CONCINI, Giovan Battista
Nacque a Firenze nel 1532 da Bartolomeo e Margherita Bartoli.
La sua carriera politica, nell'ultimo trentennio del sec. XVI, e l'incarico di primo segretario, che occupò per lungo tempo, furono in gran parte resi possibili dall'influenza del padre presso la corte medicea e presso i granduchi. Nonostante che il suo successo personale apparisse molto più limitato di quello del padre agli stessi contemporanei, la potenza raggiunta dal C. sotto Francesco I grazie all'attività politica e diplomatica riconfermavano l'ascesa sociale, oltre che economica, di una casa la cui origine, come molti ben sapevano a Firenze, appariva "assai umile, per non dir plebea, essendo i suoi avoli stati contadini a Terranuova in Valdarno" (Arch. di Stato di Firenze, Manoscritti, 752, n. 3).
La formazione del C., uomo di legge prima che uomo politico di rilievo presso i Medici, mostra notevoli analogie con quella di altri esponenti della vita politica fiorentina della fine del Cinquecento, sempre più spesso "uomini periti" che aristocratici di antica tradizione. Ricevette i primi insegnamenti dal precettore Giulio Poggiani. Fu in seguito avviato dal padre agli studi giuridici a Padova, dove ebbe maestro Guido Panciroli, e a Pisa, sotto la guida di Giulio Salerno e Girolamo Malavolti. Terminati gli studi fu per qualche tempo, nel 1560, lettore di diritto canonico presso l'università di Pisa ed ebbe una breve esperienza quale auditore della Ruota a Mantova. Angelo Fabroni ricorda la solida dottrina giuridica del C., approfondita grazie alle giovanili esperienze a Pisa e a Mantova: "nec dubitari sane potest ipsum fuisse juris utriusque peritissimum" (p. 143).
I primi successi del C. in campo politico si collocano nel periodo della maggiore influenza del padre presso la corte. La concessione del titolo di cavaliere di S. Stefano (8 marzo 1563) fu, ad esempio, motivata, anziché dai meriti personali del C., dai successi del padre presso il duca. Il primo incarico pubblico affidato al C. si ebbe nel 1569 e fu anch'esso determinato dalle relazioni sempre più strette di Bartolomeo con i Medici.
Il 13 dicembre, infatti, il C. funse da cancelliere nella solenne cerimonia, svoltasi al palazzo ducale davanti ai Duecento, in occasione del conferimento del titolo di granduca a Cosimo I da parte del papa Pio V. In tale occasione fu affidata proprio al C. la lettura della bolla pontificia con la quale si concedeva ai Medici il nuovo titolo.
Il vero e proprio ingresso del C. nella vita diplomatica e politica si verificò tuttavia nell'aprile 1571, quando venne inviato a Vienna, al seguito di Ludovico Antinori, ambasciatore residente presso la corte imperiale.
La missione di cui era incaricato, per quanto delicata, non sembrava presentare particolari difficoltà: il C. avrebbe dovuto collaborare coll'Antinori nel tentativo di appianare la controversia di precedenza fra il granduca e il duca di Ferrara che si trascinava alla corte di Vienna dal 1562.
Successo all'Antinori nella carica di residente, di fatto dal gennaio 1572 e ufficialmente dal febbraio 1573, alla morte di Cosimo I (1574) il C. fu incaricato dal nuovo granduca di stabilire con gli Asburgo rapporti politici e diplomatici più stretti, dopo i contrasti degli ultimi anni del governo di Cosimo.
Del riavvicinamento del granduca con gli Asburgo fu in gran parte artefice proprio il C., che, nel 1575, "presa la congiuntura, tanto si adoperò presso Sua Maestà Imperiale che ottenne da essa la conferma del titolo già conceduto a Cosimo di granduca di Toscana dal pontefice Pio V ... con gran soddisfazione del granduca e gran lode del Concini il quale tirò felicemente a fine per la corte toscana un sì rilevante negozio" (Mecatti).
Con il riconoscimento del titolo dei Medici da parte dell'imperatore, al quale nel 1576 seguiva quello di Filippo II, si profilava quell'avvicinamento fra la Toscana e gli Asburgo che avrebbe costituito per lungo tempo il fondamento della politica estera del granducato. La brillante soluzione della lunga ambasceria, che si concluse nel 1576, si rivelava anche decisiva per il successo stesso del C. e della sua famiglia. Egli si vedeva infatti riconfermato dall'imperatore Massimiliano II il titolo di conte della Penna, col quale Bartolomeo Concini aveva cercato di nobilitare la sua casa occultando le umili origini; rafforzava inoltre presso la corte medicea la potenza della sua famiglia, dopo che, con l'ascesa al trono di Francesco I, l'influenza del padre si era ridotta; infine riceveva in poco tempo dal granduca importanti riconoscimenti pubblici, decisivi nella sua carriera politica: infatti nello stesso anno 1576 il C. fu dapprima eletto senatore e, il 16 maggio, dopo la morte di Lelio Torelli, auditore della giurisdizione e primo segretario del granduca. Ormai il C. cominciava a venire nominato fra i pochi ministri nei quali "si riposa effettivamente tutto il governo di quello stato" (Relazioni inedite di ambasciatori lucchesi, p. 127).
Alla corte di Vienna fu nuovamente inviato nel 1577, insieme a Bernardo Canigiani e Bernardo Ricasoli, per annunciare all'imperatore la nascita del figlio del granduca, Filippo. Nel 1583 il C. venne nominato auditore dello Studio di Pisa in occasione della riforma dell'università. Anche nel 1589 ci si rivolse al C., come uomo di diritto, oltre che come influente personalità politica, per avere consigli circa il progetto di organizzazione dell'università di Siena, che sembrava preparato da "persone poco pratiche dello Studio" (Arch. di Stato di Firenze, Mediceo del principato, 1881, c. 94).
La carriera politica del C. proseguì con l'elezione a commissario di Pisa per gli anni 1586-87. Nel 1588 fu incaricato, con altri tre cittadini fiorentini, di "riordinare la civilità nello habito et in altro" (G. De' Ricci, 1972, p. 184). Nel luglio 1590 fu infine inviato di nuovo come ambasciatore residente presso la corte dell'imperatore a Vienna, cessando dalla carica nel giugno 1594. È probabile che dati a partire da questi anni il progressivo declino dell'influenza del C. presso il nuovo granduca Ferdinando I, nonostante che gli venga ancora attribuito, fino alla morte, il titolo di "segretario principale".
L'ambasciatore lucchese alla corte fiorentina riconosceva, nel 1600, come al C. restasse affidato l'incarico "di rivedere tutti i brevi ed exequatur che vengono da Roma, senza il consenso del quale non oserebbe niun ministro fare alcuno atto" (Relazioni di ambasciatori lucchesi, p. 127). Gliosservatori più informati sapevano tuttavia che, nell'opera di riorganizzazione e razionalizzazione compiuta da Ferdinando I ai vertici del governo e della burocrazia, il C. aveva perduto l'autorevolezza e l'influenza di cui aveva goduto sotto Francesco I. Chi confrontava infatti il suo potere con quello che aveva avuto un tempo il Torelli non poteva non riconoscere che mentre quest'ultimo aveva costantemente discusso con Cosimo I i memoriali e le suppliche su cui doveva apporre la firma come "segretario principale", il C., al contrario, sotto Ferdinando I, "ha solo avuto il nome della segnatura, non essendo mai intervenuto a negotiare in voce con Sua Altezza" (Archivio di Stato di Firenze, Carte Strozziane, s. 1, XV, c. 78).
Morì a Firenze il 5 dic. 1605.
Dalla moglie Camilla d'Antonio Miniati ebbe due figlie (Leonora e Lucrezia) e quattro figli: Carlo, Cosimo, Bartolomeo, Concino. Quest'ultimo fece fortuna presso la corte della regina di Francia ottenendo il titolo di maresciallo d'Ancre; Cosimo proseguì la carriera politica e diplomatica del padre. Bartolomeo, nato il 6 sett. 1565, fu nominato cavaliere di S. Stefano nel 1606;dopo aver ottenuto due incarichi diplomatici presso la corte di Francia nel 1608 e nel 1614, fu eletto senatore nel 1615; morì il 13 ott. 1629;dalla moglie Alessandra di Filippo Antinori non ebbe figli maschi. La famiglia Concini si estinse nel 1632 con la morte di Enrico di Concino.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze. Mediceo del principato, 1881. cc. 93-94; 4331, 4332, 4332a, 4333, 4334, 951, 2638 (le ultime due filze riguardano il figlio del C. Bartolomeo); Ibid., Carte Strozziane, s. 1, L, cc. 1-160; CCLXXIX, a, nn. 42-47; CCCI, b; CCCLIX, e, n. 3; Ibid., Manoscritti, 752, n. 3 (soprattutto su Concino Concini, ma con notizie sulla famiglia); Ibid., Magistrato supremo; 4313, c. 52; Archivio di Stato di Pisa, Tribuna del commissariato, 99; Nuntiaturberichte aus Deutschland, VIII, Wien 1897, ad Indicem; Relazioni inedite di ambasc. lucchesi, a cura di A. Pellegrini, Lucca 1901, pp. 127, 131; G. De'Ricci, Cronaca (1532-1606), a cura di G. Sapori, Milano-Napoli 1972, pp. 24, 32, 184, 192, 417, 508, 520, 530, 534, 537; S.Ammirato, Delle famiglie nobili fiorentine, Firenze 1615, pp. 138-150; G. M. Mecatti, Storia cronol. della città di Firenze, Napoli 1755, Il, p. 760; A. Fabroni, Historia Academiae Pisanae, Pisa, 1792, II, pp. 97, 143; A. Ademollo, Marietta de' Ricci, ovvero Firenze al tempo dell'assedio, a cura di L. Passerini, Firenze 1845, II, p. 467; D. Tiribilli-Giuliani, Sommario stor. delle famiglie celebri toscane, I, Firenze 1855, sub voce;P. Capei, Saggio di atti e documenti nella controversia di precedenza tra il duca di Firenze e quello di Ferrara negli anni 1562-1573, in Arch. stor. ital., n. s., VII (1858), 2, pp. 100 ss.; A. v.Reumont, Gesch. Toskana's seit dem Ende des Florentinischen Freiestaats, Gotha 1876, I, pp. 309, 323; M. Paiter, Toscani alla corte di Maria dei Medici regina di Francia, in Arch. stor. ital., XCVIII (1940), pp. 84 ss.; M. Del Piazzo, Gli ambasciatori toscani del Principato (1537-1737), Roma 1953, pp. 80 s., 137; G. Prunai, Lo Studio senese nel primo quarantennio del principato mediceo, in Bull. senese di storia patria, s. 3, LXVI (1959), pp. 86, 102 ss.;A. Morandini, Una missione di Troilo Orsini in Polonia per il granduca di Toscana, in Arch. stor. ital., CXXIII (1965), pp. 94 s.; F. Diaz, Il granducato di Toscana. I Medici, Torino 1976, pp. 175, 188, 203, 242, 251, 263, 271, 279, 281 ss., 309 ss., 318, 368, 500; P. Litta, Le famiglie cel. ital., tav. II, s. v. Concini.