DOLCE, Giovanni Angelo
Figlio del pittore Pietro, nacque a Savigliano (Cuneo); l'anno di nascita 1540 dato per scontato dal Bonino (1927, p. 81) non ha per ora riscontri documentari, mentre il 1560 riportato dal Turletti (1879-90, III, p. 814) è un evidente refuso. L'autore delle biografie manoscritte di illustri saviglianesi, che l'Olmo mi comunicò nel 1987 di aver identificato con il letterato saviglianese Ercole Biga (1571-1640), scrive che apprese a dipingere dal padre e si dilettò di "fare lavoro di bosco", come confermato dal Turletti che cita il D. anche come intarsiatore, indoratore, architetto (in part. II, p. 842; III, p. 814). Il primo documento di archivio che lo riguarda (Bonino, 1930, p. 19) è una lettera scritta nell'ottobre 1566 ad Adriano Saluzzo della Manta, prevosto di Verzuolo, da Claudio Tapparelli di Lagnasco che menziona il passaggio a Lagnasco del D. di ritorno da Marsiglia.
La notizia parrebbe confermare l'ipotesi di una collaborazione del D. alle imprese decorative del padre a Lagnasco per i Tapparelli, a tutt'oggi di difficile definizione specie negli interventi del castello di levante, dove è riconoscibile l'inconfondibile impronta di Pietro. Per quanto riguarda la decorazione del castello di ponente, di timbro zuccaresco-romano che non potrà discostarsi di molto dalla data 1570 della facciata, sono stati prospettati diversi possibili interventi di G. Rossignolo, C. Arbasia e dei due Dolce, finora non convincenti. Va comunque rilevata l'omogeneità stilistica tra le scene di storia classica (per cui cfr. Santanera, 1984) e i busti femminili tra coppie di putti affrescati nella sala attigua (per cui cfr. Gabrielli, 1973, p. 154), accostabili alla coppia F. Serponte, Arbasia, ma anche ad alcuni aspetti del D., forse più facilmente individuabili nelle grottesche e nelle Storie di Adone del salone della Giustizia (cfr. Leone, 1979, p. 47), vicinissime ad analoghi particolari del salone dello Zodiaco nel castello di Manta, che nel secondo Cinquecento subi degli ampliamenti analoghi (per cui cfr. Sella-Carità, in corso di stampa) ad opera di Michele Antonio e Valerio Saluzzo signori di Manta, legati ai Tapparelli da rapporti di parentela.
Un altro spiraglio sulla presumibile collaborazione tra il D. e il padre sembra venire dalla tela del castello di Racconigi (inv. 714), fondamentale per cogliere gli approdi francesizzanti di Pietro e un possibile punto di partenza per il D. (in particolare nella morfologia del ragazzo affacciato alla loggia dello sfondo). Il dipinto è strettamente connesso con la pala della Decollazione del Battista nell'omonima confraternita di Borgo San Dalmazzo che rivela più esplicitamente alcuni tipici caratteri del D. (cui è stata attribuita da Perotti, 1986, p. 85), qui a un livello di straordinaria qualità.
Nel 1567 esegui (Turletti, 1879-90, II, pp. 112 s., 803) un'ancona per l'altare del Corpus Domini in S. Andrea a Savigliano, ancora esistente secondo la Brizio nel 1928 (in Schede Vesme, 1966). Nell'ottobre dello stesso anno lavorava con il pittore chierese Francesco Serponte alla decorazione, perduta, della facciata della chiesa di S. Agostino a Carmagnola per l'arrivo di Ludovico Gonzaga (Rodolfo, 1954, p. 12). Nel dicembre 1571 è detto "egregius pictor di Savillano" in un contratto che lo impegnava con Franceschino Binellati. Il rettore dell'oratorio di S. Maria del Sepolcro (che diverrà nel Seicento, dell'Assunta), a fornire "anconam unam ad honorem decorem et pietatem Cruciatae" (Novellis, 1844, p. 323).
Il Turletti (1879-90, II, pp. 449, 803) precisa trattarsi di un'"alzata architettonica" con semicolonne scanalate e decorate tauro bono et azzurro bono equa portione", sei "quadri" e ornamenti, destinata a contenere una Madonna eseguita nel 1510 da Gandolfino d'Asti. L'ancona, manomessa nel 1660, quando il dipinto di Gandolfino.fu posto al centro di una Gloria di angeli su tela attribuibile al saviglianese Sebastiano Carello, sarebbe andata dispersa nel primo Settecento. Il Turletti (ibid., p. 842) menziona due medaglioni con Santi provenienti dalla base dell'ancona, conservati nel coro dell'Assunta; si tratterebbe per il Bonino (1927, p. 84) e l'Olmo (1958, pp. 10, 17) dei due tondi - raffiguranti in realtà Salomone e Davide - oggi nella casa parrocchiale di S. Pietro, accostabili più che al D. alle punte francesizzanti di Pascale Oddone e Pietro Dolce.
Nel 1578 il D. è menzionato in un ordinato del Comune (Novellis, 1844, p. 323) riguardante la sua abitazione vicino alla porta della Pieve. Da un'altra lettera di Claudio Tapparelli del 1579 (Bonino, 1930, pp. 19 s.) apprendiamo che il D. lo aveva pregato di chiedere ad Adriano Saluzzo della Manta (nel castello di Verzuolo) se e quando questi intendesse servirsi di lui "ne la opera di soa sala". Nel 1580 risulterebbe documentato a Sommariva Bosco (Leone, 1929). Nel luglio 1581 la Comunità di Carmagnola commissionò al D. "una anchona cum uno cadero" per la cappella della Concezione nella collegiata.
Le vicende dell'ancona provvista di colonne "ornate di fogliame" e raffigurante la Madonna fra i ss. Rocco e Sebastiano, sistemata sull'altare nel 1584, ci sono note dal Rodolfo (1954): restaurata, poi sostituita da una statua, andò dispersa nel Seicento. Il Rodolfo (pp. 12, 17) considera cronologicamente prossima alla pala della Concezione quella, in origine nella stessa cappella, ora nella sacrestia della collegiata di Carmagnola, sicuramente riferibile al D., raffigurante la Genealogia della Vergine, che costituisce ima variante iconografica del tema dell'Immacolata, assimilando anche il motivo dell'albero di Jesse.
Al 1584 sono databili altre due pale d'altare attribuite al D.: a Cavallermaggiore la Madonna col Bambino tra i ss. Cosma e Damiano, tuttora nella parrocchiale di S. Michele (Leone, 1980, pp. 102 s.); a Savigliano, in S. Andrea, un'ancona - poi smembrata - per la cappella della Vergine comprendente una tela (ora all'altar maggiore) raffigurante la Madonna col Bambino con il mondo in mano (Turletti, 1879-90, II, pp. 117 s., 839).
Nel 1584 è documentato a Cuneo, per lavori alla torre civica deliberati dalla Comunità (Karl, 1980) che l'anno successivo, in vista dei festeggiamenti per l'entrata di Carlo Emanuele e Caterina d'Austria sposi, lo incaricò della "fattura e pittura della fabbrica dell'arco"; parti della costruzione furono riutilizzate per l'altar maggiore della chiesa cuneese di S. Francesco. La cronaca cuneese di Giovanni Francesco Corvo ne precisa il costo in 2.000 ducati, segnalandone i "quadri con oro" e la bellissima prospettiva piaciuta al duca che ne richiese "il disegno con tutti li suoi versi" (Barelli, 1891). Carlo Emanuele chiese i disegni anche dell'arco eretto a Savigliano nel 1585 su progetto dell'architetto torinese Giovanni Battista Ripa (Novellis, 1844, p. 277) e dipinto dal D. (Turletti, 1879-90, II, pp. 786, 990), disegni commissionati in settembre al D. dal Comune (ibid., p. 842) che nel giugno seguente lo pagava per un disegno - sempre dell'arco - che doveva essere mandato "a intagliar a Venetia" (Karl, 1980) per un libro che finora non è stato reperito (cfr. Romano, 1985, p. 214). Nel 1585, dovendosi ricostruire a Savigliano nella parrocchia di S. Maria della Pieve la cappella di S. Croce, il D. copiò dipinti e iscrizioni relativi al ritrovamento e alla traslazione della croce del venerabile Gudiris e dalle sue "bozze" (esistenti ai tempi del Turletti, 1879-90, II, p. 843) trasse "parecchi esemplari in bella forma e colorito".
Nel 1587 il D. a Saluzzo era esecutore testamentario per il pittore Cesare Arbasia (Bressy, 1961). In quell'anno è documentato (Savio, 1915, pp. 173 s.) uno "dei più bei quadri che si possano in Saluzzo vedere" (Muletti, Descriz...., ed. 1873); il dipinto, che raffigura la Circoncisione, fu eseguito per l'altare della Confraternita del Santo Nome di Gesù eretta nella chiesa di S. Martino (divenuta poi la Consolata, dove è tuttora conservato).
Nel 1588 gli venne affidata la decorazione (perduta) della volta della cappella dell'Assunta in S. Pietro a Savigliano (ibid., 1879-90, II, pp. 181, 843). Forse è da identificare con il D. quel "maestro Joani delle Madonne" (Bonino, 1930, p. 21) che in una lettera del febbraio 1588 Aleramo Del Carretto scriveva essere giunto a Manta. Nel 1591 è incaricato con Giovanni Battista Ferrero di "riformare" la campana grande dell'orologio della torre civica (Turletti, 1879-90, II, p. 843). Datato 1593 era un S. Diego già nella chiesa saviglianese degli Zoccolanti (Turletti, II, pp. 343, 843). Segue un vuoto nella serie documentaria fino a una lettera del giugno 1598 di Benedetto Tapparelli di Lagnasco che da Savigliano scriveva a Michele Antonio Saluzzo della Manta, governatore del marchesato di Saluzzo, già luogotenente generale del re di Francia, quindi, dal 1589, di Carlo Emanuele, a proposito di uno "schizzo della pace" (Bonino, 1930, p. 20), lettera che conferma un intervento prestigioso (ma suscettibile di critiche) del Dolce per Michele Antonio.
Già il Savio (1915, p. 169) aveva attribuito la decorazione del salone dello Zodiaco all'autore degli affreschi della volta della cappella gentilizia dell'antica parrocchiale di Manta collegata al castello: qui, dove Michele Antonio fu sepolto nel 1609, i Profeti dipinti sui pennacchi ricordano vistosamente quelli ai bordi della Circoncisione saluzzese del D., e la pala d'altare con la Resurrezione, vicinissima a quella raffigurante la Prova della vera Croce nella parrocchiale di Villanova Solaro, mostra alcuni tipici tratti del D., di cui appare sempre più probabile un intervento nel complesso di Manta, ricordando gli stretti legami sopra segnalati, con il castello di ponente di Lagnasco (cfr. anche Leone, 1978-79, p. 82).
Sempre nel 1598 il rettore della Confraternita della Misericordia di Savigliano Nicolao Cauzone gli commissionò l'affresco sulla facciata dell'edificio (perduto) raffigurante una Croce venerata da due disciplinanti (Viberti, 1707-30; Turletti, 1879-90, II, p. 843). Nello stesso anno, in qualità di "pittore e architettore", è incaricato dalla Comunità di Cuneo della supervisione dei lavori alla torre civica, e in particolare della costruzione del pinnacolo e della galleria in ferro sulla cornice superiore (Riberi, 1931, pp. 435). Sempre intorno al 1598, in base a un documento relativo alla dispersa ancona lignea dorata e dipinta (Gentile, 1979), è databile anche la pala con la Madonna col Bambino, i ss. Fabiano e Sebastiano e due battuti nella Confraternita dello Spirito Santo di Carignano convincentemente riferitagli da Leone (1979, p. 47). Fra il 1598 e il 1599 procurò alla Confraternita saviglianese della Pietà indulgenze, diversi arredi sacri tra cui un "crocifisso molto bello" (Turletti, 1879-90, II, p. 843).
Morì intorno al 1602 o al 1606 secondo Turletti (ibid., p. 844; III, p. 814), nel 1606 secondo Bonino (1927, p. 81).
La ricostruzione del percorso artistico dell'artista ha dunque il suo centro nella Circoncisione di Saluzzo, con la sua elaborata composizione "tipografica" (Romano, 1981, p. 170) in singolare assonanza con le prove lasciate in Liguria dal pittore senese Benedetto Brandimarte e nell'ambizioso exploit della Genealogia della Vergine di Carmagnola. Si possono confermare al D. anche la pala dell'Assunzione (cfr. Leone, 1979, p. 47) nel santuario saviglianese della Sanità (vicina alla Madonna con i ss. Cosma e Damiano di Cavallermaggiore) e l'Ascensione custodita in un deposito della chiesa della Maddalena ad Alba; inoltre - con qualche discrepanza stilistica - la Pietà della Confraternita della Misericordia di Cavallermaggiore, databile al 1583 (Leone, 1980, pp. 101 s.), e l'Annunciazione del Municipio di Cuneo (proveniente probabilmente da S. Francesco). In particolare un'altra Annunciazione conservata nella Confraternita cuneese di Santa Croce, affine alla precedente, sembra rinviare, per la materia pittorica più compatta e i profili incisi, a modelli manieristici d'Italia centrale. Oltre alle esperienze romane di Cesare Arbasia, all'attività per la corte sabauda del faentino Alessandro Ardente, andranno ricordate, come possibili stimoli all'evoluzione del D., le estrose pale arrivate negli anni Novanta a Cavallermaggiore e a Cherasco dall'ascolano Martino Bonfini. Resta comunque inspiegabile la recente attribuzione al D. (Perotti, 1986, p. 254) della Madonna delle Rose in S. Michele a Cavallermaggiore, sicuramente di Bonfini (cfr. il catalogo della mostra Pio V e Santa Croce di Bosco, Alessandria 1985, pp. 429-433).
Sono plausibili le attribuzioni al D. (Bonino, 1927, p. 86) del degradato affresco con i Ss. Antonio e Paolo eremita, che reca la data 1581, nella cappella dei Filippi di Baldissero in S. Agostino a Cavallermaggiore, e ancor più del Consesso delle muse affrescato in palazzo Cravetta a Savigliano (Leone, 1979, p. 47).
Tra le pale cuneesi più vicine al D. sono da segnalare i Ss. Pietro e Paolo all'altar maggiore della Madonna dei Boschi a Boves e la tela con le Anime purganti e la scritta Caritas me fecit nella parrocchiale dei Ss. Quirico e Paolo di Dogliani (proveniente da S. Lorenzo), che semplifica la complessa iconografia salvifica della Circoncisione di Saluzzo. Prossimo al D., ma con una sua distinta fisionomia, è l'autore della Resurrezione di Lazzaro in S. Pietro a Savigliano e di un gruppo di opere della zona, da tenere in conto nel tentativo di individuare il Carlo Dolce di Marene citato dalle fonti locali (v. Dolce, famiglia).
È tentante ipotizzare un riflesso della documentata attività di architetto del D. nel palazzo del capitano Costantino Garneri a Cavallermaggiore (ora Municipio) che reca sul loggiato la data 1581; all'interno dell'edificio, che abitualmente ospitava la corte ducale, il camino datato 1590 rivela negli angeli reggistemma i tipici appesantimenti del Dolce.
Andranno decisamente espunte dal catalogo del pittore, oltre alla Crocifissione affrescata nel 1564 in S. Giovanni a Saluzzo (Gabrielli, 1973, p. 244), numerose opere attribuitegli dal Turletti e dal Bonino, come gli affreschi della cappella Ferrero-Gola poi Portesio a Cavallerleone (Bonino, 1927, p. 86), quelli di avanzato Seicento di via S. Andrea a Savigliano (ibid., p. 85) e i due Santi cassinesi (ora nella Galleria Sabauda, inv. 760 e 769; Turletti, 1879-90, II, p. 843, ma cfr. A. Baudi di Vesine, Catal. della R. Pinacoteca..., Torino 1909, p. 44); l'ancona riferita al D. dal Bonino (1927, p. 89) è verosimilmente quella del Rosario nella parrocchiale (cfr. G. Galante Garrone, Una pausa…, in L'iconografia mariana ... Fossano, 1988, p. 19). È attualmente ingiudicabile per le ridipinture l'Immacolata presso l'altare di S. Benedetto nel santuario dell'Apparizione a Savigliano (Turletti, 1879-90, II, p. 843).
Se nei suoi primi incarichi il D. poté essere agevolato dal prestigio del padre, bisogna ancora far luce sulla sua fortuna presso Carlo Emanuele I e la cerchia dei suoi nobili committenti, in particolare i Tapparelli e i Saluzzo di Verzuolo e della Manta, ricordando che il suo biografo seicentesco (Biga?) lo dice "individuo compagno" del concittadino Marcantonio Gorena, drammaturgo "dedito allo studio delle Muse".
Il biografo elogia del D. le invenzioni di "foggie straordinarie et meravigliose", la frequentazione dei "virtuosi", il "bellissimo gabinetto" di collezionista, ma avanza delle significative riserve sulla sua figura di manierista: le sue ricerche alchemiche (in particolare sulla "pietra filosofale") lo danneggiarono, facendogli tralasciare la pittura; la sua "pratica" era eccessiva; la sua cultura letteraria superficiale. l'"universalità" così apprezzata in Pietro sembra ridursi a dilettantismo, visto che il D. non poté "imparare l'arte nelle buone città, dove vi sono dovitie di Maestri et esemplari". Leggiamo tra le righe Roma e Bologna, dove si formavano gli artisti più stimati.
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