si stabilì a Roma coltivando i suoi interessi scientifici e dedicandosi al collezionismo di monete e medaglie, un'attività che continuò per tutta la vita mantenendo continue relazioni con Giuseppe Magnavacca, uno dei più quotati esperti del tempo. Nel 1687, fu presentato ad Innocenzo XI, dal quale sperava di ottenere un nuovo incarico militare, ma questi, apprezzandone le doti, volle inserirlo negli uffici di Curia affidandogli incarichi diplomatici. Nominato internunzio a Bruxelles il 18 luglio del 1687, il D. si trovò a dover affrontare il delicato problema dei giansenisti belgi il cui atteggiamento di fronte ai quattro articoli del clero di Francia aveva suscitato la contrarietà di Innocenzo XI.
Ciò nonostante l'opinione antilassista del papa costituiva ancora una sufficiente garanzia contro le censure già espresse dal S. Offizio, consentendo a teologi di grande prestigio, quali Gommaire Huygens, di continuare ad esprimere liberamente i propri principi rigoristi. In quegli anni era particolarmente attiva una congregazione segreta (Congregatio secreta virorum doctorum catholicorum orthodoxorum ad accusationem iansenistarum) che aveva lo scopo di controllare le attività dei giansenisti per denunziare gli abusi alle autorità ecclesiastiche e civili. Fra gli obiettivi che perseguiva la congregazione, vi erano la deposizione dell'arcivescovo di Malines, Alphonse de Berghes, accusato di proteggere apertamente il clero giansenista della propria diocesi, e l'allontanamento di Gommaire Huygens dall'università di Lovanio. A Malines si concentrarono soprattutto gli sforzi della congregazione per l'impulso dei p. Francois van de Werve, che sfidava apertamente l'arcivescovo anche confidando sull'appoggio del Davia. Questi in realtà manifestò la sua abilità diplomatica non lasciandosi coinvolgere nelle discutibili attività del Van de Werve, che, avvalendosi dell'appoggio delle autorità civili e attraverso una rete di confidenti, raccoglieva testimonianze sui presunti abusi del clero tollerati dall'arcivescovo e sugli "abecedari giansenisti", manualetti scolastici per l'apprendimento della lettura nei quali l'Ave Maria figurava priva della seconda parte del testo originario e taluni passi dei Credo erano mal tradotti. Il D. avallò indubbiamente l'attività investigativa della congregazione, accettando anche l'intervento dell'autorità civile nell'inchiesta, ma mantenne un atteggiamento molto prudente e critico verso gli attacchi della congregazione contro l'arcivescovo. La linea adottata dal D. non consentì la dilatazione scandalistica di taluni abusi, ficonducendo questi a specifiche responsabilità e tutelando di fatto l'arcivescovo di Malines.
Questa esperienza valse al D. l'apprezzamento della Curia romana e il suo inserimento organico all'interno della diplomazia pontificia. Consacrato vescovo di Tebe da Alessandro VIII il 21 giugno 1690, nel luglio venne destinato alla nunziatura di Colonia che resse fino al 1696 allorché fu trasferito alla nunziatura di Polonia.
Durante questo incarico la morte di Giovanni III Sobieski riaprì il conflitto fra la fazione filoasburgica e quella filofrancese, fautrice la prima di Federico Augusto di Sassonia e la seconda del principe di Conti. Il D. si schierò apertamente per il duca di Sassonia la cui candidatura, dopo la solenne abiura dei luteranesimo, si era notevolmente rafforzata e partecipò all'elezione che si concluse con la scelta di quello, che assunse il nome di Augusto II. L'atteggiamento mantenuto dal nunzio in questa circostanza provocò l'irritata reazione dei Francesi che costrinsero il D. a rifugiarsi in Slesia, abbandonando temporaneamente il proprio incarico fin quando Innocenzo XII manifestò apertamente il suo apprezzamento per le scelte del nunzio consentendogli di essere reintegrato nell'incarico e conferendogli il vescovato di Rimini. Nel 1698 il D. accompagnò Augusto II in Sassonia, ottenendo alcuni privilegi e maggiori libertà per i cattolici di quel paese.
Promosso il 26 apr. 1700 alla prestigiosa nunziatura di Vienna, il D. si trovò a dover far fronte alla difficile situazione determinata dalla successione al trono di Spagna, al lungo conflitto che oppose l'imperatore a Luigi XIV, dovendo sostenere nella sede imperiale la difficile posizione di neutralità adottata da Clemente XI fra i due pretendenti, Filippo V e Carlo III.
Le circostanze della successione, sfavorevoli alla fazione asburgica, l'incapacità del pontefice di assumere una, linea politica meno ambigua, misero il D. in una posizione molto difficile nei confronti della corte imperiale: la sua paziente opera di riavvicinamento alla Chiesa cattolica svolta in direzione della dinastia degli Hannover (a tale scopo ebbe alcuni incontri interlocutori con Leibniz), i buoni rapporti con Augusto II di Polonia, disponibile ad interporsi quale ffiediatore fra il papa e l'imperatore, rischiavano di annullarsi per il sospetto che suscitava la linea diplomatica del D. che Clemente XI manteneva rigidamente subordinata alla Curia romana. Già Leopoldo 1, nel 1702, aveva sospeso l'uffienza del nunzio e il suo successore, Giuseppe I, assunse una linea ancor più rigorosa con Roma ordinando nel 1705 al suo ambasciatore, L. J. Lamberg, di abbandonare la corte pontificia (15 luglio 1705) e al D. la residenza imperiale.
Questi, ritiratosi dapprima a Wiener-Neustadt, non essendo più disposto a sostenere una linea che non condivideva, nel febbraio del 1706 decise di abbandonare l'incarico ritornando a Bologna senza chiedere il consenso al pontefice, interrompendo di fatto le trattative e creando così un difficile caso diplomatico. Se il gesto del D. irritò il papa Clemente XI e costò al nunzio un lungo periodo di isolamento nella sua diocesi riminese, fu invece apprezzato dall'imperatore che manifestò la sua stima al prelato conferendogli un cospicuo beneficio ecclesiastico, ed anche in seguito il D. godette l'appoggio della corte imperiale.
Ritiratosi a Rimini, ove giunse il 25 maggio del 1706, si dedicò al governo pastorale della sua diocesi tenendovi due sinodi, nel 1711 e nel 1724. In questo periodo il D. tornò a coltivare i suoi interessi scientifici riallacciando strette relazioni con l'ambiente bolognese favorito anche dai frequenti contatti che, per ragioni familiari., era costretto a mantenere con la città felsinea: frequenti i rapporti con l'Istituto delle scienze al quale donò alcune apparecchiature scientifiche, con F. Bianchini, con E. Manfredi, al quale comunicò i risultati delle sue osservazioni astronomiche e numerose le relazioni con corrispondenti stranieri al fine di arricchire la sua già cospicua biblioteca. Anche in seguito, creato cardinale e trasferitosi a Roma, egli rappresentò un punto di riferimento per molti scienziati, fornendo protezioni ed appoggi contro le rigorose censure delle congregazioni romane; particolare amicizia manifestò per Celestino Galiani, scelto quale suo teologo personale: amicizie e relazioni che gli suscitarono contro il sospetto degli ambienti più conservatori della Curia e l'accusa di filogiansenismo.
Il D. mostrò un particolare impegno nei confronti del seminario riminese che volle potenziare chiamandovi maestri di grande prestigio, quali il cretese G. Stai per la lingua greca, divenuto in seguito arcivescovo di Edessa, l'abate padovano F. Palesi per la lingua latina e italiana, A. Leprotti per la filosofia e ancora C. Pezzangheri, futuro vescovo di Tivoli A. Traulò di Cefalonia, il p. Coscioni e l'agostiniano p. Cerasa. A Rimini diede inoltre vita ad un'accademia che diresse insieme a G. Bianchi (Ianus Plancus). Nel 1712 fu creato cardinale da Clemente XI che gli affidò, nel 1715, la legazione di Urbino e, nel 1717, la legazione della Romagna, ma egli abbandonò solo temporaneamente la propria sede vescovile. Il credito e la stima di cui godeva all'interno del Collegio cardinalizio fecero sì che per ben due volte, nel 1725 e nel 1730, fosse avanzata la sua candidatura al soglio pontificio da uno schieramento molto ampio sostenuto dalla corte imperiale, tanto che nel 1730 non venne eletto per la mancanza di pochi voti. Trasferitosi definitivamente a Roma fino dal 1726, rinunziò in quell'anno al vescovato riminese e fu chiamato a far parte di numerose congregazioni cardinalizie (S. Uffizio, Vescovi e Regolari, Immunità, Propaganda), a presiedere la Congregazione dell'Indice e nominato protettore del Regno d'Inghilterra.
Debilitato fisicamente il D. trascorse gli ultimi anni di vita a Roma, ove morì l'11 genn. 1740.
Fonti e Bibl.: Per le lettere del D. ci limitiamo a segnalare i fondi bolognesi; altre indicaz. sui carteggi dei D. si possono desumere dalla bibliografia: Bologna, Bibl. com. dell'Archiginnasio, ms. B 235: Lettere di G. A. D. al co. O. Zambeccari, 1715-1720; ms. 935, cc. 39-44: Lettere di G. A. D. ai conti Alfonso e Vincenzo Delfini Dosi 1721-1731; Ibid., Collezione autografi, XXIII, nn. 6546-6778: Lettere del card. G. A. D. ad EustachioManfredi, 1709-1738; Fondo Malvezzi de' Medici, cart. 12, n. 17: Lettera del cardinale G. A. D. al dott. Lelio Trionfetti (1716); cart. 27, n. 7: Lettera del card. G. A. D. a Francesco Zambeccari (1728); Bologna, Biblioteca univers.: A. F. Ghiselli, Memorie antiche manoscritte di Bologna, voll. 62, 65, 67, 68, 76, 79, ad Indicem; ms. 4207: C. Montefani Caprara, Delle famigliebolognesi, vol. 29, cc. 172r-173v; ms. 139, b. 1, n. 4: Lettere ed osserv. storico-geografiche intornoallo stato antico delle valli bolognesi e della Padusascritte dal card. G. A. D. ad Eustachio Manfredinegli anni 1716, 1717, 1720; ms. 635, voll. I: Letteredel card. G. A. D. al card. Prospero Lambertini, 1634; ms. 910, vol. III, ff. 382, 396-434; vol. VI, ff. 660 s.; vol. IX, ff. 1068, 1071; Letteredi G. A. D. al co. Vincenzo M. Lini, 1706-39; ms. 2479: Lettere di G. A. D. a Giuseppe Magnavacca, 1681-1723; Bologna, Opera pia Davia-Bargellini: conserva l'archivio della famiglia Davia e pertanto numerosi sono i documenti relativi al D. anche se di carattere prevalentemente amministrativo (completa la serie dei Mastri e giornali, relativi all'amministrazione dei patrimonio bolognese del D.); vanno segnalati: Quaderno di cassa della mensa episcopale di Rimini, 1717-1720; Catalogo della libreria...; Testamento...; Lettere di G. A. D. a vari; G. Montanari, Le forze di Eolo... dialogo fisico matematico, a cura di F. Bianchini, Parma 1694; Synodus dioecesana Ecclesiae Ariminensis ab ill. et rev. D. I. A. Devia... habita in Ecclesia cathedrali... anno 1711, Rimini s. a. [1713]; Synodus dioecesana EcclesiaeAriminensis ab Em. et Rev. S. R. E. Cardinali Y. A. Davia..., Rimini 1724; M. Ugolini, Oraz. funebre per l'anima del card. G. A. D. con alcuneiscrizioni in sua lode del sig. dott. Gian SimoneBianchi, Urbino 1740; Relaz. delle solenni esequiefatte in Arimino a di 20 febbraio 1740 all'Em.moSig. cardinale G. A. D. e breve ristretto della suavita con alcune iscrizioni in sua lode, s.n.t. [1740]; L. Cardella, Mem. stor. di cardinali della SantaRomana Chiesa, VIII, Roma 1744, pp. 119 ss; A. Chacon, Vitae et res gestae Pontificum Romanorum et S. R. E. Cardinalium usque ad Clementem XII scriptae a M. Guarnacci, II,Roma 1751, pp. 167 s.; Relazioni di ambasciatori sabaudi, genovesi e veneti... (1793-1713), a cura di C. Morandi, Bologna 1935, p. 201; M. Malpighi, The Correspondence, a cura di H. B. Adelman, 11, Ithaca-London 1975, II, p. 853; III, pp. 1214 ss.; T. 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