BRUSTOLON, Giandomenico
Nacque a Venezia nel 1747 da Giovanni Battista, di "onesta famiglia" originaria del Cadore. Mostrò precoce predisposizione allo studio delle scienze e alla vita religiosa, avviandosi ben presto alla carriera ecclesiastica e distinguendosi come panegirista durante le celebrazioni di varie festività nelle chiese veneziane, tanto da divenire uno dei più richiesti oratori del suo tempo. Ordinato prete e laureatosi in giurisprudenza, continuò l'opera di educatore dei fanciulli già da tempo intrapresa come chierico della chiesa parrocchiale e collegiata di S. Canciano a Venezia. Conosceva varie lingue, scriveva versi, e numerosi tra gli "elogi" e le "orazioni gratulatorie" da lui dedicati a illustri personaggi politici e religiosi del suo tempo furono dati alle stampe (tra i più citati, l'Elogiofunebre dell'eccellentissimo Flaminio Corner amplissimo senatore,recitato tra li solenni uffizj precedenti la tumulazione nel giorno 29dec. 1778, Bassano 1779, e l'Orazione gratulatoria in nome del clero diocesano a mons. Gius. Maria Bressa vescovo di Concordia,quando nel 1815 rinunciava al patriarcato di Venezia, Padova 1817).
Chiamato dal Senato della Repubblica veneta, insegnò diritto civile nell'Accademia dei Nobili della Giudecca fino al 1797, allorché gli statuti giacobini soppressero quel convitto non più rispondente al nuovo spirito democratico. La breve esperienza giacobina (durata dal maggio all'ottobre di quell'anno e conclusasi con Campoformio) dovette deludere il B., come si nota nel suo scritto principale: L'uomodi Stato ossia Trattato di politica, apparso a Venezia in due volumi nel 1798 (I: Della politica pubblica, in 2 tomi; II: Della politica privata).
L'opera, sin dal "Ragionamento proemiale", si presenta come una puntigliosa revisione moderata dei principî politici del secolo che andava chiudendosi, pur richiamandosi spesso alle più caute posizioni illuministiche. Fonti della scienza politica sono ancora la "morale" e la "ragione", che egli sa conciliare con la condanna di ogni uso "critico" del concetto di stato di natura e di ogni utilitarismo non mediato da una visione religiosa della vita. Fondamentalmente antilluministica è la sua concezione: il popolo deve restare ignorante dei principi della politica, che lo renderebbero "ardito con evidente pericolo della pubblica tranquillità" (I, 1, p. XV). Il B. suggerisce perciò che nei regimi democratici la sovranità popolare sia ridotta all'elezione dei rappresentanti, che dovrebbero costituire un collegio di ottimati scelti tra "li cittadini più illuminati e più colti" (I, 1, p. 16). Costoro soltanto, ai quali è dedicata l'opera del B., sono tenuti alla conoscenza della politica. Questa è definita dal B. come la "scienza che dall'ottimo conoscimento de' sociali rapporti deduce li mezzi più conducenti ad un fine di proprio vantaggio senza lesione dell'onestà" (I, 1, p. XI). Di qui la distinzione netta, che ha fatto parlare qualcuno di apertura verso il liberalismo costituzionale, tra politica "pubblica" e politica "privata" (la prima definita come "la scienza de' mezzi più propri a felicitare onestamente gli stati", la seconda come la scienza "che i mezzi più acconcj discuopre a felicitare onestamente nelle società la vita di un cittadino"; ibid.). Nel prendere posizione circa le origini del potere, il B. afferma che il formarsi della società ha provocato la perdita dell'uguaglianza e della libertà originarie, le quali non sono tuttavia dei "diritti naturali", ma acquistano realtà giuridica solo nello stato sociale; infatti nello stato di natura gli uomini "erano uguali soltanto nel non dipendere da nessuno" (I, 1, p. 12) e a tal riguardo confuta Hobbes e Rousseau (I, 1, pp. 17-26). Indiscutibile è per il B. la sovranità del monarca o del collegio degli ottimati-rappresentanti: ed egli polemizza con violenza contro chi sostiene l'"inabdicabilità" dei presunti "diritti naturali", quasi che i nostri progenitori fossero soltanto usufruttuari dei doni della natura, sì che non potessero rinunciare alla loro primitiva indipendenza (I, 1, p. 29). Di qui la sua condanna del tirannicidio e di ogni forma di resistenza contro chi abusa del potere legislativo od esecutivo (I, 1, pp. 35-36). La forma di governo che il B. preferisce è la monarchia limitata da una camera munita di poteri deliberativi. La religione positiva (oltre alle leggi) è fondamento necessario dell'esistenza di uno Stato, e la migliore religione è quella che "più le passioni reprima", identificata nella cristiana (I, 1, p. 48). Una perciò deve essere la "religion dominante"; inconcepibile è la tolleranza "teologica" di altri credi: solo quella "politica" è ammissibile, ma con molte limitazioni (I, 1, pp. 53-56). In polemica col Filangieri sostiene pure una certa limitazione della libertà di espressione; ma compito dello Stato è anche quello di reprimere ogni forma di superstizione e di fanatismo (I, 1, p. 76). La religione e le leggi sono i cardini di ogni società, e il B. vuole che un "mutuo appoggio si prestino il Sacerdozio e l'Impero, il soglio e l'altare" (I, 1, p. 80). Dal Filangieri riprende la distinzione tra "bontà assoluta" e "bontà relativa" delle leggi e dal Beccaria la condanna della tortura. Egli vuole inoltre "che l'imposizione de' gravami sia giustamente allibrata con le pubbliche esigenze, e col potere de' sudditi; che la distribuzione delle imposizioni mantenga ne' cittadini contribuenti la possibile uguaglianza con geometrica proporzione; che le regole costituite per la collazion degli onori non prediligano che il solo merito" (I, 1, p. 91). Con Locke è poi per un'educazione antipedantesca, ritenendo che coi fanciulli "usar debbasi della ragion per condurli" e contro Rousseau è per l'insegnamento precoce della religione (I, 2, pp. 54-56). Dal Filangieri riprende ancora il principio che il merito intellettuale e non la classe sociale debba decidere la qualità e il proseguimento o meno degli studi, eventualmente a spese dello Stato. Riprendendo un'idea corrente nel Settecento, il B. sostiene l'opportunità di un continuo incremento della popolazione (I, 2, p. 95); entrando poi nella vecchia polemica sul lusso, si fa sostenitore dell'utilità di questo e respinge le critiche secondo cui il lusso accresce la discriminazione nella distribuzione delle ricchezze (I, 2, pp. 178-187). Il secondo volume dell'opera è più direttamente dedicato alle massime morali e pedagogiche che debbono fare di un giovane aristocratico un "uomo di Stato". La religione e l'amor di patria sono per il B. i fondamenti dell'educazione. L'uomo di Stato non deve concedere alle classi inferiori "una soverchia familiarità", pena il disprezzo e l'insubordinazione di queste (II, p. 20). Fondamentale è infine per il B. il fatto che l'uomo di Stato "non ecceda i limiti di quel diritto che a lui fu accordato dalla Suprema autorità" (II, p. 210); asserzione questa, tuttavia, che esprime un intento conservatore più che la preoccupazione che l'esecutivo scavalchi e prevarichi il legislativo (II, p. 215).
Il ritorno, nel 1806, delle truppe francesi nel Veneto trovò il B. arciprete a Motta di Livenza, in provincia di Treviso. Carica, questa, che ricoprì, continuando la sua attività di facondo oratore, dal luglio 1804 fino alla sua morte, avvenuta il 1º ag. 1817
Fonti e Bibl.: Novelle letterarie di Firenze, n.s., X (1779), coll. 185-188; G. Moschini, Dellal etteratura veneziana del secolo XVIII fino a' nostri giorni, I, Venezia 1806, p. 247; E. A. Cicogna, Saggio di bibl. veneziana, Venezia 1847, pp. 405, 546, 796; Id., Delle inscrizioni veneziane..., V, Venezia 1842, pp. 599, 600; VI, 1, ibid. 1853, pp. 37, 49, 51 (riferisce il Cicogna che notizie sul B. sono pure in certi "cataloghi manoscritti de' preti veneziani illustri" di Sante Valentina, in suo possesso, dei quali una copia andò allaBibl. del Semin. patriarcale di Venezia); G. Dandolo, La caduta della Repubbl. di Veneziaed i suoi ultimi cinquant'anni. Studi storici, Venezia 1855, pp. 224 s.; F. Cavalli, La scienza politica in Italia, Venezia 1881, pp. 186-190; G. Soranzo, Bibliogr. venez. compilata da G. S. inaggiunta e continuazione del "Saggio" di E. A.Cicogna, Venezia 1885, pp. 336, 366, 512; G. Ricca Salerno, Storia delle dottrine finanziario inItalia, Padova 1960, pp. 264 s.; S.Rota Ghibaudi, La fortuna di Rousseau in Italia, Torino 1961, pp. 272-275; C. v. Wurzbach, BiographischesLexikon d. Kaisertums Oest., II, p. 181.