DORIA, Giorgio
Nacque a Genova, da Melchiorre e da Marietta Spinola, intorno al 1524. Il padre partecipò attivamente alla politica cittadina della prima metà del secolo XVI, ma la vita dei D. fu precocemente condizionata dalla presenza dello zio, il famoso Antonio, anche se forse è difficile credere a Paolo Partenopeo che lo vuole presente alla spedìzione di Tunisi del 1535.
Le prime notizie sicure sul D. riguardano comunque un suo impegno, nel 1552, nel reclutamento di truppe per conto della Spagna; ma significativo è che l'anno successivo si trovi nelle Fiandre, con lo zio, nella campagna estiva segnata dagli assedi (e dalle vittorie) di Therouanne e di Hesdin, partecipazione per la quale Carlo V gli concesse il 1º giugno 1554 una piccola rendita.
L'esperienza acquisita gli valse di lì a pochi anni la nomina a capitano delle truppe genovesi in Corsica durante la campagna del 1558-1559: "giovane di grande speranza" è definito dal Filippini, mentre il Merello ne parla in termini altrettanto elogiativi: "capitano di molta stima si delle cose di mare si della terra"; questo farebbe supporre che l'apprendistato militare del D. non fosse avvenuto solo nelle Fiandre, ma probabilmente anche sulle galere.
Nel 1562 il D. ritornò in Corsica, incaricato di fortificare San Fiorenzo; nel novembre del 1564 fu inviato dalla Repubblica a trattare con don Garcia de Toledo l'aiuto spagnolo alla conduzione della guerra nell'isola. Nel frattempo il D. sposò Chicchetta Spinola.
Nel luglio del 1566 fu confermato nell'ufficio di Corsica e l'anno successivo fu inviato su un altro fronte considerato sempre come molto delicato da parte della Repubblica, vale a dire Sarzana.
Gli affari suoi e dei fratello Pier Francesco, che in questi armi acquistò notorietà come capitano di galera, dovevano andare piuttosto bene se, sempre nel 1567, acquistarono dai Grimaldi il feudo di Montaldeo (nell'Alessandrino), di cui, alla morte del fratello, il D. resterà unico proprietario. Affari e guerra proseguivano parallelamente. Il D. non aveva smesso di occuparsi della Corsica in rivolta sotto la guida di Sampiero della Bastelica: egli sarebbe stato tra coloro che avevano progettato una congrua ricompensa per chi avesse ucciso il ribelle. Certo è che il D. a metà maggio del 1568 prima si vide onorato di un decreto che lo rendeva immune da gabelle (su vitto e vestiario) per i meriti acquisiti nella pacificazione e dieci giorni dopo fu nominato generale di Corsica, con l'incarico di sottomettere definitivamente l'isola, dopo i fallimenti del suo predecessore.
Dosando capacità negoziale e abilità militare, il D. riuscì nel compito affidatogli. Le lettere che inviò in questo periodo alla Signoria sono ricche di informazioni: con relativamente pochi soldati doveva condurre rapide ed efficaci azioni per tagliare i rifornimenti ai ribelli asserragliati sui monti ("per cacciar li ribelli di detti forti non bisogna far altro che perseguitar quelli che stanno alla campagna"); ma al contempo il D. insisteva sulla "riconquista" pacifica, col perdono a tutti i costi, in modo da isolare gli irriducibili; e con la mediazione del vescovo di Sagona riuscì a far capitolare anche Alfonso d'Ornano. Segno del legame che si era ormai creato tra il D. e l'isola fu la sua decisione di acquistarvi diversi appezzamenti agricoli.
Il ritorno a Genova segnò anche una svolta nella vita del D. che, lasciate le armi, si dedicò alla politica. Ma più significativa delle cariche ufficiali raggiunte in questi anni (fu nominato tra i Padri del Comune nel 1573 e dell'ufficio di Terraferma nel dicembre del 1574) fu la sua partecipazione, tra la fine del 1573 e i primi del 1574, ad un organismo non ufficiale, ma forse di maggior potere: la deputazione dei nobili "vecchi", che doveva svolgere funzioni di direzione e organizzazione politica (e nel caso anche militare), vista la situazione di crisi creatasi all'interno del patriziato. Una delle prime mosse di questa deputazione fu di cercare adesioni tra i ceti non nobili, in modo da staccarli dai nobili "nuovi". Vi fu una qualche imperizia nell'iniziativa, ciò che doveva restare segreto fu conosciuto, si istruì addirittura un processo informativo, poi tutto fu lasciato cadere.
Il conflitto nobiliare non si placava, anzi con gli inizi del 1575 raggiunse l'acine: il D. insieme col cugino Giovanni Battista (figlio di Antonio Doria) si preoccupò di far venire uomini da Santo Stefano per la "difesa" delle case, ma, di fronte alla vasta e pacifica insurrezione popolare, non fu possibile utilizzarli. All'arrivo del cardinale Morone, inviato dal papa con il compito di mediare tra i due gruppi nobiliari ed impedire l'esplodere di un conflitto militare, il D. fu incaricato di partecipare alle trattative ufficiali. Ma alle trattative poco credevano entrambi i gruppi in lotta, sicché esse risultarono del tutto sterili. Nel frattempo, perciò, il D. cercò di operare in modo che i nobili "nuovi" perdessero il consenso che erano riusciti a conquistarsi tra i ceti non nobili: un moto antifiscale agli inizi di maggio palesò non solo le difficoltà di governo dei "nuovi", ma anche come la deputazione dei "vecchi" avesse cercato di soffiare sul fuoco latente, sia pure con risultati molto inferiori a quelli sperati.
Dagli atti del processo intentato in questa occasione (e che costerà al D. una condanna alla pena capitale per lesa maestà) emerge con chiarezza che vi poteva essere ben poco di comune tra nobili "vecchi" e ceti "popolaric questi chiedevano sgravi fiscali e una rappresentanza per terzo nel governo della città, il D. avrebbe risposto loro "che non volevano terzo ma che volevano il loro luogo come avevano sempre avuto... perché erano trecento o quattrocento anni che loro avevano sempre avuto la metà del governo" (Archiviosegr. 2982).
Anche in conseguenza della condanna, nel maggio del 1575 il D. si trasferì a Finale dove si era raccolta la maggior parte della nobiltà "vecchia" per organizzare il tentativo di ritornare a Genova con le armi; alla fine di agosto il D. si recò a Napoli con Giovan Battista Spinola per ottenere da don Giovanni d'Austria l'autorizzazione ad aprire le ostilità. La guerra fu breve; prevalse ancora una volta il sistema delle trattative e della mediazione. Il riconoscimento formale del ruolo giocato durante il breve periodo della guerra civile è dato dall'inclusione del nome del D. tra quelli del Maggior e del Minor Consiglio, e del "seminario" (da cui si sarebbero sorteggiati in futuro i governatori della Repubblica), così come vennero stabiliti durante le trattative internazionali di Casale.
Alla fine del 1576 il D. fu chiamato tra i "trenta elettori" (carica temporanea, ma di grande potere: lo sarà nuovamente nel 1584 e nel 1588). Nel maggio del 1577 fu nominato commissario a Sestri Ponente. Nel maggio del 1579 la Repubblica decise di inviarlo presso l'imperatore, al fine di dirimere l'annosa questione di Finale e per cercare di impedire che cadesse direttamente, e totalmente, in mano spagnola.
Molteplici erano le preoccupazioni "per l'essere situato quello stato nelle viscere del nostro", non ultima quella della costruzione di un porto commerciale che potesse mettere in discussione i consolidati privilegi della casa di S. Giorgio: La missione a Praga fu sostanzialmente un insuccesso, poiché ogni decisione in proposito era già stata presa e alla fine di novembre il D. fece ritorno a Genova (dopo un breve soggiorno a Milano e a Montaldeo).
Nel settembre del 1580 il D. fece parte di una commissione che stilò un rapporto sulla repressione del banditismo; nel dicembre dello stesso anno fu nuovamente eletto nell'ufficio di Terraferma; nel 1584 fu chiamato a far parte dei Conservatori delle leggi (lo sarà ancora nel 1588). Nel 1585 ricevette un nuovo incarico diplomatico (anche se di minore responsabilità): fece parte dell'ambasceria di omaggio a Sisto V (ma si doveva anche discutere dei tesi rapporti con l'inquisitore a Genova). Gli ultimi incarichi mettono in risalto l'esperienza e il prestigio ormai raggiunti dal D.: nel 1587 era tra i deputati alla costruzione delle mura cittadine verso mare; nel 1588 fu incaricato di svolgere un'inchiesta tra la nobiltà "per vedere di trovar denari".
Morì a Genova l'11 nov. 1590. Ironia della sorte volle che fosse sorteggiato governatore il 28 novembre.
Fonti e Bibl.: Genova, Arch. Doria, nn. 552-561, 565, 572, 609; sc. 230, n. 1496, b. 4; sc. 231, n. 1497, b. 5; sc. 234, n. 1500, b. 19; sc. 236, n. 1502, b. 26; sc. 588; Ibid., Archivio abbaziale di S. Matteo, Liber matrimoniorum; Archivo general de Simancas, Estado, 1120, 1416; Arch. di Stato di Genova, Archivio segreto, 820, 826, 1965, 2529, 2530, 2707D, 2715, 2975, 2976, 2982; Ibid., Camera 52; Ibid., Corsica 338, 508, 1248, 1315; Ibid., Macritti, 437, 652, 653; Ibid., Notai, Gio. Francesco Valdetaro, sc. 358, f. 17; Francesco Tubino, sc. 240, f. 11; Benedetto Musso, sc. 295, f. 1; Leonardo Chiavari, sc. 289, f. 29; Ibid., Notai giudiziari 619; Ibid., Senato, Sala Senarega 10, 1441; Ibid., Senato, Sala Foglietta 1098; Genova, Archivio storico del Comune, ms. 22, c. 666; ms .284, c. 446r; ms. 299; Ibid., Bibl. giuridica P. E. Bensa, ms. 92.4.10: M. Gentile, Diario, pp. 44, 48, 216, 295, 501, 584, 607, 609, 618; Leges novae Reipublicae Genuensis, Mediolani 1576, cc. 29r, 34v, 36r; A. P. Filippini, La historia di Corsica, Tournon 1594, pp. 356, 506 ss., 514 ss.; M. Merello, Della guerra fatta da' Francesi e de' tumulti suscitati poi da Sampiero della Bastelica nella Corsica, Genova 1607, pp. 340-352, 568-575; F. Casoni, Annali della Repubblica di Genova del secolo decimosesto, Genova 1799, III, pp. 138, 140, 151, 220-225; IV, pp. 54, 111 s., 126, 145; P. Partenopeo, Annali, Genova 1847, p. 138; A. Roccatagliata, Bellum Cyrnicum, Bastia 1887, pp. 68 ss., 104 s.; Inventione di Giulio Pallavicino di scriver tutte le cose accadute alli tempi suoi (1583-1589), a cura di E. Grendi, Genova 1975, p. 190; Ph. Marini, Après la mort de Sampiero, in Bull. de la Société des sciences historiques et naturelles de la Corse, XXXVI (1919), 393-396, pp. 78 ss.; G. C. Doria, Nota genealogica su G. D., in Arch. stor. di Corsica, III (1927), pp. 295 ss.; F. Poggi, Le guerre civili di Genova in relaz. con un documento economico-finanziario dell'anno 1576, in Atti della Soc. lig. di st. patria, LIV (1930), pp. 122, 153; R. Russo, La ribellione di Sampiero Corso, Livorno 1932, pp. 297 ss.; V. Vitale, Breviario della storia di Genova, Genova 1955, I, pp. 224, 252 s.; G. Doria, Uomini e terre di un borgo collinare dal XVI al XVIII secolo, Milano 1968, ad Ind.; R. Savelli, La Repubblica oligarchica. Legislazione, istituzioni e ceti a Genova nel Cinquecento, Genova 1981, pp. 71, 95, 110, 116.