GIULIANI, Giambattista
Nacque a Canelli, nell'Astigiano, il 4 giugno 1818 da Paolo e Maddalena Ghione, in una famiglia di modeste condizioni; il suo nome di battesimo era Jacopo, mutato in Giambattista all'atto della professione religiosa (nel 1836, a Fossano, presso il collegio dei padri somaschi, dove aveva terminato gli studi, iniziati ad Asti).
Dopo il suo ingresso nella congregazione, il G. si dedicò intensamente allo studio della logica e della matematica, e già nel 1838 era professore di "filosofia razionale" (cioè di matematica, logica e metafisica) nel collegio Clementino di Roma; nel frattempo frequentava all'Università i corsi di fisica di S. Barlocci, e di matematica, in particolare quelli di B. Tortolini e I. Calandrelli, con i quali si legò d'amicizia.
Alla fine del 1839 passò a insegnare filosofia nel collegio di S. Antonio a Lugano. Nel settembre 1840 fu prescelto dai confratelli per partecipare al congresso degli scienziati italiani a Torino, dove conobbe C. Cantù, L. Cibrario e P.A. Paravia. Nel 1841 pubblicò a Lugano, a uso di quel liceo, un Trattato elementare di algebra. Il libro era dedicato al preposto del collegio di Lugano, M.G. Ponta, il quale, datosi agli studi danteschi, alla fine del 1841 incaricò il G., che dall'agosto di quello stesso anno aveva dovuto interrompere l'insegnamento per motivi di salute, di un viaggio in varie città d'Italia per consultare diversi letterati sull'interpretazione di passi controversi della Commedia. Il G. passò così a Roma e si stabilì (1842-43) a Napoli, dove conobbe C. Troya, B. Puoti, P. Borelli, G. De Cesare e Giuseppina Guacci. Tornato a Roma (1844-45), decise di abbandonare gli studi scientifici per quelli danteschi, fece amicizia con il pittore C. Vogel von Vogelstein e con lo scultore P. Tenerani, e conobbe M. Caetani e S. Betti.
A questi incontri sono collegati i suoi esordi letterari, nei quali si profilano le direttrici della sua attività successiva. Così, la Biografia del già ricordato fisico S. Barlocci (Roma 1845) costituisce il congedo del G. dagli studi scientifici, mentre il discorso (pronunciato all'Accademia Tiberina e stampato in opuscolo a sé, ibid. 1845) Sopra il "Deposto di Croce" scolpito da P. Tenerani è un tipico esempio di critica d'arte retorico-classicheggiante di ascendenza giordaniana (nel 1847 il G. tornò sull'opera dell'amico in un altro discorso letto alla Tiberina, Sopra l'angelo della Risurrezione scolpito da P. Tenerani). Nel Ragionamento sopra un quadro di C. Vogel di Vogelstein rappresentante la Commedia di Dante Alighieri (ibid. 1844) l'esame/esposizione dell'opera figurativa cede il posto all'evocazione, ancora prevalentemente retorica, del testo dantesco, a cui il G. s'era già avvicinato con interessi eruditi (Dei pregi di alcune nuove applicazioni dell'orologio di Dante immaginato e dichiarato da M.G. Ponta, ibid. 1844). Il problema della collocazione storico-ideologica della Commedia è invece affrontato dal G., in una prospettiva nel complesso neoguelfa, nei discorsi (letti alla Tiberina) Della riverenza che Dante Alighieri portò alla somma autorità pontificia e Del veltro allegorico della Divina Commedia, volti rispettivamente a mostrare la fondamentale ispirazione cattolica del poema e a individuare dietro l'allegoria del veltro la figura del papa Benedetto XI (ibid. 1845 e 1846): ristampati con aggiunte a Torino nel 1847, furono riuniti nell'opuscolo Del cattolicismo di Dante e del veltro allegorico della Divina Commedia (Savona 1851).
Nel settembre 1846 il G. partecipò al congresso degli scienziati a Genova, dove fece rumore (anche se non fu accettata, per evitare incidenti diplomatici con l'Austria) la sua proposta di far inserire nei lavori della sezione di storia una discussione sulla Divina Commedia quale più antico e alto documento della nazione italiana. Nominato socio corrispondente dell'Accademia delle scienze di Torino, nel 1847 ebbe la cattedra di filosofia morale all'Università di Genova, dove all'insegnamento unì un sempre più aperto impegno patriottico, stabilendo rapporti, tra gli altri, con V. Gioberti e A.-F. Ozanam, e partecipando alle manifestazioni per l'elezione di Pio IX e a quelle per le successive vicende belliche (cfr. la prosa Rendimento di grazia a Dio per la vittoria di Milano, [Genova] 1848, celebrativa della cacciata degli Austriaci da Milano il 22 marzo, e la Allocuzione indirizzata nel maggio 1848 a V. Gioberti in visita a Genova nel corso di un suo viaggio di propaganda). Soppressa la facoltà di filosofia dell'ateneo genovese (ottobre 1848), il G. prese la cattedra di eloquenza sacra, che tenne fino al 1859.
In questi anni, oltre a dedicarsi, nella sua qualità di docente di eloquenza sacra, alla composizione di diverse orazioni celebrative, il G. proseguì gli studi danteschi, cercando di ricondurli a sistematicità e unità metodologica. Nella raccolta Alcune prose di G. Giuliani (Savona 1851), infatti, l'orizzonte neoguelfo della sua lectura Dantis è ribadito non solo dalla dedica del libro a C. Balbo ma soprattutto dalla scelta dei testi ristampati nella prima sezione (pp. 3-145) del volume, che si apre con il ricordato discorso sul cattolicesimo di Dante (pp. 3-55). La parte più cospicua del libro (pp. 147-345), però, è costituita da un lungo scritto, pubblicato anche a sé, dal titolo programmatico Dante spiegato con Dante, ossia Proposta e saggio di un nuovo commento della Commedia di Dante Alighieri (Genova 1851), ampio commento dei primi due canti e di diversi passi dell'Inferno preceduto da una veloce premessa metodologica (una parte del lavoro era già stata pubblicata dal G. nell'opuscolo Saggio di un nuovo commento della Commedia, ibid. 1846; un Nuovo saggio, con l'illustrazione dei primi due canti del Paradiso, fu pubblicato in opuscolo a Firenze nel 1854). Riproponendo una formula già presente negli scritti di V.M. Borghini e in una lettera a L. Magalotti dell'accademico della Crusca F. Ridolfi, il G. intendeva applicarla sistematicamente, con l'intento di realizzare un commento alla Commedia in cui tutte le opere dantesche fossero utilizzate per l'esegesi del poema. Per realizzare tale progetto risultava preliminare la rivendicazione dell'autenticità dell'epistola dantesca a Cangrande Della Scala (cfr. la lettera a C. Cantù, in polemica con F. Scolari, pubblicata dal G. sulla Gazzetta di Venezia, 1847, n. 235), al fine di ricavarne la chiave per l'interpretazione del poema (Del metodo di commentare la Divina Commedia. Epistola di Dante a Cangrande della Scala interpretata da G. Giuliani, Savona 1856).
Agli interessi danteschi del G., all'intensificarsi dall'inizio degli anni Cinquanta dei suoi rapporti con intellettuali toscani (tra cui, in particolare, G. Capponi e P. Fanfani) e alla circostanza che dal 1853 per motivi di salute ebbe occasione di soggiornare ripetutamente in Toscana è legato il delinearsi di un altro filone di ricerche da lui coltivato, quello dello studio del "vivente linguaggio toscano" quale riflesso e continuazione della lingua degli scrittori del Trecento (Dante in primis). A tali ricerche, raccolte in una prima, provvisoria sistemazione nell'opuscolo Sul moderno linguaggio della Toscana. Lettere (Torino 1858), su cui tornò più volte in seguito, il G. si dedicò sempre più intensamente nell'ultima fase della sua attività.
Fondato nel 1859 a Firenze l'Istituto di studi superiori, il G. fu chiamato (anche per interessamento di G. Capponi) a insegnarvi e il 22 dicembre dello stesso anno ebbe la nomina per la cattedra di eloquenza e poesia italiana, appositamente istituita per l'esposizione e il commento della Divina Commedia e che tenne fino ai suoi ultimi giorni. Si stabilì, pertanto, definitivamente a Firenze, alternando la permanenza in città durante l'anno accademico a lunghi soggiorni in una piccola villa che aveva acquistato a Cozzile, in Valdinievole, da dove partiva per frequenti esplorazioni linguistiche delle parlate delle campagne e delle montagne toscane. Nel 1865, per il centenario dantesco, compì un viaggio in Francia, Inghilterra e Germania intervenendo alle principali celebrazioni e fece parte della commissione inviata da Firenze a Ravenna per assistere al riconoscimento delle ossa di Dante. Nel 1872 fu eletto accademico della Crusca.
Ottenuta la cattedra fiorentina, il G., ribadita l'interpretazione neoguelfa di Dante nella prolusione Delle benemerenze di Dante verso l'Italia e la civiltà (Firenze 1860), tra il 1865 e il 1882 si dedicò a un ambizioso progetto di edizione dell'intero corpus dantesco che doveva essere insieme strumento e risultato della sua attività esegetica, intensa ma nel complesso di modesto valore: La Vita nuova e il Canzoniere di Dante commentati da G. Giuliani (ibid. 1863 e successive rist.); Il Convito reintegrato nel testo con un nuovo commento (I-II, ibid. 1874-75); Opere latine di Dante, I, De vulgari eloquentia eDe monarchia (ibid. 1878); II, Epistole, Egloghe, Quaestio de aqua et terra (ibid. 1882); La Commedia di Dante Alighieri raffermata nel testo giusta la ragione e l'arte dell'autore da G. Giuliani (ibid. 1880). Si tratta di edizioni meritorie per il loro "carattere divulgativo" (N. Carducci, p. 220) e a cui arrise pertanto una certa fortuna editoriale, ma accompagnate da apparati esplicativi spesso pletorici e condotte non secondo i moderni criteri filologici della nascente scuola storica (dagli esponenti della quale furono pertanto impietosamente e a ragione stroncate), ma sulla base del gusto puristico-classicheggiante e della dottrina esegetica del G., che non riesaminava criticamente la tradizione dell'opera che veniva di volta in volta ripubblicando, ma ne ristampava il testo secondo un'edizione precedente da lui ritenuta particolarmente attendibile, apportandovi le correzioni a suo giudizio necessarie, per lo più in base a congetture che riteneva indubitabili, in quanto fondate "sulla ragione e l'arte" del poeta. È tipico a questo riguardo il caso già ricordato della sua edizione della Commedia in cui, sulla sola base di congetture (poi ferocemente criticate da G. Rigutini), erano introdotte una ventina di nuove lezioni non attestate nella tradizione del testo, dal G. ampiamente illustrate e discusse nel Discorso sopra alcune varianti introdotte nel testo della Commedia di Dante Alighieri senza l'autorità dei codici e delle stampe (ed. cit., pp. XXIII-C). Contemporaneamente a questa attività di editore, il G. proseguiva l'opera di esegeta della Commedia con l'intento (non realizzato) di portarne a termine il commento. Diversi prodotti di questo lavoro confluirono nella seconda edizione (dedicata a G. Capponi) del volume Dante spiegato con Dante (ibid. 1861, in cui sono raccolti, oltre a quelli già pubblicati, i commenti ai canti II e IV dell'Inferno, I, II, III del Purgatorio e III del Paradiso), ma la maggior parte è disseminata in pubblicazioni occasionali, tra cui: Gli ultimi canti del Purgatorio (XXVII-XXIX) in Il Propugnatore, II (1869), 2, pp. 57-88, 137-171; i commenti ai canti XI, XII, XIII, XXXII, XXXIII dell'Inferno, in Jahrbuch der Deutschen Dante-Gesellschaft, II (1869), pp. 1-45; III (1871), pp. 223-256; IV (1877), pp. 239-271. Altri scritti danteschi si trovano, infine, nella raccolta di saggi Arte, patria e religione (ibid. 1870); mentre il discorso pronunciato per l'elezione ad accademico della Crusca Gli scritti di Dante e il vivente linguaggio di Toscana (ibid. 1875; ristampato in Opere latine di Dante, II, pp. 465-489) enuncia un esplicito collegamento tra gli studi danteschi e le ricerche linguistiche del G.: il "volgare italico", la lingua viva ricercata e riconosciuta da Dante "come la loquela sua e dei suoi genitori e della sua Patria e della sua regione", sarebbe "il Volgare fiorentino per accento e Toscano per uso".
E proprio alla ricerca dei caratteri delle parlate toscane, studiate nei loro rapporti con il fiorentino e l'italiano nella convinzione che in esse si conservasse intatta la "nativa grazia" della lingua degli "aurei Trecentisti" (e di Dante in particolare), sono dedicati i suoi scritti linguistici: il già ricordato volume Sul moderno linguaggio della Toscana. Lettere (che già nella seconda ed. torinese, del 1860, presenta il titolo significativamente mutato in Sul vivente linguaggio della Toscana; 3ª ed. corretta e ampliata, Firenze 1869, che comprende novanta lettere, scritte dal 1853 al 1858); e le prose raccolte in Moralità e poesia del vivente linguaggio della Toscana. Ricreazioni filologiche, uscite dapprima (1868-69) nel periodico purista bolognese Il Propugnatore, poi, in una redazione notevolmente accresciuta, in volume (Firenze 1871; 3ª ed., ibid. 1873). Le due opere, corrette e integrate in forma definitiva, furono poi riunite nei due volumi dal titolo Delizie del parlare toscano. Lettere e ricreazioni (ibid. 1880; ristampe senza modificazioni ibid. 1884, 1889, 1904-05), nei quali erano inclusi le prose narrative, tratte "dalla viva voce del popolo", Una sordomuta di Cozzile in Valdinievole e la sua famiglia (I, pp. 477-520) e la trilogia Tre vittime del lavoro (II, pp. 65-100); trascrizioni di lettere (per lo più di soldati della terza guerra d'indipendenza, II, pp. 101-160); e il Saggio di un nuovo dizionario del linguaggio volgare toscano (II, pp. 165-432), che già nel 1861 il G. aveva iniziato a pubblicare, ma che lasciò interrotto per l'uscita (1863) del Vocabolario dell'uso toscano dell'amico P. Fanfani. Quest'opera di "ricerca e illustrazione della lingua viva di città e paesi della Toscana" (Dionisotti, p. 476), esposta "in una lingua libresca, in uno stile spesso pesante e retorico" (Giacomelli, p. 105), non si esaurisce, però, in una raccolta di quelli che oggi si definirebbero "etnotesti" (peraltro discutibilmente ritoccati dal G. per ridurli "alla migliore ortografia" e "non bad[and]o alla pronunzia variabile", II, p. V), ma si inscrive in una concezione linguistica di impostazione naturalistico-demotica e toscanista. Per il G., infatti, la scoperta della "facile eleganza" e della "nativa grazia" del dialetto delle classi umili delle campagne toscane (più che dei Fiorentini, i quali "rispetto alla purità del parlare […] si mostrano men cauti e gelosi", I, p. 86) non può limitarsi "alla dilettosa maraviglia" di "ravvisare in tal guisa perpetuata la materna favella", ma deve costituire la presa di coscienza preliminare e necessaria per difendere e "mantenere la proprietà e la purezza del patrio idioma, dove saldamente consiste e acquista splendore la dignità della nazione" (I, p. III) e che vive e si esprime soprattutto nello scritto. Tale obiettivo si può cogliere solo se gli scrittori (che "riescono grandi, in quanto accattano dal popolo le voci del popolo" e "loro crescono valore col volgerle a nobile uso", ricevendo "oro grezzo" e coniandolo "in moneta lucida e tonda", I, p. 39), riannodando continuamente il legame vitale che unisce la lingua scritta al parlato delle classi popolari, sapranno "accomodarsi degnamente alla natura del toscano dialetto in cui sembra vie più raccolto quello spirito gentile, di che vivificata si rinnoverà l'Italia" (I, p. 146). Da questa prospettiva nazionale, unitaria e "intes[a] certo più allo scritto che al parlato" (Vitale, p. 435) G. dissentì dalle proposte delle due commissioni - la fiorentina, presieduta da R. Lambruschini, e la milanese, presieduta da A. Manzoni - istituite nel 1868 dal ministro della Pubblica Istruzione E. Broglio con l'incarico di studiare i mezzi per diffondere in tutte le classi sociali "la notizia della buona lingua". In una lettera a T. Mamiani (pubblicata nel Propugnatore, I [1868], pp. 419-428, ristampata in Delizie, I, pp. 464-475) sull'"unità della lingua italica" e sui "mezzi di costituirla più efficacemente", infatti, prendendo le distanze dalla relazione della commissione fiorentina (che giudicava una risposta poco "risoluta e chiara" alle tesi di Manzoni), si oppose alle conclusioni della relazione manzoniana, contrapponendo alla proposta del fiorentino dell'uso vivo come modello per la lingua nazionale, un'azione di formazione e crescita linguistico-culturale incentrata sulla promozione/diffusione della lingua della tradizione letteraria (soprattutto dei trecentisti) rigenerata dallo studio del toscano vivo.
Ammalatosi gravemente nel 1883, il G. morì a Firenze l'11 genn. 1884, dopo aver disposto di essere seppellito con una Bibbia, una Divina Commedia e un ramoscello d'ulivo.
Poco prima di morire aveva pubblicato le Lettere ai suoi nipoti (ibid. 1882); i suoi scritti di meditazione e di argomento personale furono raccolti nel volume postumo Pensieri ed affetti intimi. Diario (ibid. 1884; nuove ed. con aggiunte Milano 1888 e 1889).
Fonti e Bibl.: Le carte del G. sono in gran parte conservate nella Biblioteca nazionale di Firenze (Carteggi vari; ma numerose sue lettere si trovano anche nelle Carte Le Monnier e nei Carteggi di P. Fanfani). La sua collezione di volumi danteschi, da lui stesso donata al Comune di Firenze, fu da questo affidata alla Società dantesca italiana. Diverse lettere del G. o a lui indirizzate sono a Roma, Arch. centrale dello Stato, Ministero dellaPubblica Istruzione, fasc. pers., G.B. G.; un carteggio del G. con diversi dantisti e con C. Vassallo fu da questo donato alla città di Asti e depositato presso l'Archivio storico municipale (ed. a cura di N. Gabiani, Carteggio dantesco di G. G., in Boll. storico-bibliografico subalpino, XXIII [1921], pp. 193-574). Una quindicina di lettere di carattere autobiografico del G. furono pubblicate in appendice (pp. 1124-1136) allo studio di I. Bernardi, Intorno a G. G. e ai commentatori della Divina Commedia, in Atti del R. Istituto veneto, s. 6, II (1883-84), pp. 1097-1136; 21 lettere di M. Caetani al G. (del periodo marzo 1857 - settembre 1882) sono nel Carteggio dantesco del duca di Sermoneta con G. G., C. Witte, A. Torri e altri insigni dantofili, Milano 1883, pp. 47-91. Una lettera di W.E. Gladstone al G. è pubblicata da F. Mazzoni, W.E. Gladstone a G. G., in Operosa parva per G. Antonini, a cura di D. De Robertis - F. Gavazzeni, Verona 1996, pp. 311-314.
Per la ricostruzione della biografia e notizie sulle opere, v. M.A. Bruno, La vita e gli scritti di G. G., Firenze 1921. Sull'attività di dantista del G.: K. Witte, in Jenaer Literaturzeitung, VI (1879), 27, pp. 376-383 (rec. di Opere latine di Dante a cura del G., I, Firenze 1878); G. Rigutini, Di certe nuove varianti al testo della Divina Commedia escogitate da G. G., in Nuova Riv. storica, I (1880), pp. 764-770; G. Bustico, Un dantologo del sec. XIX, Riva 1905; C. Pracchia, Un dantista dimenticato, Lucca 1921; M. Barbi, Problemi fondamentali per un nuovo commento della Divina Commedia, Firenze 1956, p. 141; F. Mazzoni, Nuova presentazione, in D. Alighieri, La Divina Commedia, a cura di T. Casini, Firenze 1957, p. XIX; A. Vallone, La critica dantesca nell'Ottocento, Firenze 1958, pp. 27, 31, 38, 87, 98, 103, 107, 119-121, 132, 134, 158, 201; N. Carducci, G.,G., in Enc. dantesca, III, Roma 1971, p. 220; G. Folena, La filologia dantesca di Carlo Witte, in Id., Filologia e umanità, a cura di A. Daniele, Vicenza 1993, pp. 29, 40, 44-48. Sugli scritti linguistici del G.: E. De Amicis, Il vivente linguaggio della Toscana, in Id., Pagine sparse, Milano 1876, pp. 205 ss. (ristampato in G. Giuliani, Delizie del parlare toscano, cit., II, pp. 433-452); V. Vivaldi, Storia delle controversie intorno alla nostra lingua dal 1500 ai giorni nostri, III, Catanzaro 1898, pp. 58 ss.; B. Croce, Linguaioli, in Id., La letteratura della Nuova Italia, V, Bari 1939, p. 259; C. Marazzini, Il gran "polverone" intorno alla relazione manzoniana del 1868, in Arch. glottologico italiano, LXI (1976), pp. 118-120; M. Vitale, La questione della lingua, Palermo 1978, pp. 434-436, 562-565; M. Raicich, Scuola, cultura e politica da De Sanctis a Gentile, Pisa 1981, pp. 219, 256; G. Alfieri, L'"italiano nuovo". Centralismo e marginalità linguistici nell'Italia unificata, Firenze 1984, pp. 21, 29, 62, 102, 107, 152, 159, 179, 213, 244 s.; L. Serianni, Il secondo Ottocento, in Storia della lingua italiana, a cura di F. Bruni, Bologna 1990, pp. 46 s., 169-174; C. Dionisotti, La lingua dell'Unità (1868), in Riv. stor. italiana, CIII (1991), pp. 455-482; G.A. Papini, Il "vivente linguaggio" tra G. e Collodi, in Scrittura dell'uso al tempo del Collodi. Atti del Convegno, Pescia… 1990, a cura di F. Tempesti, Firenze 1994, pp. 95-105; G. Giacomelli, Espressioni idiomatiche nelle "Delizie" di G. G., in Studi linguistici per i 50 anni del Circolo linguistico fiorentino e i secondi mille dibattiti, 1970-1995, Firenze 1995, pp. 103-119; M. Raicich, Di grammatica in retorica. Lingua scuola editoria nella Terza Italia, Roma 1996, pp. 100, 189; F. Sabatini, L'italiano: dalla letteratura alla nazione. Linee di storia linguistica d'Italia, Firenze 1997, p. 19.