MONTINI, Giorgio
MONTINI, Giorgio. – nacque il 30 giugno 1860 a Concesio in provincia di Brescia da un’aristocratica e agiata famiglia bresciana di solidi principi religiosi. Il padre Lodovico, medico e patriota, era uno dei pionieri dell’Azione cattolica diocesana; la madre, Francesca Buffali, era donna colta e pia.
Compì i suoi primi studi a Brescia per poi entrare nel collegio di Carpenedolo. La sua fanciullezza fu turbata dalla morte improvvisa del padre. Dopo aver trascorso un anno presso il collegio Vida di Cremona, completò gli studi secondari privatamente. Superato l’esame di maturità presso il liceo Tito Livio di Padova con la menzione onorevole, nell’autunno del 1877 si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza della stessa città.
Durante gli studi universitari si mantenne in contatto con gli ambienti cattolici di Brescia, dove si era fatto conoscere e apprezzare. Fin dal 1875 aveva aderito al Circolo dei Ss. Faustino e Giovita, fondato nel 1868 da mons. Pietro Capretti, uno dei più intelligenti promotori del movimento cattolico bresciano, e nel 1877 ne era divenuto il segretario; nel 1878 era entrato nel comitato diocesano dell’opera dei congressi, allora presieduto da Giuseppe Tovini che, cresciuto alla scuola di Capretti, condivideva con lui il desiderio di vedere risolta la questione romana, anche se, negli ultimi anni della vita, si sarebbe accostato a posizioni più intransigenti. Nel 1881 Tovini, considerate le qualità intellettuali e spirituali del giovane Montini, si adoperò perché gli fosse affidato il quotidiano cattolico Il Cittadino di Brescia, che proprio l’anno prima aveva avuto un’aspra polemica con altri giornali cattolici intransigenti, come l’Osservatore cattolico di Milano e l’Ordine di Como. La posizione del quotidiano bresciano, messa a punto dal gruppo che si raccoglieva attorno a Capretti e Tovini, era quella di chi riteneva necessario sostituire alla scelta del non expedit, la linea più aperta della «preparazione nell’astensione».
Assunta il 1° ottobre 1881 la direzione de Il Cittadino di Brescia, Montini evitò di alimentare le polemiche con i rappresentanti dell’intransigentismo, senza rinunciare alle proprie idee. L’articolo che pubblicò alla vigilia di Natale del 1881, dopo due mesi di direzione, mostra con chiarezza l’orientamento cui egli e i suoi collaboratori si sarebbero attenuti. Scriveva che, se come cattolici intendevano difendere le idee religiose dei padri, come cittadini si ripromettevano di concorrere lealmente al bene della patria.
Mentre dirigeva il giornale proseguì il suo lavoro nelle organizzazioni cattoliche, prima di tutto nel comitato diocesano, concorrendo alla nascita di comitati parrocchiali, società operaie, casse di mutuo soccorso. Di particolare efficacia il suo dinamismo risultò per il Circolo della gioventù cattolica bresciana di cui nel 1882 era divenuto segretario per assumerne, nel 1893, la presidenza. Sotto il suo sprone presero piede diverse opere come la biblioteca circolante delle Società operaie cattoliche (1882), le cucine economiche (1884), il dormitorio S. Vincenzo (1886). Nel solco dell’insegnamento di leone XIII, si batté per la promozione sociale delle classi più diseredate. La sua visione non si scostava, però, dalla dottrina sociale cattolica del tempo, improntata alle tesi di Giuseppe Toniolo, secondo cui la democrazia andava preferibilmente intesa come un ordine civile volto a favorire la composizione pacifica degli interessi contrapposti.
Abbastanza presto nel movimento cattolico bresciano si accesero alcuni dissidi tra il gruppo dei cattolici più tradizionalisti, che avevano portato dalla loro parte lo stesso Tovini ormai consumato dalla malattia, e il gruppo di chi era vicino a Montini. La causa che fece da detonatore fu il proposito del comitato diocesano di creare, nel 1895, una sezione giovani, nella cui istituzione i responsabili della gioventù cattolica videro l’intento di porre un freno alle loro iniziative. Le tensioni tra i due gruppi crebbero al punto che l’opera dei congressi sospese il comitato diocesano sino all’autunno del 1897.
Bisogna considerare il diverso modo di porsi dei sostenitori dei due gruppi di fronte alle elezioni amministrative e, in prospettiva, a quelle politiche. I favorevoli alla creazione del nuovo circolo giovanile si sentivano vincolati alla consegna della più ferma opposizione agli assetti usciti dal Risorgimento, mentre il gruppo che si riconosceva nella gioventù cattolica riteneva giunto il momento di esperire nuove vie, avviando, almeno a livello amministrativo, un’alleanza con le forze moderate non pregiudizialmente ostili alle principali rivendicazioni cattoliche.
Montini cominciò a stringere accordi con i moderati bresciani fin dal 1893, ma l’alleanza dette i suoi frutti maturi nelle elezioni amministrative del maggio 1895, quando la lista dei cattolici e dei moderati conseguì la maggioranza, ponendo fine, almeno per qualche tempo, al predominio del partito di Giuseppe Zanardelli.
Il 1° agosto 1895 Giorgio Montini sposò Giuditta Alghisi, proveniente da una famiglia di proprietari terrieri di Verolavecchia (Brescia), da cui avrebbe avuto tre figli: l’8 maggio 1896 Lodovico, il 26 settembre 1897 Giovanni Battista (destinato a coprire la cattedra di Pietro con il nome di Paolo VI) e il 22 settembre 1900 Francesco. Dopo la morte di Tovini (16 gennaio 1897), Montini divenne il capo riconosciuto del movimento cattolico bresciano, ma ben presto ottenne significativi riconoscimenti anche a livello nazionale. Nel novembre 1902 fu nominato membro effettivo del Terzo gruppo dell’opera dei congressi che si occupava dei problemi educativi e che dal 1889 aveva la propria sede a Brescia; nel 1903 il presidente dell’opera, Giovanni Grosoli Pironi, lo volle fra i membri del comitato generale dell’organizzazione quale rappresentante della Società dei giornalisti cattolici.
Tra le iniziative che, per impulso suo e di altri colleghi come Angelo Zammarchi, Nicolò Rezzara, Luigi Bazoli, sorsero nell’ambito dell’opera dei congressi, si ricorda la fondazione a Brescia, nel maggio 1904, dell’Editrice la Scuola, che venne specializzandosi nelle pubblicazioni di riviste e libri scolastici. Ma, nei mesi successivi, l’opera dei congressi, sempre più divisa dai contrasti fra la vecchia generazione dei Paganuzzi e quella dei cosiddetti giovani, conobbe una grave crisi, al punto che il 28 luglio 1904 la S. Sede decise di scioglierla. Al suo posto subentrarono l’Unione popolare, l’Unione economicosociale, e, infine, l’Unione elettorale, incaricata di orientare i cattolici nelle competizioni elettorali.
Dopo la chiusura dell’opera dei congressi, Montini seguì con simpatia l’iniziativa di Filippo Meda che aveva promosso un’Unione degli elettori cattolici amministrativi con l’idea di dar vita, in futuro, a un organismo politico sulla falsariga del Zentrum tedesco, un partito interclassista, ma non conservatore. L’operazione, guardata con diffidenza dalle autorità ecclesiastiche, fallì e Montini, che aveva consigliato di agire con prudenza, si dedicò per il momento alle vicende bresciane. Nelle elezioni amministrative del febbraio 1905, riannodati i fili con i moderati, riportava i cattolici alla guida della città, entrando egli stesso in consiglio comunale, per ricoprire, dal 1915 al 1920, anche la carica di assessore. Nel 1905 era altresì chiamato dal vescovo a presiedere il comitato diocesano.
Dopo avere contribuito alla fondazione dell’Editrice la Scuola, nel 1906 Montini dette il suo convinto appoggio alla costituzione dell’associazione magistrale Nicolò Tommaseo, che avrebbe svolto un importante ruolo nella formazione professionale e culturale dei maestri. Oberato dai molteplici impegni, nel 1911 lasciò la direzione de Il Cittadino di Brescia. La sua aspettativa continuava, tuttavia, a essere quella che i cattolici potessero finalmente entrare nell’agone politico. Nel 1913, insieme con Bazoli, Meda e Angelo Giuseppe Roncalli, sottoscriveva il memoriale redatto da Nicolò Rezzara auspicante la formazione di una «deputazione in senso cattolico», nella quale era adombrata l’idea di un vero e proprio movimento cattolico nazionale.
Nel 1915, alla vigilia dell’entrata dell’Italia in guerra, Montini fu cooptato nel Consiglio dell’Unione popolare, che, in virtù dell’ultima riforma dell’Azione cattolica italiana, aveva il compito di coordinare le diverse organizzazioni cattoliche, e nell’ottobre del 1917 fu nominato presidente dell’Unione elettorale. Fra i primi atti da lui compiuti in questa veste vi fu la circolare con la quale, all’indomani della sconfitta di Caporetto, invitava i presidenti dei comitati regionali dell’Unione elettorale a mettersi a servizio della patria in armi. La permanenza di Montini alla guida dell’Unione elettorale fu però molto breve, poiché nell’estate del 1918 le precarie condizioni di salute lo costrinsero a dimettersi.
Lo scenario sociopolitico stava, intanto, mutando. Negli ultimi mesi del 1918, forte anche del lavoro effettuato dall’Unione elettorale, don Luigi Sturzo poneva le basi di una presenza organizzata dei cattolici in politica e il 18 gennaio 1919 lanciava l’appello «a tutti gli uomini liberi e forti», che segnò l’avvio del Partito popolare italiano (PPI). Dopo quell’appello Montini, insieme con altri amici come Giovanni Maria Longinotti, Carlo Bresciani e Bazoli, fondò il Partito popolare a Brescia.
Le sue posizioni, tuttavia, non collimavano esattamente con quelle di Sturzo. Mentre, infatti, il sacerdote siciliano pensava che il PPI dovesse nascere nella prospettiva di un definitivo superamento dell’idea del «partito cattolico » ed elaborare una proposta politica che si facesse interprete dei bisogni complessivi del paese, Montini, che pure non condivideva la visione del partito confessionale sul tipo di quello auspicato da padre Agostino gemelli e mons. Francesco Olgiati, stimava che la nuova organizzazione dovesse muoversi nel solco dell’Unione elettorale e in stretto rapporto con le varie realtà cattoliche, senza per altro escludere che, sul piano della tattica elettorale, potessero stabilirsi accordi con altri raggruppamenti.
Con le elezioni del novembre 1919 Montini entrò alla Camera, dove fu nuovamente eletto nel 1921. Nel novembre del 1922, dopo la marcia su Roma, Mussolini era incaricato di formare il nuovo governo, nel quale entrarono anche i popolari, nonostante la contrarietà di Sturzo. Preso atto delle dichiarazioni del presidente del Consiglio, Montini si attestò su una posizione di attesa, nella speranza che, attraverso la normale dialettica politica, fosse ancora possibile condizionare il fascismo. La speranza però venne delusa. All’indomani del quarto congresso del PPI celebrato a Torino (12-14 aprile 1923), Mussolini ruppe la collaborazione con i popolari e il 10 luglio 1923 Sturzo, ormai sfiduciato dalle autorità ecclesiastiche, si dimise da segretario del partito, proprio quando giungeva in discussione il progetto della legge Acerbo, volta a modificare il sistema elettorale in senso maggioritario. Durante il dibattito alla Camera i popolari confermarono la loro opzione per il sistema proporzionale, ma, al momento del voto sui vari ordini del giorno, alcuni di loro si dissociarono e vennero espulsi dal partito. Montini visse questa vicenda con profonda amarezza, tanto più che, se era lungi dal sottoscrivere il filofascismo di alcuni popolari come Paolo Mattei gentili, diceva di non potersi riconoscere del tutto neppure nella linea dell’organo del PPI Il Popolo: «Sono – egli scriveva al figlio Giovanni Battista – un centrista impenitente, in tutte le vicende nelle quali mi trovo coinvolto. È destino!» (Pazzaglia, 2009, p. 73).
Ai primi del 1924 Mussolini sciolse la Camera e indisse per il successivo 6 aprile nuove elezioni. Montini era orientato a non ripresentarsi, ma la dirigenza del partito, la cui guida era passata nelle mani di Alcide De Gasperi, lo convinse a entrare in lista ed egli fu di nuovo eletto.
A dispetto delle disposizioni fasciste De Gasperi riuscì a far celebrare a Roma, nel giugno del 1925, il quinto congresso del partito, ma, alla fine dell’anno, preferì lasciare la segreteria. A quel punto la direzione del PPI venne assunta da una ‘pentarchia’, mentre la guida del gruppo parlamentare venne affidata a un direttorio del quale entrò a far parte anche Montini. All’inizio del 1926 fra i deputati popolari si discusse se non fosse il caso di abbandonare la linea aventiniana. Dopo qualche esitazione, Montini si schierò con chi avrebbe voluto proseguire la protesta, anche se poi si adeguò alla decisione della maggioranza del gruppo favorevole al rientro in aula. Il 9 novembre 1926 la Camera, su pressione di Mussolini, stabilì che i deputati dei partiti antifascisti erano da ritenersi decaduti.
Privato del mandato parlamentare, Montini si ritirò a Brescia per dedicarsi alla promozione delle opere cattoliche della città come il Pensionato scolastico e l’Editrice la Scuola, della quale fu a lungo consigliere e dal 1938 presidente.
Restava vivo comunque in lui l’interesse per le vicende del paese e della Chiesa, delle quali aveva, tra l’altro, modo di discorrere con i figli, in particolare con i due maggiori, Lodovico e Giovanni Battista, ormai impegnati in rilevanti ruoli pubblici. L’opposizione di Montini al fascismo si fece sempre più netta, anche se non mancò di riconoscere a Mussolini il merito d’essere pervenuto, nel 1929, a sottoscrivere con la Chiesa i Patti del Laterano.
Per molti uomini della sua generazione, la soluzione della questione romana costituiva la coronazione di un sogno. non c’è, pertanto, da stupirsi che, appresa la notizia di quegli accordi, Montini telegrafasse a Giuseppe Dalla Torre: «Ringrazio Dio di vedere realizzato accordo che in tutta mia vita giornalistica avevo auspicato»; così come non sorprende che, a sua volta, il direttore de L’Osservatore romano gli rispondesse: «Esultanza cattolici italiani ricorda con gratitudine valorosi pionieri» (Pazzaglia, 2009, pp. 109 s.).
Morì a Concesio il 13 gennaio 1943.
Fonti e Bibl.: le carte di Montini sono conservate presso l’Archivio dell’istituto Paolo Vi di Brescia, Fondo G. Montini. Per gli studi riguardanti la sua figura cfr. G.M. Longinotti, G. M. nel suo tempo. Commemorazione tenuta a Roma il 15 marzo 1943, Città del Vaticano 1943; A. Cistellini, Giuseppe Tovini, prefazione di S.E. mons. G.B. Montini, Brescia 1954, passim; G. M. Note biografiche, a cura di A. Fappani, Brescia 1968; id., G. M. Cronache di una testimonianza, prefazione di R. Manzini, Roma 1974; A. Fappani, M. G., in Dizionario storico del Movimento cattolico in Italia, ii: I protagonisti, Casale Monferrato, pp. 399 s.; O. Cavalleri, Idee e movimenti politici a Brescia nell’età zanardelliana (1876-1903), Brescia 1989, ad ind.; F. De giorgi, Il significato storico della figura e dell’opera di Giuseppe Tovini, in L’autonomia. Quaderni di cultura politica, I (2009), 2, pp. 98-104; G. Montini - G.B. Montini, Affetti familiari, spiritualità e politica. Carteggio (1900-1942), a cura di L. Pazzaglia, Brescia-Roma 2009.