CONTARINI, Giovanbattista
Secondogenito di Domenico (1558-1613; fu giudice dei Proprio ed eletto, il 22 febbr. 1609, conte a Traù, rifiutò la carica) di Giovanbattista e di Lucia di Marco Corner, nacque a Venezia o in villa, il 7 sett. 1587.
Ebbe quattro fratelli: Marco (1582-1671) più volte avogador di Comun, eletto l'8 apr. 1654 inquisitor in Dalmazia, un paio di volte consigliere per il sestiere di San Marco, senatore destinato ad essere il più vecchio del Pregadi, e, a detta di Pier Angelo Zeno, pure "scrittor"; Nicolò (1591-1647), dei Dieci savi, senatore, e sposo, nel 1633, di Bianca di Girolamo Savorgnan; Carlo (1593-1665), Più volte avogador di Comun; Giovan Francesco (1596-1650), provveditor alle Pompe.
Il C. abita con loro in una dimora singolare: essi vengono detti - informa Giustiniano Martinioni, l'aggiornatore seicentesco della guida sansoviniana - Contarini "dal Buovolo" ("bovolo" significa chiocciola), appunto perché il loro palazzo (che passerà alla famiglia Minelli con le nozze, del 1716, d'una bisnipote del C., Elisabetta, figlia di Pietro. di Domenico, figlio, quest'ultimo, di Carlo, fratello del C., con Giovanni [III] Minelli di Giovanbattista), in "contrà di San Paternian", prospiciente il "rio" di S. Luca, vanta una suggestiva scala "tortuosa, fatta, tutta di marmi, con colonne e volti, coperta tutta di lastre di piombo, per la quale si ascende in giro..., fabbricata con eccellente ordine di architettura e con spesa incredibile".
Vari i Giovanbattista Contarini coincidenti colla prolungata esistenza del C., dai quali, ad evitare confusioni, va preventivamente distinto: v'è un notaio, nel 1623, dell'avogaria di Comun (cfr. Miscellanea marciana di studi bessarionei..., Padova 1976, pp. 111 s.); v'è il figlio di Dionigi eletto il 24 marzo 1662 dei tre sopra gli Atti dei sopragastaldi ed il 7 dic. 1605 provveditore generale in Dalmazia e Albania; ed è suo cugino, figlio, appunto, di Marino, un fratello di suo padre, quel Giovanbattista Contarini (1578-1636), un cui sonetto, complimentoso per l'autore, si legge ne La fida ninfa... (Venetia 1610) di Francesco Contarini. E se è il C. l'"eccellenza degna... d'essere... inchinata da tutti" cui l'adolescente Vettor Contarini dedica le sue Primitio accademiche (Venetia 1644), è da escludere, invece, sia quel Giovanbattista Contarini, "prencipe", attorno al 1663, dei Delfici veneziani, ché l'accenno di Martinioni quale a colui che, "nel fiore de' gl'anni suoi", fornisce "saggi di matura crudizione", fa pensare si tratti, piuttosto, d'un giovane.
Certamente il C. cresce in un ambiente familiare colto - suo padre si diletta di filosofia, un fratello di questo, Piermaria, è il trattatista - e sollecitante all'applicazione negli studi. Ed egli sin da fanciullo approfondisce quelli filosofici, sotto la guida pressoché esclusiva - anche se non è improbabile abbia pure frequentato le lezioni del vicino ateneo patavino, presso il quale, comunque, non risulta si sia laureato - dello zio paterno Nicolò (1549-1623), pubblico lettore di filosofia tra il 1602 ed il 1613 nonché promotore dell'istituzione d'un collegio per l'educazione dei giovinetti nobili di disagiata condizione (da distinguere dall'onionimo e coevo futuro doge: cfr. su di lui L. Zenoni, ... L'Accademia dei nobili..., Venezia 1916, pp. 2, 161 s., e, di G. Cozzi, Il doge N. Contarini..., Venezia-Roma 1958, pp. 55 s., n., 231 e F. Contarini..., in Boll. dell'Ist. di storia della soc. e... Stato Ven., III [1961], pp. 203 s.). Esaltato dai contemporanei come "philosophorum omnium praestantissimus", "egregius in philosophia imperator", Nicolò Contarini è il mentore di C. adolescente. E con memore riconoscenza egli spesso riandrà al suo magistero, e sovente indulgerà a richiamare qualche sua illuminante "sententia".
Eletto dal Senato, il 13 dic. 1613, pubblico "lettor in filosofia", il C. succede allo zio; e deve la nomina alle raccomandazionl sue e dell'influentissimo suo amico Andrea Morosini, il quale, scrivendo il 1° giugno 1614, al primo, loda il C. come giovane "qui aetatem scientia superavit". Comprensibile il C. si senta vincolato. alle propensioni d'entrambi e situi il suo insegnamento nell'alveo sicuro d'un aristotelismo completamente addomesticato alle ragioni e preoccupazioni dell'ortodossia cattolica. D'altronde è questa la doverosa linea interpretativa della prestigiosa cattedra affidatagli. Tradizionalmente incentrata sull'esegesi d'Aristotele, già Agostino Valier ha provveduto allo sgombero d'ogni nostalgia averroistica e d'ogni tentazione eterodossa, decisamente sostituite con una rilettura d'impronta tomistica. Anche se altrove soffia ormai il vento della rivoluzione scientifica, anche se circolano e si discutono le idee e i testi di Bralie, Keplero e Galilei, la cattedra lagunare non si discosta dalle acquisite certezze. Come ha asserito Paolo Loredan, suo detentore prima di Nicolò Contarmi, nei suoi In tres libros Aristotelis de anima... commentaria... (Venetiis 1594) lostagirita dev'essere, in ogni caso, considerato "principem omnium sapientem". Compito del docente quello d'esserne il fedele "expositor".
E così mostra d'intenderlo il Contarini. Il corpus aristotelico fornisce un sistema completo, orgogliosamente autosufficiente, da custodire, barricandolo verso l'esterno, quale inesauribile fonte di trituramenti esplicativi donde desumere un concatenato svolgersi di rassicuranti asserzioni. Grazie ad esso è possibile ribadire l'incorruttibilità dei cieli e, insieme, capire "animalia cur non nascuntur perfecta", intendere "motus naturalis, cur sit in fine velocior", convincersi come "maculae... quae apparent in luna, nil aliud sunt nisi partes rariores in quibus lumen difficilius recipitur", dimostrare "coelum quomodo sit causa qualitatum". Un interrogarsi e un rispondersi totalmente interni all'assieme dei corpus e della sua plurisecolare esegesi. Stando ben dentro al mondo descritto una volta per tutte da Aristotele e non uscendone mai, studiandolo con indefettibile attenzione, chiarendone i punti controversi coll'ausilio dell'imponente tradizione interpretativa, si consegue l'autentica conoscenza, purché incorniciata dalle coordinate della più scrupolosa ortodossia, purché coronata dalla suffragata e sempre suffragabile affermazione che l'"anima humana est immortalis".
Voluminosa testimonianza di tale convinzione, analiticamente dipanata nel corso d'una didassi impegnata nel paziente censimento di quanto Aristotele e i suoi interpreti hanno detto ("addunt", "arguit", "respondet", "asseruit", "adducunt", "confirmat", "afferunt"), le Quaestiones peripateticae..., scandite dal C. in tre parti di quasi ottocentocinquanta fittissime pagine complessive in latino.
La prima (Venetiis 1617), stampata dai fratelli Ambrogio e Bartolomeo Dei, discute diffusamente le "controversiae" intercorse tra gli "expositores" degli otto libri della Fisica e dei quattro del Cielo ed è corredata da un'illustrazione dei lessico aristotelico. La seconda (ibid. 1612), uscita presso la tipografia dei fratelli Giovanni e Varisco Varisco, affronta soprattutto i passi più ardui della Generazione e corruzione, mentre la terza (ibid. 1633), dovuta ai piombi di Giacomo Sarzina, si concentra particolarmente nella disamina dei tre libri dell'Anima. Indicativamente dedicate, nell'ordine, ad Andrea Morosini (il più sapiente tra i "nobilissimos", il più nobile tra i "sapientissimos"), a Girolamo Basadonna di Giovanfrancesco e a Michele Priuli di Francesco - autorevole e dotto uomo politico il primo, oltre che protettore del C., rampollì della miglior nobiltà gli altri due -, quasi a sottolineare l'importanza del suo insegnamento e la centralità della conoscenza di Aristotele nell'itinerario formativo del patriziato, i tre volumi da un lato fissano ordinatamente il contenuto delle lezioni del C., dall'altro costituiscono il tangibile monumento della sua credibilità speculativa. Grazie alla dottrina ivi sciorinata gli si riconosce un eccezionale "acumen", diventa "il Filosofo" per antonomasia. Non per niente, come attesta il Superbi, legge "filosofia con molto concorso et gusto di chi lo sente, et anche a' nobili gioveni privatamente". Evidentemente la sua esposizione, per quanto ripetitiva, ha una sua presa nell'aristocrazia della Venezia seicentesca; anche se non originale, conserva una sua tenuta didattica, e procede imperterrita non scalfita da impulsi all'osservazione, non distratta dal libro aperto della natura, non tentata dagli azzardi delle clamorose novità attorno risuonanti e nemmeno lambita da accenni di curiosità.
Se si pensa alle rumorose discussioni che dividono l'ambiente universitario della vicinissima Padova, ché un Giovanfrancesco Sagredo e un Sarpi sono contemporanei del C., la chiusura di questo alle sollecitazioni culturali e scientifiche del tempo è singolare. Il suo aristotelismo è indubbiamente oltranzistico. Ma va anche riconosciuto che, in certo qual modo, si salva proprio nella sua sordità ed estrancità al nuovo. Il C., infatti, evita ogni discussione, si sottrae ad ogni polemica. Non si sbilancia, non si espone, non scende in lizza coll'aggressività d'un Chiaramonti, non s'abbandona - in coincidenza colle condanne romane - a plateali attacchi antigalileiani quali le Esercitazioni filosofiche... (Venetia 1633) dei "libertino" Antonio Rocco. Non turbato dalle scoperte, non scosso dai dibattiti, semplicemente ignora Galilei, non lo nomina mai per tutto il corso delle Quaestiones... Programmaticamente non esce dal corpus e dall'involucro dei suoi diretti interpreti, che mostra d'aver letto e meditato. Cita, perciò, Alessandro d'Afrodisia, Temistio, Simplicio, Averroè, Avicenna, Giovanni Grammatico, Francesco Piccolomini, Zabarella, Achillini, Balduino, Egidio Romano, Tommaso da Vio, Marcantonio Zimara, Ludovico Boccadiferro, Arcangelo Mercenari, Maimonide, Simone Porzio, Francisco Suarez, Giovanni di Bacconthorpe, Gasparo Contarini. Ha presenti Alberto Magno, s. Tommaso e "thomistae quamplures", Duns Scoto e gli "scotistae", Occam; conosce Galeno, senza trascurare Platone e Porfirio, Boezio e Pitagora, Democrito ed Empedocle ed Ippocrate. Ma nulla l'induce a citare il Siderous nuncius o il Dialogo dei massimi sistemi. Gablei, comunque, non è il solo grande assente delle Quaestiones...; nemmeno Cremonini vi è mai nominato. Ed, invece, è ricordato quale "excellentissimus" il suo puntiglioso avversario Giorgio Raguseo, l'autore delle Peripateticae disputationes... (Venetiis 1613), un'opera dedicata alla Vergine ed acremente polemizzante con "novus quidam autor", vale a dire Cremonini. Una presenza, Raguseo, e un'assenza, Cremonini, sintomatiche per connotare la posizione del Contaridi. Ignorate, forse perché prive d'un mordente valido a ricacciare gli strali antiaristotelici, nelle Vestigationes peripateticae... (Patavii 1639) di Matteo Ferchio, le Quaestiones... dovettero godere d'un certo credito e d'una qualche circolazione: Belluti e Mastri le utilizzano e le lodano, Aprosio - che ricorda come il C. "essendo... avogadore del Comune" rifiutasse "il titolo dell'eccellenza" che pur gli spettava "per ogni ragione" - asserisce d'averle scorse "mentre da giovinetto m'esercitava negli studi filosofici".
In fama di dottissimo e sapientissimo, nonché ammirato per l'ineccepibile moralità, il C. non è solo un docente confortato dall'assidua e "piena frequenza di uditori". È anche uomo politico, coniugante, a detta del medico vicentino G. Imperiali, il candore dei costumi "cum senatoria gravitate". A probabile, allora, la sua parola sia, talvolta, risuonata autorevole in Pregadi, il quale, per alleggerirgli l'onere dell'insegnamento, gli concede, nel 1657, di valersi d'un "aiutante". E per due volte, il 5 marzo 1634 e il 19 marzo 1649, il Maggior Consiglio l'elegge censore. Esaurite, con le Quaestiones..., le sue ambizioni filosofiche, si cimenta in tarda età nella sintesi storiografica, pubblicando due "Parti" - la prima (Venetia, "per gli heredi di Francesco Storti", 1663) va dal "principio della città" al 1486; la seconda (ibid., "appresso Domenico Milocho", 1669) prosegue sino al 1644 - Della veneta historia.
Un'opera decisamente infelice, priva dei minimo vaglio critico delle notizie (solo il 6% della popolazione sarebbe sopravvissuto alla peste del 1348!), rimasticante i soliti luoghi comuni (la "moderata forma aristocratica" della Serenissima è esente dai difetti della "monarchia assoluta", dell'"oligarchia", della "tirannide", è immune dai "seditiosi tumulti" della "democratia popolare"), inceppata da una fastidiosa concettosità, da un periodare involuto, da un'aggettivazione rigonfia e artefatta. L'aduggia il tono sentenzioso, l'appesantisce il commento moralistico, per cui, ad esempio, "il mostruoso squalor di mai francese" è "meno compatito" poiché "quasi sempre contratto" col "mezo sensuale del coito". La peggiorano soprattutto le frequenti spruzzature filosofeggianti: "ogni sostanza naturale tiene in se stessa il proprio destitutivo" e ciò vale anche per la "bellica armata"; il "veneto stato" è "simile" agli "alti girri eccelsi dei cielo"; "da antipathia de animi" nasce "simpathia di armi". Incapace di rigore e vigore espositivi ricorre ai più triti cascami del suo armamentario aristotelico.
Il C. muore a Venezia alla fine del 1671.
Sollecito il Senato, il 13 genn. 1672, chiama a succedergli Vincenzo Pasqualigo - più a proprio agio nel bazzicare coi letterati (ancora nel 1664 Antonio Lupis gli dedica le sue Scene della penna, Venetia 1692;e Pasqualigo ricambia dettando l'elogiq del romanzo di Lupis, La marchesa d'Hunsleii... che figura nell'edizione del 1677 le nella ristampa del 1687) che nelle fatiche della riflessione -, autore d'uno smilzo e banalissimo libretto, le Praelectiones geniales ad philosophiam (Venetiis 1678), ove, peraltro, non scorda (a p. 18) d'esaltare il C. quale "fulgentissimus sapientiae iubar". Viene "canonizato maestro in filosofia - brontola l'anonimo autore della Copella, una panoramica piuttosto critica sul patriziato veneziano - uno che mai fu conosciuto scolare", capace solo di "infilzare" parole a memoria. Una "lettura di solo nome", un "maestro di sola apparenza". Un vistoso scadimento rispetto all'insegnamento del C., "uomo incanutito nello studio" e con all'attivo un "buon volume di questioni fisiche". Una rampogna non immotivata: all'aristotelismo grigio ma pur sempre competente e sodo di quello succede, in effetti, il vaniloquio ciarliero d'un docente improvvisato. "Con la morte" dei C., si rammarica l'anonimo, "è morta... la dottrina veneta".
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Segretario alle voci. Elezioni dei Pregadi, regg. 9, c. 167r; 19, c. 115r (per la nomina di Pasqualigo); Ibid., Elezioni del Maggior Consiglio, regg. 16, 18, 19, sempre alla c. 7v;Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. It., VII, 925 (= 8594):M. Barbaro, Genealogie..., I, c. 272v; Ibid., 15 (= 8304); G. A. Cappellari Vivaro, Campidoglio veneto, I, cc. 293v, 301r; Ibid., 231 (= 7252): [A. Zeno], Mem. di scrittori ven., n. 79della lettera G (e, per lo zio Nicolò, n. 23 della lettera N); Ibid., 289 (= 8641): G. Degli Agostini, Scrittori ven..., I, c. 539;Venezia, Bibl. del Civico Museo Correr, Cod. Cicogna 1511, a c. 2r della Copella ivi contenuta; Ibid., Cod. Cicogna 3525: G. P. Gasperi, Bibl. veneta..., I, pp. 281 (ove il C. è confuso, però, coll'omonimo figlio di Dionigi), 288 (per il fratello Marco); A. Morosini, Opuscolorum cum... epistulis pars prima, Venetiis 1625, pp. 245 s.; A. Superbi, Trionfo... d'heroi... di Venezia..., III, Venetia 1629, p. 73; G. Imperiali, Musaeum hisroricum, Venetiis 1640, p. 205; B. Belluti-B. Mastri, Disputariones in libros de coelo et metheoris, Venetiis 1640, pp- 30, 94, 103, 143, 160; Id., Philosophiae ad mentem Scoti cursus integer..., Venetiis 1688, passim; P. A. Zeno, Scrittori ven. parritii..., Venetia 1662, p. 30; F. Sansovino, Venezia..., Venetia 1663, pp. 393, 396 (per l'omonimo principe dei Delfici) e Primo cat.. p. 4; G. F. Loredan, Delle lettere..., a cura di E. Giblet, Venezia 1693, pp. 19 s. (il C. dev'essere il destinatario d'una breve missiva); [A. Aprosio], La biblioteca aprosiana..., Bologna 1673, pp. 25 s.; G. M. König, Bibliotheca..., Altdorfi 1678, p. 209; Giornale de' letterati d'Italia, V (1721), pp. 355, 379 ss.; Bibl. Casanatensis.. catalogus..., II, Romae 1768, p. 420; Catalogo delle storie... nella... libreria dei ... Coleti in Vinegia, Venezia 1779, p. 243 n. 33; E. A. Cicogna, Delle Inscr. Ven...., I, Venezia 1824, pp. 186 s.; V, ibid., 1942, p. 525; VI, ibid. 1853, pp. 600, 664; Id., Saggio di bibl. ven., Venezia 1847, nn. 605, 4229; G. Tassini, Curiosità ven...., a cura di L. Moretti, Venezia 1980, p. 370; E. Garin. La filosofia, II, Milano 1947, p. 116 n. 13; Autori it. del '600, a cura di S. Piantanida-L. Diotallevi-G. C. Livraghi, Milano 1948-51, n. 1022; S. P. e P. G. Michel, Répertoire, II, Paris 1968, p. 125; Storia e cult. al Santo, a cura di A. Poppi, Vicenza 1976, p. 319 n. 46; Storici e politici ven. dei Cinquecento e dei Seicento, a cura di G. Benzoni-T. Zanato, Milano-Napoli 1982, p. LV.