GABUTI (Gabuto), Giovan Giacomo
Quartogenito di Giovan Francesco e di Maria Luciana Orengiano, nacque a Ivrea intorno al 1630.
Il G. apparteneva a una ricca famiglia eporediese, la cui fortuna aveva avuto inizio alla fine del sec. XVI ad opera del nonno del G., un ricco mercante anch'egli di nome Gian Giacomo. La carriera del padre Giovan Francesco era iniziata nel 1628 quando Carlo Emanuele I lo aveva nominato tesoriere della provincia d'Ivrea. Nel clima di tensione maturato nello Stato sabaudo dopo l'improvvisa e prematura scomparsa di Vittorio Amedeo I (1637), destinato a sfociare nella guerra civile (1639-42), Giovan Francesco Gabuti si schierò con la reggente Cristina di Francia, che nel 1638 lo nominò tesoriere della propria casa. Vale la pena notare che la scelta di Giovan Francesco era in contrasto con quella della maggior parte del patriziato eporediese, che aveva invece abbracciato la causa dei "principi cognati", facendo di Ivrea una delle principali roccaforti del loro partito. Nel 1642, ormai vinta la guerra civile, Cristina lo promosse alla carica di uditore camerale nella Camera dei conti di Piemonte. Il 28 nov. 1666 veniva nominato giudice del "magistrato del Mare", organo preposto al controllo e alla regolamentazione dei commerci marittimi nella contea di Nizza e, il 26 genn. 1667, "sovrintendente di là da colli alle militie et alle genti di guerra et a castelli et forti di città nostra di Nizza e suo contado", incarico che mantenne sino alla morte avvenuta nel 1671. Dopo la scomparsa della prima moglie, nel 1643 aveva sposato Giovanna Virano, da cui aveva avuto quattro figli. Dei suoi figli maschi solo il G. seguì la carriera, gli altri presero i voti religiosi.
Va osservato, al fine di evitare equivoci, che in quegli stessi anni ricopriva importanti incarichi (prefetto di Asti nel 1666 e dal 1670 senatore di Piemonte) un altro Giovan Francesco Gabuti morto nel 1695, il quale apparteneva a una famiglia di Asti che con i Gabuti di Ivrea non aveva alcun rapporto, e il cui figlio Carlo Gabriele nel 1723 avrebbe aquistato il feudo di Bestagno col comitato.
Dopo aver accompagnato il padre in diverse missioni, nel 1655 il G. venne chiamato a sovrintendere ai vettovagliamenti per le truppe di stanza in alcune delle fortezze e dei presidi del Ducato. Il 27 genn. 1658, in ricompensa del servizio paterno, Cristina lo nominò "mastro auditore nella Camera Conti alla piazza del suo padre dopo il di lui decesso per doverne all'hora sostener effettivamente il carico".
La decisione incontrò l'opposizione del Senato, che rifiutò di interinarla poiché la piazza occupata da Giovan Francesco Gabuti era già stata promessa al conte Bernardino Armano di Grosso, nominato uditore nella Camera dei conti il 23 ott. 1657. In seguito a ciò Maria Cristina decise, l'8 febbraio, che se alla morte di Gian Francesco Gabuti l'Armano non avesse ancora ottenuto una piazza "numeraria" al G. sarebbe spettata una piazza "sovranumeraria", sostituita, alla prima vacanza, da una "numeraria". Questa volta la reggente non ammise repliche e dichiarò che per obbedire a tale ordine il Senato non avrebbe dovuto astenersi dal derogare a ogni "uso, decreto o stile" solitamente adottati. A testimonianza della volontà della reggente che il giovane G. sedesse nella Camera dei conti è l'ultimo passo delle patenti che prevedeva espressamente che, in assenza del padre da Torino, il G. potesse sostituirlo, godendo dello stesso potere degli altri auditori.
Il 25 ag. 1658 il G. fu chiamato alla sovrintendenza degli Imposti generali alle caserme, in luogo dello scomparso Andrea Gastaldo. Dopo aver inutilmente tentato nel 1674 di ottenere la carica di contadore generale delle Finanze, il 12 sett. 1677 il G. presentò una supplica alla reggente Giovanna Battista di Nemours, vedova di Carlo Emanuele II, per poter assumere la carica di presidente delle Finanze, ma la richiesta fu rifiutata. I tempi per una promozione del G. erano però maturi e il 29 novembre la reggente lo nominò "consigliere di Stato e presidente del Patrimonio e delle Finanze" del giovane Vittorio Amedeo II. Il G. mantenne tale carica anche dopo l'effettiva assunzione del potere del giovane duca (1684), e questa costituì il vertice della sua carriera (il Patrucco, lo dice "presidente del Senato", ma ha equivocato sulla funzione legata al suo titolo di "presidente"). Consignore di parte di Romano, piccolo Comune del Canavese, grazie all'eredità materna nel 1687 consegnò l'arma di nobiltà. Fatto testamento il 23 dic. 1694, morì pochi giorni dopo.
Sposatosi con Caterina Carroccio - figlia primogenita del conte Pietro (morto nel 1677), senatore e, dal 1662, presidente della Camera dei conti - ne ebbe sei figli di cui quattro femmine. Il primogenito Ignazio (morto nel 1731), consigliere di Stato, pochi giorni dopo la morte del padre, il 13 genn. 1695, venne chiamato alla carica di presidente del Patrimonio e delle Finanze. Nel 1722 acquistò il feudo di Graglia con titolo comitale. Sposatosi con Paola Teresa Mestiatis, ed essendo tutti i loro figli morti in tenera età, beni e titoli dei Gabuti passarono al cognato Giulio Tommaso Mestiatis. Giovan Francesco, quintogenito del G., nacque a Ivrea nel 1659 e compì i suoi studi presso l'università di Torino, ove, laureatosi in teologia, il 16 maggio 1684 venne nominato "lettore straordinario dei legisti". Nonostante le patenti di nomina a tale incarico prevedessero che subentrasse alla prima cattedra ordinaria lasciata vacante, preferì la carriera ecclesiastica, tornando a Ivrea dove nel 1692 fu nominato canonico e vicario generale della diocesi. Vittorio Amedeo lo avrebbe voluto vescovo di Fossano ma egli rifiutò l'offerta, optando per la nomina a vicario generale dell'abbazia di S. Michele della Chiusa. Morì a Torino, nell'oratorio dei padri filippini, il 16 ag. 1729 in seguito ai postumi d'una caduta da cavallo avvenuta il 9 apr. 1728. Se ne conserva un busto nel duomo di Ivrea.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Torino, Corte, Lettere di particolari, G, mazzo 1 (vi sono conservate nove lettere del G. riguardanti la sua attività nell'amministrazione); Ibid., Patenti Controllo Finanze, Reg. 1658, cc. 8, 18, 86; Reg. 1658 in 1659, cc. 9, 202; Reg. 1660 in 1661, c. 251; Reg. 1671 in 1672, cc. 209, 259; Reg. 1677 2°, cc. 214, 215; Reg. 1679 in 1680, c. 83; Reg. 1681 in 1682, cc. 69, 175; Reg. 1684 in 1685, c. 138; Reg. 1688, c. 26; Reg. 1688 in 1689, c. 132; Reg. 1690 in 1691, cc. 15, 52, 95, 142, 211; Reg. 1691 in 1692, c. 27; Reg. 1692 in 1693, c. 81; Reg. 1694 in 1695, cc. 100, 159; Ibid., Senato, Testamenti pubblicati, XII, p. 4 (10 giugno 1661: testamento del padre Giovan Francesco); ibid., XXII, p. 163 (5 sett. 1730: testamento del figlio Ignazio). Diversi documenti riguardanti la famiglia Gabuti sono presenti nell'archivio dei conti Beraudo a Pralormo. Sulla famiglia, poi divenuta Gabuti di Graglia, vedi A. Manno, Il patriziato subalpino, dattil. nella Bibl. Reale di Torino, vol. Gab-Gav., pp. 18-20. Sulla carriera del G., cfr. G. Galli della Loggia, Cariche del Piemonte, Torino 1798, III, p. 170; C.E. Patrucco, Ivrea da Carlo Emanuele I a Carlo Emanuele III, in Studi eporediesi, Pinerolo 1900, pp. 201-235; sull'abate Giovan Francesco: G. Saroglia, Memorie storiche della Chiesa d'Ivrea. Cenni biografici, Ivrea 1881, p. 159.