CONN (Conaeus, Conneo, Caune), Giorgio
Di nobile famiglia scozzese, ferventemente cattolica, nacque verso il 1598 da Patrick di Auchry, vicino a Turriff, nella contea di Aberdeen, e da Isabella Chyn di Esselmont.
Inviato giovanissimo a studiare a Douai, proseguì gli studi presso i gesuiti nel Collegio Scozzese di Parigi e di Roma, terminandoli a Bologna. Durante il suo soggiorno in questa città, divenne precettore di Galeotto Pico, figlio del duca Alessandro della Mirandola. A questa esperienza risale la sua prima opera, il breve trattato De institutione principis, pubblicata a Reggio nel 1621 e appunto dedicata al duca della Mirandola. Nel 1623 il C. si recò a Roma per tentare la carriera curiale, entrando a far parte dei familiari dei cardinal Montalto, Alessandro Peretti, nipote di Sisto V. Alla morte dei cardinal Montalto, avvenuta nello stesso 1623, entrò a far parte della famiglia di Francesco Barberini, da poco assunto alla porpora cardinalizia dopo l'elezione al pontificato di Urbano VIII, suo zio. Tutta la successiva attività del C. si svolse sotto la protezione di questo potente cardinale. Nel 1625, quando il Barberini fu inviato legato a latere in Francia per tentare, invano, di risolvere la spinosa questione della Valtellina, egli fu al suo seguito; l'anno successivo lo accompagnò ugualmente durante la sua legazione in Spagna presso Filippo IV.
L'unico benefizio di cui fu sicuramente insignito fu un canonicato nella basilica di S. Giovanni in Laterano. Gli anni del suo soggiorno romano furono occupati, oltre che dalla sua attività presso il cardinal Barberini, dalla composizione di alcune opere di controversia religiosa. Tra di esse, il De duplici statu religionis apud Scotos, pubblicato a Roma nel 1628e dedicato al cardinal Barberini, in cui si esalta lo stato della religione in Scozia prima della Riforma, paragonandolo a quello successivo all'avvento del protestantesimo, e gli Asserrionum catholicarum libri tres, pubblicati sempre a Roma nel 1629 e dedicati ad Urbano VIII: si tratta di un'opera rivolta alla conversione dei protestanti. Il tono apologetico ne è accentuato dalla duplice dedica al lettore cattolico e al lettore eretico, affinché sia illuminato e receda dal suo errore. La sua opera più nota fu, però, una vita di Maria Stuarda, scritta anch'essa in latino, e pubblicata a Roma e contemporaneamente a Würzburg nel 1624, opera accentuatamente apologetica nei confronti della regina scozzese, e che trova posto nella storia del mito cattolico della tragica morte della Stuarda.
Inserito nell'ambiente dotto raccolto intorno al cardinal Barberini, il C. prese nel 1624 posizione a favore del Galilei nella disputa che lo opponeva al giurista ravennate Francesco Ingoli, autore di una confutazione del sistema copernicano.
La risposta del Galilei all'Ingoli del settembre 1624rappresentava una sostanziale riaffermazione della validità del sistema copemicano, nonostante il divieto che gli era stato imposto nel 1615di professare il copernicanesimo, ed aveva suscitato notevole scalpore negli ambienti romani. Una lettera di Mario Guiducci al Galilei, scritta da Roma nel novembre del 1624, gli raccomanda appunto la conoscenza personale del C., "gentiluomo scozzese che serve il Sig. Card.le Barberino" che "l'altra mattina nell'anticamera" discorreva della risposta all'Ingoli, "lodandolo estremamente; ma biasimava bene all'incontro l'Ingoli, il quale non solo si fusse messo a scrivere d'una materia la qua le non intendeva, ma in oltre avesse forzato V. S. a rispondergli... e conchiudeva che tutte quelle staffilate gli stavano molto bene" (G. Galilei, Opere, ediz. naz., XIII, p. 229). Il C. non doveva certamente rischiare molto ad esprimere tali opinioni nel clima di apertura che contraddistinse l'inizio del pontificato di Urbano VIII. Anni dopo, infatti, durante la sua missione in Inghilterra, incaricato dallo stesso cardinal Barberini d'impedirvi la venuta dell'esule Campanella, il C. si adopererà con successo ad applicare le direttive di repressione dei fermenti intellettuali eterodossi, caratteristiche invece della fase successiva del pontificato dei Barberini. Dei suoi legami con gli ambienti intellettualmente più vivi della Roma dei Barberini è una prova ulteriore il fatto che il 10 dic. 1625egli fu preso in considerazione per la candidatura lincea.
L'avvenimento più importante della vita del C. fu la sua missione alla corte di Enrichetta Maria, moglie di Carlo I Stuart, missione durata circa tre anni dal 1636 al 1639. Oltre che alla sua fama di controversista, dovuta alle sue opere, il C. dovette tale incarico alle pressioni dei sovrani inglesi che lo conoscevano indirettamente attraverso i contatti che egli manteneva, nel suo soggiorno romano, con gli inglesi di passaggio a Roma, come risulta da una lettera di G. Panzani del 9 apr. 1636 (Barb. lat. 8636, f. 264rv). La missione faceva immediato seguito ad una precedente del prete Gregorio Panzani, strettamente legato agli ambienti oratoriani, che era stato inviato a Londra nel 1634, per iniziarvi trattative con la corte inglese sul problema dei rapporti tra la Chiesa d'Inghilterra e quella romana.
La missione dei Panzani era di notevole importanza per il destino del cattolicesimo in Inghilterra: si trattava infatti di far leva sull'influenza della cattolicissima regina Enrichetta Maria sul re, per impedire la persecuzione dei cattolici e per arrivare ad un accordo sul problema della formula del giuramento di fedeltà al sovrano, rifiutato dai cattolici nella forma in cui veniva preteso; e si trattava inoltre di saggiare il terreno per stabilire l'opportunità o meno di creare un vescovo cattolico in Inghilterra.
Al Panzani, che non aveva ottenuto alcun risultato concreto, anche perché avversato dai gesuiti, succedeva nel luglio 1636 il C.: alla partenza aveva dovuto rinunziare al canonicato, perché la corte inglese esigeva che l'inviato presso la regina non rivestisse cariche ecclesiastiche. In cambio, gli era stato promesso il cardinalato, per cui Enrichetta Maria e lo stesso Carlo I premeranno più volte in seguito, ed il cui raggiungimento gli verrà impedito dalla morte, avvenuta un mese dopo il suo rientro a Roma. Contemporaneamente alla missione del C. in Inghilterra, veniva inviato a Roma lo scozzese William. Hamilton come agente della regina.
Notizie interessanti sulla missione dei C. e su quella precedente del Panzani si desumono dalla relazione dell'ambasciatore veneto Angelo Correr, che scrive però nell'ottobre 1637, quando ancora il C. non aveva potuto dare gran prova di sé, anche se i termini delle trattative erano ormai ben chiari: "Egli sarà difficile giudicare quello che detto Conneo sia per fare, persona taciturna e cortigiano di qualificata condizione: due cose a parer mio saranno per nuocergli, l'una la sagacità che se gli legge in fronte che certo ingelosirà quella gente sospettosa e che sempre teme di essere ingannata; l'altro l'essersi troppo accostato ai gesuiti, i quali è comune opinione (confessata dal medesimo Panzani) che nonostante il loro apparente predicato zelo, siano per esser contrari alla riconciliazione, niente meno che i puritani, per non scadere da quel dominio che tra' Cattolici di presente godono" (Relazione d'Inghilterra di Angelo Correr..., pp. 362 s.).
La permanenza del C. in Inghilterra è descritta minutamente nelle sue lettere inviate al cardinal Barberini (Barb. lat. 8639-8644) e al suo procuratore in Roma, Antonio Ferragalli (Barb. lat. 8645). Partito da Roma nel maggio del 1636 con ricchi doni per la regina, tra cui un quadro di Annibale Carracci, il C. giunse a corte il 25 luglio; qui ebbe anche frequenti contatti con il sovrano.
Anche se le trattative sui problemi connessi alla formula del giuramento non giunsero ad un esito positivo, la presenza del C. alla corte di Enrichetta Maria fu determinante nell'accentuare l'atteggiamento di favore di Carlo I verso i cattolici; il favore del sovrano nei confronti del C. fu tale da determinare voci su una conversione segreta di Carlo I: "e vi è stato un puritano in Corte - scriveva il C. il 12 genn. 1638 - che ha detto, che il Re medesimo si confessa da me" (Barb. lat. 8642, f. 85v), e sottolineava l'assurdità di una tale voce, riferita a lui che prete non era. Del resto lo stesso C. sottolinea sovente, nelle sue lettere, l'inclinazione favorevole dei sovrano verso una riunione delle Chiese e il felice esito di questa sua politica: "per grazia di Dio non solo la quiete, ma la sicurezza dei Cattolici cresce giornalmente, e crescerebbe più se sapessero usare prudenza in governarsi", scriveva il 25 giugno 1638 (ibid., f. 253v).
Il C. riuscì, inoltre, ad accentuare l'impulso di propaganda religiosa della regina, che trasformò la sua cappella in una vera e propria chiesa cattolica per i convertiti. Soprattutto le conversioni avvenute in quel periodo suscitarono molto scalpore tra i protestanti, e, tra queste, quella di lady Newport fu oggetto di una grave crisi: "Madame Neuport vive con tanta esemplarità, che confonde il Marito e tutti gli altri nemici della nostra Santa fede. Si querelò meco l'altro giorno con lagrime della malignità d'alcuni, quali la calunniavano, come se in luogo d'andar alla messa andasse a visitar huomini" (ibid., f. 17r: lettera dell'8 genn. 1638). Questa propensione della corte verso il cattolicesimo suscitò le reazioni dei protestanti, e il Laud tentò di spingere il re ad emanare leggi più severe miranti a frenare le conversioni e a limitare il ruolo della cerchia cattolica della regina. Il proclama emanato da Carlo I dopo lunghe esitazioni fu, però, assai moderato. Inviandone copia al cardinal Barberini, l'8 genn. 1638, il C. scriveva che questa proclamazione "dopo un indugio di tre mesi, per veder, se nasceva qualche pretesto per fuggirla, è uscita tanto mite, che pare più presto un avvertimento paterno, che una minaccia a' Cattolici, e quello che mi dispiace, per tale viene già interpretata dalla parte heretica" (ibid., f. 14r).
Il soggiorno del C. in Inghilterra durò fino al 9 sett. 1639: gli successe il conte Carlo Rossetti, la cui missione doveva essere assai più movimentata di quella del C., ma che, comunque, al suo arrivo, trovava la corte assai incline al cattolicesimo e il segretario di Stato Windebank parlare "non da Protestante, ma da Cattolico zelante" (Barb. lat. 8646: lettera del 16 sett. 1639).
Poco dopo il suo rientro a Roma, il C. moriva, il 10 genn. 1640. Fu sepolto nella chiesa di S. Lorenzo in Damaso con una lunga iscrizione commemorativa apposta a cura del cardinal Barberini.
Opere: De institutione principis tractatus brevis..., Regii 1621; Vita Mariae Stuartae Scotiae reginae..., Romae 1624 (e Wirceburgi 1624); De duplici statu religionis apud Scotos..., Romae 1628; Assertionum catholicarum libri tres ... , Romae 1629. Il carteggio del C. con il cardinale Francesco Barberini è contenuto nell'Arch. Segr. Vaticano, nei codd. Barb. lat. 1636-1639); il carteggio con il suo procuratore in Roma Antonio Ferragalli è contenuto nel codice Barb. lat. 8645 (anni 1634-1639).
Fonti e Bibl.: Relazione d'Inghilterra di Angelo Correr ambasciatore a Carlo I (1637), in Relazioni di ambasciatori veneti al Senato, a cura di L. Firpo, I (Inghilterra), Torino 1965, pp. 329 ss.; T. Dempater, Historia ecclesiastica gentis Scotorum..., Bononiae 1627, pp. 170-172; L. Allacci, Apes Urbanae..., Romae 1633, pp. 125-127; I. Nicius Erythraeus [G. V. Rossi], Pinacotheca..., I, Coloniae Agrippinae 1645, pp. 132 s.; L. E. Dupin. Table univers. des auteurs eccliésiastiques..., II, Paris 1704, c. 1795; V. Forcella, Iscrizioni delle chiese... di Roma..., XIII, Roma 1879, p. 279; L. Amabile, Fra Tommaso Campanella ne' castelli di Napoli, in Roma ed in Parigi..., II, Napoli 1887, p. 232; G. Gabrieli, Il carteggio linceo..., II (1610-24), in Mem. della R. Acc. naz. dei Lincei, cl. di sc. mor., stor. e fil., s. 6, VII (1941), 3, p. 964; L. von Pastor, Storia dei papi..., XIII, Roma 1961, ad Indicem; Dict. of Nat. Biography, IV, pp. 945-946; Dict. de théol. cath., III, col. 856.