GIANGIACOMO Paleologo, marchese di Monferrato
Primogenito del marchese Teodoro II e di Giovanna, figlia di Roberto duca di Bar, nacque (a Trino nel Vercellese, secondo Irico) il 23 marzo 1395.
Il padre volle che G. fosse coinvolto sin dalla fanciullezza negli affari di Stato: già il 10 marzo 1404 il suo nome figura infatti accanto a quello di Teodoro nella convenzione da questo stipulata con i duchi di Milano, figli di Gian Galeazzo Visconti, per la restituzione di Casale. Dal marzo 1410, poi, G. - allora appena quindicenne - cominciò a fare esperienza di governo, sostituendo il padre che nel settembre dell'anno precedente era stato eletto capitano di Genova; lo vediamo così, per esempio, il 20 marzo 1410 convocare contingenti militari e il 25 ottobre nominare funzionari nelle località soggette.
Già il 7 e il 23 sett. 1400 Amedeo VIII di Savoia aveva proposto il matrimonio di G., ancora fanciullo, con una figlia, anch'essa bambina, del principe Amedeo d'Acaia, privo di eredi maschi, aprendo così a G. la prospettiva di una futura successione nel principato. Tale ipotesi venne però presto accantonata e una seconda pratica nuziale venne iniziata nel dicembre 1406: G. avrebbe sposato Giovanna, sorella minore di Amedeo VIII, di tre anni maggiore. La misura della dote venne fissata il 23 marzo 1407 in 60.000 fiorini, mentre Teodoro II si impegnava a lasciare comunque in eredità il Marchesato al primogenito anche se gli fossero nati altri figli. L'accordo fra le parti venne sanzionato il 13 aprile e la dote fu garantita sui redditi di Trino, Palazzolo e Fontaneto, cui l'8 dic. 1408 vennero aggiunti quelli di Casale Monferrato. Il 4 genn. 1411 le Comunità del Marchesato si tassarono per le somme destinate a costituire il dono nuziale di G., il quale il 14 aprile da Pontestura invitava i rappresentanti del Comune di Chivasso alle sue nozze. Il matrimonio fu celebrato a Chivasso il 21 aprile. La prima rata della dote (che doveva però essere anche l'ultima) venne versata il 24 aprile. Dal matrimonio nacquero: Giovanni (24 giugno 1413), Guglielmo (19 luglio 1420), Bonifacio (13 giugno 1424), Teodoro (14 ag. 1425), Isabella (7 sett. 1427) e Amedea (agosto 1429). Si ha inoltre notizia di un altro figlio, di cui non conosciamo il nome, nato prima del 16 genn. 1419 ed evidentemente non sopravvissuto.
Nel corso del 1411 G. continuò a prendere decisioni di governo come luogotenente del padre: concesse aiuti in viveri ai Genovesi, mise in guardia i sudditi contro i "ribaldi" asserragliati in Carrù, fece opera di pacificazione tra le fazioni di Ovada, convocò più volte il Parlamento del Marchesato a Moncalvo e ripartì i sussidi in denaro da esso votati. Solo nell'ottobre 1413 gli affari interni del Marchesato tornarono nelle mani di Teodoro, ormai disimpegnato dalle cure genovesi.
Almeno dal marzo del 1411 G. sottoscrisse i documenti come "comes Aquosane", titolo di nuova istituzione destinato ai principi ereditari; esso gli fu espressamente confermato il 26 marzo 1414 in Acqui con un diploma dell'imperatore Sigismondo, che in quell'anno soggiornò per circa quattro mesi in territorio monferrino, ospite dei marchesi di Monferrato.
Teodoro II morì il 26 apr. 1418 e il potere passò nelle mani di G., che il 17 giugno venne ufficialmente investito del Marchesato dall'imperatore Sigismondo che fece seguire dieci giorni dopo la conferma dei privilegi già concessi a Teodoro.
Nei mesi successivi G. fu impegnato in azioni militari al confine con il territorio genovese contro il doge Tommaso Fregoso, al quale, in accordo con il duca di Milano Filippo Maria Visconti, cercava di sottrarre almeno qualche briciola dei domini al di qua del Giogo. Il 15 luglio comunicò infatti la presa di Spigno e, in agosto, la sua intenzione di rivolgersi contro Ponzone richiedendo ripetutamente per questo nuovi contingenti militari e nuovi contributi in denaro al Parlamento convocato a tale scopo. L'impegno militare perdurò sino al maggio successivo, quando fu stipulata una pace con Genova nella quale G. figurava come aderente del duca di Milano. Forte delle recenti conquiste, riconfermò nell'area appenninica la sua autorità sui marchesi Del Carretto e su altri piccoli signori. Ma già nel mese di giugno si ebbe un riavvicinamento ad Amedeo VIII che con la scomparsa di Ludovico d'Acaia, avvenuta il 12 dic. 1418, aveva ormai esteso la sua autorità anche al Principato di Piemonte.
Il 29 marzo 1420 il Parlamento monferrino, riunito come al solito a Moncalvo, approvò un sussidio in denaro per dotare la sorella di G., Sofia, destinata a sposare il primogenito dell'imperatore di Costantinopoli; il matrimonio, pur collocandosi nel solco dei tradizionali rapporti tra i Monferrato e la corte bizantina, era in realtà connesso agli interessi della politica sabauda. Si trattava peraltro di un legame destinato a non durare; respinta dal marito, infatti, Sofia fece ritorno in Monferrato nel novembre 1426.
Per quanto il Marchesato fosse ormai di fatto un protettorato sabaudo, esso era in balia da un lato della politica priva di scrupoli di Amedeo VIII e dall'altro dell'atteggiamento, nello stesso tempo capzioso e minaccioso, del duca di Milano, due potenze tra le quali G. correva il rischio di essere schiacciato. Una prova delle prevaricazioni di Amedeo VIII nei confronti del cognato è offerta dalla successione al ducato di Bar-le-Duc, in Lorena, che nel 1425, venuta meno la discendenza maschile, sarebbe spettata a G. in quanto figlio di Giovanna, primogenita di Roberto di Bar; egli inviò il figlio Guglielmo, che aveva allora cinque anni, ma durante il viaggio il bambino fu intercettato dal duca di Savoia e trattenuto con diversi pretesti presso la corte di Thonon per ben due anni, impedendogli così di raccogliere un'eredità che sarebbe stata molesta per gli interessi sabaudi.
Sempre nel 1425, sullo sfondo della politica di equilibrio fra gli Stati italiani, prese avvio la vicenda che, nelle intenzioni di Amedeo VIII, doveva portare al completo assorbimento del Marchesato del Monferrato da parte dei duchi di Milano e di Savoia. Nel dicembre Firenze e Venezia si allearono per contrastare l'espansionismo di Filippo Maria Visconti sollecitando l'adesione anche di Amedeo VIII e di G.; il primo aderì infatti l'11 luglio 1426 e nella breve guerra che seguì contro il Visconti acquistò terre fra Biella e Vercelli. G. al contrario credette più prudente attendere, per non dare motivi di aggressione al Visconti, con il quale continuava a condurre trattative; nella pace di Ferrara del 30 dic. 1426 egli figurò quindi compreso nella Lega solo come "aderente" di Amedeo VIII.
Costui, dopo una breve ripresa della guerra, il 2 dic. 1427 si accordò con il duca di Milano avendone Vercelli e dandogli in sposa la figlia Maria. G., che aveva continuato a intrattenere contemporaneamente rapporti con Milano e con Venezia senza saper decidere da che parte schierarsi, si rese così sospetto a entrambi gli interlocutori, e soltanto il 13 apr. 1428 finì per accordarsi con i Veneziani dietro promessa di aiuti e dell'invio di un commissario in Monferrato. Il Visconti considerava però G. non compreso nella Lega e nel corso del 1429 aumentò contro di lui le provocazioni mostrandosi chiaramente intenzionato a rifarsi sulle sue terre delle perdite che Venezia gli aveva inflitto nella Lombardia orientale.
I rapporti con Milano peggiorarono ancora nel 1430: G., sempre assistito dal denaro della Lega, organizzò la difesa, ma dovette guardarsi dalle insidie dei suoi stessi collaboratori; il capitano generale di Monferrato, Giovanni Turco, venne infatti arrestato e poi impiccato il 19 dicembre per intese segrete con il nemico. Nel febbraio 1431, con la ripresa della guerra fra Venezia e il Visconti, le ostilità si aprirono anche in Monferrato con scorrerie reciproche. Con l'assenso veneziano in primavera G. occupò le terre dei signori di Cocconato, dei Turco e del vescovo di Asti, alleati del Visconti, ma le forze monferrine a sinistra del Po si sbandarono di fronte agli avversari. Nel contempo Amedeo VIII e il duca di Milano stipularono un patto segreto che mirava a spartirsi il Marchesato ai danni di G.; questi reagì intrigando nascostamente in Francia contro il Savoia, che con un minaccioso intervento sventò l'iniziativa militare intrapresa da G. il 16 giugno contro Asti.
Nell'agosto G. tentò un'altra azione altrettanto sfortunata contro Genova in accordo con il fuoruscito Barnaba Adorno; mentre una flotta veneziana sconfiggeva i Genovesi a Rapallo, le truppe inviate a Sestri da G. venivano facilmente debellate il 9 ottobre da Niccolò Piccinino al servizio del Visconti. La situazione precipitò il 29 ottobre, quando questi scatenò contro G. la compagnia di Francesco Sforza, il quale, dopo aver occupato con facilità le terre monferrine oltre il Tanaro, invase anche il territorio fra Tanaro e Po; lo stesso G. l'8 dicembre fu costretto a rifugiarsi a Chivasso, mentre il 10 dicembre lo Sforza occupò Casale. Poco dopo anche Amedeo VIII, rinfacciandogli gli intrighi antisabaudi orditi in Francia, gli dichiarò solennemente guerra, ma nel contempo gli offrì il suo aiuto come parente e amico: G. avrebbe dovuto rinunciare a combattere e mettere le terre che gli rimanevano sotto la protezione sabauda recandosi a conferire con Amedeo a Thonon.
G. non aveva altra scelta che accettare e già l'8 genn. 1432 Ottonino di Lavigny si installò a Moncalvo come capitano generale di Monferrato per conto del duca di Savoia, mentre sulle 28 località non ancora occupate venne innalzata la bandiera sabauda. Il 31 gennaio, insieme con il primogenito Giovanni e con pochi fidi, G. giunse a Thonon mettendosi totalmente nelle mani del cognato, con il quale il 13 febbraio firmò un patto segreto: Amedeo si impegnava a restituirgli il Marchesato e G., in compenso, a donargli il territorio a sinistra del Po e a destra del Tanaro, da concedere in feudo al primogenito; per tutte le rimanenti terre avrebbe dovuto dichiararsi in perpetuo "aderente" dei Savoia.
Mentre il figlio Giovanni ritornava a Chivasso, dove era rimasta la marchesa, G. dal castello di Gaillard, presso Thonon, dove soggiornava, si diresse, attraverso Berna, il Tirolo e la Valsugana, a Venezia dove giunse il 17 maggio accolto con benevolenza dal doge Francesco Foscari che gli assegnò un appannaggio di 300 ducati il mese.
Intanto il regime d'occupazione sabaudo in Monferrato organizzava un vero e proprio sfruttamento delle località soggette: dal 14 agosto al 19 febbr. 1435 il Parlamento venne spesso riunito con il solo scopo di estorcere ufficialmente denaro, e si giunse sino al prelievo di ostaggi provocando tra le popolazioni angariate numerose sollevazioni che fu necessario reprimere con le armi.
Il 26 apr. 1433, sottoscrivendo la nuova pace di Ferrara, il Visconti fu costretto ad accettare la restituzione dei territori monferrini da lui occupati, pur ritardandola con ogni genere di pretesti. Il 22 settembre G. era presente in Mantova come testimone a un diploma dell'imperatore Sigismondo, e di là iniziò il viaggio di ritorno nelle sue terre; dopo essere stato onorevolmente ricevuto in Milano dal Visconti, l'11 dicembre giunse a Casale. In gennaio, mentre ancora erano in corso le trattative per la restituzione delle terre occupate dal Visconti, Amedeo VIII chiese il rispetto degli impegni di Thonon cui G. cercò in tutti i modi di sottrarsi, anche rivolgendosi a papa Eugenio IV, all'imperatore Sigismondo e al Visconti. Vistosi infine completamente isolato, col pretesto di indisposizioni fisiche, il 21 novembre inviò ad Avigliana e poi a Torino, con numerosa scorta, il figlio Giovanni, che il 29 fu autorizzato a trattare in nome del padre con Ludovico di Savoia, luogotenente di Amedeo VIII in Piemonte.
I Sabaudi pretendevano 300.000 fiorini di indennizzo per le spese di occupazione sostenute e l'osservanza dei patti di Thonon (in parte soltanto verbali) e che i Monferrini fingevano di ignorare. Dopo che era stata richiesta imperiosamente la presenza di G. in persona, il 7 genn. 1435 il figlio Giovanni venne arrestato, mentre un corpo di esercito pose l'assedio a Chivasso. G. chiese al presidio di resistere almeno sei giorni; anche se il figlio fosse stato condotto davanti alle mura, piuttosto di cedere lo si lasciasse uccidere: "ne abbiamo degli altri", scrisse fieramente. Ma dovette infine piegarsi: il 21 gennaio era a Torino e il 24 sottoscrisse l'applicazione degli accordi di Thonon, solo lievemente temperati da un intervento del Visconti, e che comunque comportavano la cessione dell'importante piazza di Chivasso al duca di Savoia, di cui G. divenne così praticamente vassallo. Il 7 agosto di quello stesso anno G. diede in moglie la figlia Isabella a Ludovico di Saluzzo, e il 12 giugno 1436 Giovanni di Monferrato - fermi restando i patti di Torino - contrasse con Ludovico di Savoia una lega che mirava alla conservazione delle terre viscontee contro Venezia sottoscrivendo una clausola segreta nella quale si prometteva il vassallaggio anche per gli eventuali futuri acquisti in Lombardia alla morte del Visconti. G. aveva superato penosamente il momento più drammatico della sua vita: se il Marchesato era sostanzialmente salvo, il prestigio era perduto, le popolazioni dissanguate e immense erano le spese da affrontare per la ricostruzione. A tale scopo papa Eugenio IV il 15 sett. 1436 concesse a G. di riscuotere sussidi in denaro anche dagli enti ecclesiastici.
Nel 1442, durante la guerra del Finale, G. favorì la ribellione (poi fallita) dell'Adorno contro i Fregoso, mantenendosi però fuori della lotta.
Morì a Casale il 12 marzo 1445 e fu sepolto nella chiesa dei frati minori. Il governo passò al primogenito Giovanni.
All'inizio del 1441 la morte in terre lontane della figlia Amedea (che nel settembre 1437 aveva sposato Giovanni di Lusignano, figlio del re di Cipro) diede occasione all'umanista Guiniforte Barzizza di indirizzare a G. una lettera consolatoria in versi: egli appare dunque come un protettore della nuova cultura letteraria; si può anzi pensare che per suo interessamento sia sorta in Casale una scuola umanistica dal momento che in quegli stessi anni Antonio Astesano, già professore di retorica a Pavia, dedicò a G. il primo libro delle sue Elegie. Dopo il passaggio di Chivasso ai Savoia, Casale ospitava di preferenza la corte marchionale, G. ebbe così occasione di interessarsi anche allo sviluppo di innovative opere pubbliche, concedendo il 4 febbr. 1440 il suo appoggio alla concentrazione dei quattro antichi ospedali in un unico complesso, progetto che trovò realizzazione nei decenni successivi.
Segni di progresso artistico si notano anche nelle scarse monete coniate sotto il governo di G.: ne sono note tre soltanto in quasi trent'anni di dominio, né risulta possibile distinguere se siano state battute nell'antica Zecca di Chivasso o nella nuova di Casale, ma in ogni caso esse "superano in delicatezza d'incisione tutte le antecedenti" (Promis, p. 21).
G. non fu, come a prima vista le sue disavventure politiche e militari potrebbero far credere, un inetto e un imbelle, semplice vaso di coccio fra vasi di ferro: certo, già svantaggiato dall'intrinseca debolezza della sua posizione, ebbe la sfortuna di dover competere con maestri dell'intrigo come Amedeo VIII di Savoia e Filippo Maria Visconti e, nel campo militare, con i massimi condottieri del tempo: Niccolò Piccinino e Francesco Sforza. Il cronista Galeotto Del Carretto lo definisce "piacevole, pio, benigno, facondo, gioioso e pieno di virtù" (col. 1230); tale breve ed encomiastico profilo contrasta in parte con alcuni tratti delle sue attitudini e dei suoi gusti che emergono dai carteggi sabaudi, milanesi e veneziani.
L'8 giugno 1428 G., per esempio, confessava di non essere "un sapientone" e non saper fare "dei bei discorsi". Una certa perizia militare gli fu riconosciuta dal Visconti che, sempre nel 1428 (sia pure solo come espediente politico) gli offrì il grado di capitano generale dei suoi eserciti. Mostrò, come si è visto, energia, condannando l'infedele Giovanni Turco, e fierezza, nel resistere nel 1435 al proditorio assedio di Chivasso.
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