DONADEI (de Donadeis de Rodio, de castro Rodii), Giacomo (Iacopo)
Nacque da una famiglia aquilana, originaria del castello di Roio, verso la metà del sec. XIV. Avviato alla carriera ecclesiastica, sarebbe stato eletto canonico della cattedrale aquilana, secondo il Catalogus pontificum Aquilanorum, all'età di solo diciannove anni, ma ormai versato "in sacris canonibus" (coll. 935). Nella sua qualità di canonico partecipò nel 1377 alla riunione del capitolo aquilano in cui si stabili che potessero accedere alla dignità di canonico solamente coloro che fossero stati insigniti almeno del suddiaconato. Già un anno prima, nel 1376, il D., allora venticinquenne secondo il Catalogus (ibid.), era stato nominato vicario generale della diocesi di Ascoli Piceno per il vescovo Pietro Torricelli. Ad Ascoli fu ordinato anche arcidiacono della cattedrale. Il 31 ag. 1391 venne eletto vescovo dell'Aquila.
Secondo il Leosini (p. 492) e il Palatini (p. 2), la sua elezione fu caldeggiata dalla fazione aquilana dei Camponeschi, sostenitori di Luigi II d'Angiò e dell'antipapa Clemente VII, e segui ai tragici avvenimenti del 28 agosto, quando, per liberare il conte Giampaolo Camponeschi, rinchiuso nelle carceri del palazzo comunale dopo il sopravvento della fazione avversarla guidata da Nicolò Mozzapiede, era scoppiato un tumulto, nel corso del quale venne ucciso il vescovo scismatico Berardo da Teramo, che occupava illegittimamente il seggio aquilano conferito da Bonifacio IX a Ludovico Cola. 1 Camponeschi avrebbero quindi designato come successore di Berardo da Teramo Berardo di Roio, fratello del D., il quale tuttavia avrebbe rinunciato. Con il consenso del capitolo, Clemente VII avrebbe affidato allora il seggio vescovile al D., il quale, il 10 novembre, avrebbe ottenuto anche l'approvazione della corte di Napoli. Tale versione dei fatti non sembra però del tutto attendibile. L'Eubel, infatti, pur confermando la data dell'elezione (31 ag. 1391), colloca tra Berardo da Teramo e il D. un certo Giovanni, mentre data all'11 nov. 1391 la conferma dell'elezione del D. da parte di Clemente VII.
Il 20 gennaio 1392 il D., assistito dai canonici, elevò la cattedrale aquilana dalla dignità arcipretale a quella arcidiaconale. Contemporaneamente conferi alla nuova dignità, come beneficio e prebenda, la chiesa di S.Martino d'Ocre con tutte le sue rendite. Il 3 maggio 1395 passò all'osservanza di Bonifacio IX e si recò personalmente a Roma per rassegnare nelle mani del pontefice l'incarico vescovile, che pochi mesi prima, il 23 dic. 1394, gli era stato confermato dall'antipapa Benedetto XIII. La situazione politica all'Aquila era infatti mutata. Già nel 1392 i Camponeschi avevano temporaneamente volto il loro appoggio in favore dei Durazzeschi e del pontefice romano, per poi ritornare alla parte avversa a causa delle pesanti tasse imposte al Comune dell'Aquila da Ladislao di Durazzo. Ma i continui successi militari dei Durazzeschi in Abruzzo costrinsero gli Aquilani alla resa (8 ag. 1395) e all'abbandono definitivo della Causa angioina e scismatica.
Il D., compiuto l'atto di sottomissione e obbedienza al papa, rimase presso la Curia di Roma quasi sei anni. Durante questo periodo seppe meritarsi la stima e la fiducia di Bonifacio IX, che lo nominò suo cappellano. A Roma, secondo il Catalogus (col. 936) avrebbe conseguito il titolo di dottore in diritto canonico e sarebbe stato nominato dal papa uditore delle cause del Sacro Palazzo. L'11 luglio 1400ottenne da Bonifacio IX anche l'investitura della diocesi dell'Aquila. Sembra, tuttavia, che non sia ritornato nella città abruzzese prima del 24 genn. 1401, data in cui, secondo il Catalogus (ibid.), avrebbe preso possesso del seggio. Pare che la designazione dei D. all'episcopato aquilano fosse dovuta alla sua opposizione ai Camponeschi, che nel 1395 avevano ottenuto l'amministrazione della diocesi da Ladislao di Durazzo per Corrado, e che però lo stesso Ladislao aveva in seguito esiliato dalla citta.
L'attività pastorale del D., al suo rientro in patria, fu dedicata alla riorganizzazione della diocesi, resa necessaria dopo il travagliato periodo dello scisma aquilano, durato diciassette anni, durante il quale vi era stata la doppia elezione di sei vescovi. Egli si preoccupò nel 1401, come primo atto, di rendere legittimo, confermandolo, il decreto di conversione dell'arcipretura della cattedrale in arcidiaconia. Il 19 luglio 1402 benedisse la prima pietra della chiesa del castello diruto di Porcinari, i cui abitanti erano rifluiti in Aquila durante il periodo delle contese tra la città e i paesi del contado, destinandola al rango di parrocchia e affidandone la gestione a cinque canonici. Il 17 febbr. 1404 approvò e ordinò l'osservanza di tutte le costituzioni emanate dai suoi predecessori, anche scismatici, rilevandone l'utilità per l'amministrazione della diocesi.
Tra il 1403 e il 1410 il D. si adoperò per ottenere la riduzione delle somme di denaro dovute dal clero abruzzese al re Ladislao, al quale Bonifacio IX aveva ceduto, nel 1399, le decime sulle rendite ecclesiastiche di quella regione in cambio del suo appoggio contro l'antipapa, concessione rinnovata da Gregorio XII. I collettori regi, infatti, esigevano cifre molto più alte di quelle che il clero abruzzese era solito versare ai collettori pontifici, ed arrivarono fino al punto di falsificare le lettere di incarico per la riscossione. Lo stesso D. accenna a questi soprusi nei Diaria da lui scritti dopo il 1407 (ediz. Palatini, p. 14). Il 25 luglio di quell'anno, secondo il suo racconto, un certo abate Angelo gli presentò delle lettere, rivelatesi false, in alcune delle quali si diceva che il re pretendeva 4.000 ducati, in altre 10.000, in altre ancora una decima papale. Il D., opponendosi a tali pretese, riusci a ottenere dal commissario regio Fazio, giunto all'Aquila il 2 agosto, una prima riduzione della cifra, stabilita in 256 ducati veneziani, e in seguito un'ulteriore riduzione a 150 ducati.
Fedele a Gregorio XII anche dopo il concilio di Pisa (il 26 giugno 1409 era stato eletto papa Pietro di Candia, Alessandro V), nel settembre del 1409 il D. fu incaricato da Ladislao di incontrare il papa ad Ortona, probabilmente, per concordare una strategia di opposizione all'antipapa Alessandro V, sostenitore di Luigi II d'Angiò. Sembra che egli non abbia voluto abbandonare l'obbedienza verso Gregorio XII nemmeno dopo che Ladislao era passato dalla parte dell'antipapa Giovanni XXIII. Fu infatti convocato a Napoli il 9 apr. 1413 dall'arcivescovo di Conza, Mello Albito, e dall'arcivescovo di Pozzuoli, Lorenzo de Giliotto, incaricati dall'antipapa di procedere contro i vescovi che non lo riconoscevano legittimo successore di Pietro. Pare, tuttavia, che il D. non si sia presentato a Napoli, ma probabilmente nell'ottobre del 1412 fu costretto al riconoscimento di Giovanni XXIII, come tutti gli Aquilani. Nei suoi Diaria (ediz. Palatini, p. 26) racconta, infatti, come il 23 ott. 102 arrivasse all'Aquila un messo recante lettere del re, in cui si ordinava di venerare Giovanni come vero papa e vicario di Cristo e di abbandonare l'obbedienza verso Gregorio XII.
Nel 1415 il D. fu costretto dai Camponeschi a lasciare per breve tempo l'Aquila e a rifugiarsi a Celano. La potente famiglia aquilana era infatti rientrata nella città, dopo la morte di Ladislao, in seguito a una sollevazione popolare contraria alla regina Giovanna II (13 febbr. 1415). Sembra che i Camponeschi non perdonassero al D. di aver unito il priorato di S. Antonio fuori le mura, su cui accampavano diritti, alla cattedrale. Il D. rientrò dal breve esilio dopo l'accordo di pacificazione intervenuto tra i Camponeschi e i .rappresentanti della regina.
In questo stesso periodo volle aumentare il prestigio della cattedrale aquilana. Nel 1413 affidò a Ventura di Angelo di S.Maria di Forfona l'esecuzione di alcuni bassorilievi marmorei da collocarsi intorno alla porta della cripta della chiesa e di una sepoltura monumentale destinata ad accogliere le sue spoglie. Fece costruire, inoltre, un portico in cui potessero adunarsi, nei giorni di mercato, gli ufficiali e i notabili del Comune, che erano soliti riunirsi nella cattedrale, impedendo il normale svolgimento delle funzioni religiose. Nel 1414 fece trasferire le reliquie dei santi Massimo e Ranieri da Civita di Bagno, ove erano conservate, al duomo aquilano, nonostante l'opposizione dei Bagnesi. Le reliquie vennero deposte sotto l'altare maggiore, che lo stesso D. aveva arricchito ed ornato con un pannus pictus.
Mancano notizie del D. fino al 29 ag. 1424, data in cui ottenne da Martino V che una parte dei contado aquilano soggetto alla diocesi di Valva passasse sotto la giurisdizione della diocesi dell'Aquila dopo la morte del vescovo valvense Lotto Gerardi Sardi. La questione, risalente al 1362, era stata avviata dal vescovo aquilano Paolo e provocava continue contese in occasione delle decime. Il vescovo scismatico Berardo nel 1386 aveva ottenuto dall'antipapa Clemente VII l'annessione alla diocesi aquilana di una parte del territorio conteso, ma la concessione, considerata illegittima, non aveva risolto la disputa. Il D. ottenne l'estensione della giurisdizione della propria diocesi da Martino V, a quanto pare, come premio e riconoscimento del valoroso comportamento suo e degli Aquilani durante l'assedio posto alla città da Braccio da Montone, conclusosi con la sconfitta dei Bracceschi il 2 giugno 1424. Pur non trovandosi nelle fonti alcuna notizia della sua partecipazione alla difesa della città, è tuttavia probabile che vi abbia preso parte attiva. Quando nel 1427 il vescovo Lotto fu trasferito alla diocesi di Spoleto, il D. pretese l'annessione promessa nel 1424, ma il nuovo vescovo di Valva, Bartolomeo de Vincio, si oppose. Finalmente, il 9 maggio 1429 Martino V mise fine alla disputa concedendo alla diocesi valvense, in cambio dei territori annessi dal D. alla propria diocesi, la badia di S. Clemente dell'Isola della Pescara con tutti i suoi beni.
Negli ultimi anni della sua vita, il D. prosegui l'opera di accrescimento del prestigio e della influenza della propria diocesi, dando impulso alla edificazione di numerose chiese, tra cui quelle di Castiglione, della Confraternita, di S. Iacopo della Riviera, di S. Giovanni presso S. Paolo e del ponte di Roio. Nel 1430 fece transuntare nel corso di una solenne cerimonia, alla presenza di numerosi dignitari cittadini, la bolla di indulgenza concessa da Celestino V alla collegiata di Collemaggio.
Il D. morì all'Aquila il 6 genn. 1431 e le sue spoglie vennero deposte nel sepolcro da lui stesso fatto erigere nel duomo della città.
Il D. è autore di una breve cronaca conosciuta come Diaria rerum suis temporibus Aquilae et alibi gestarum, che abbraccia gli anni tra il 1407 e il 1414. Il racconto, scritto in un latino attardato ed elementare, oltre a narrare episodi personali e di alcuni componenti della sua famiglia, fornisce notizie sulle vicende degli ultimi anni del regno di Ladislao di Durazzo, soprattutto per quel che riguarda l'Abruzzo, colmando in parte la lacuna delle fonti aquilane relative a quel periodo. li D., inoltre, fece redigere la parte iniziale del Catalogus pontificum Aquilanorum, presumibilmente fino ad arrivare al 1391, data della sua prima nomina vescovile al seggio della città, e, come asserisce l'Antinori che ne vide il manoscritto (col. 927), ha compilato lui stesso gli atti dell'esazione delle decime cedute al re Ladislao da Bonifacio IX.
I Diaria sono stati pubblicati per la prima volta a cura di A. L. Antinori in G. C. Amaduzzi-G. L. Bianconi, Anecdota litteraria ex niss. codicibus eruta, IV, Romae 1783, pp. 489-512, con introduzione e notizie biografiche sul D. alle pp. 483-488; un'edizione successiva è stata pubblicata a cura di L. Palatini nel Bollettino della Società di storia patria "A. L. Antinori" negli Abruzzi, XIII (1901), 2, pp. 11-32, con introduzione e notizie biografiche alle pp. 1-9.
Fonti e Bibl.: Catalogus pontificum Aquilanorum ab anno 1254 usque 1472, a cura di A. L. Antinori, in L. A. Muratori, Antiquitates Italicae Medii Aevi, VI, Mediolani 1742, coll. 927, 935 s.; Statuta civitatis Aquilae, a cura di A. Clementi, Roma 1977, in Fonti per la storia d'Italia, CII, p. 7; B. Cirillo, Annali della città dell'Aquila, Roma 1570, p. 52; F. Ughelli-N. Coleti, Italia sacra, I, Venetiis 1717, p. 390; A. Dragonetti, Le vite degli illustri Aquilani, Aquila 1847, pp. 111 s.; A. Signorini, La diocesi di Aquila descritta ed illustrata, II, Aquila 1868, pp. 40 s.; A. Leosini, Annali della città dell'Aquila, a cura di G. Leosini, I, Aquila 1883, pp. 426 s., 492-495, 502, 513-516, 521-526, 534, 541, 543 s., 649; II, ibid. 1886, pp. 10 s., 13; R. Valentini, Lo Stato di Braccio e la guerra aquilana nella politica di Martino V, in Archivio della R. Società romana di storia patria, LII (1929), pp. 252, 332, 377-379; A. Frugoni, Laudi aquilane a Celestino V, in Rivista di storia della Chiesa in Italia, V (1951), p. 91; A. Clementi, Pievi e parrocchie degli Abruzzi nel Medioevo, in Pievi e parrocchie in Italia nel basso Medioevo (sec. XIII-XV), II, Roma 1984, p. 1093; R. Colapietra, Spiritualità, coscienza civile e mentalità collettiva nella storia dell'Aquila, L'Aquila 1984, ad Indicem; C. Eubel, Hierarchia catholica Medii Aevii, I, Monasterii 1913, p. 99; II, ibid. 1914, p. 91; Rep. hist. fontium M. Aevi, IV, pp. 240 s.