GIACOMO di Guerrino di Tondo
di T Non si conosce la data di nascita di questo orafo e smaltista senese documentato dal 1348 al 1362 e morto prima del marzo 1376, alla quale data la moglie, Bartolomea, ne risulta già vedova (documento in Cioni, p. 627 n. 14).
L'identità di patronimico e di professione rende verosimile la sua identificazione come fratello di Tondino di Guerrino, una delle personalità di spicco dell'arte dello smalto translucido a Siena, attestato nei documenti dal 1322 al 1340 e quindi sensibilmente maggiore d'età rispetto a Giacomo. Tale connessione di parentela è ulteriormente confortata da almeno altri tre dati: il ripetersi del nome dell'avo di G. nel nome del supponibile fratello primogenito, l'appartenenza di questo al "popolo" di S. Angelo al Montone, la stessa zona di Siena in cui sono registrati anche i beni del padre di G., e infine i legami documentati tra G. e un altro orafo che porta il suo stesso nome e che risulta figlio di un Tondino, meglio motivabili con un rapporto zio e nipote. Nel ricordato documento del 1376 in cui la moglie di G. è detta sua vedova, la donna consegna infatti all'Opera del duomo di Siena un calice che viene pagato però a Giacomo di Tondino, mentre due opere firmate rispettivamente da quest'ultimo e da G. recano lo stesso marchio di garanzia consistente nelle lettere maiuscole "IA", a evidente conferma di un'identità o meglio continuità di bottega. Tale marchio rappresenta tra l'altro la più antica attestazione in ambito senese dell'uso di punzonare gli oggetti in metallo prezioso, testimonianza di particolare rilievo dal momento che la norma non risulta esplicitamente stabilita dal Breve dell'arte degli orafi senesi datato 1361, anche se vi si parla di un titolo minimo per l'argento e di un saggiatore incaricato di verificarlo nei lavori degli orafi.
La prima notizia riguardante G. è relativa al ricevimento da parte sua - in data 3 febbr. 1348 - della dote della sua futura moglie, saldata il 14 novembre dello stesso anno. Il 31 ag. 1349 si registra la promessa di pagamento di 34 fiorini d'oro fatta a G. da Andreoccio di Francesco Piccolomini, quale prezzo di una croce da lui eseguita. Nel febbraio 1360, anno in cui risulta anche ricoprire la prestigiosa carica di rettore dell'arte degli orafi, G. fu eletto priore del terziere di S. Martino per il bimestre marzo-aprile. L'anno successivo fu capitano del Popolo per i mesi di maggio e giugno, mentre nel luglio 1362 venne designato come consigliere dell'operaio dell'Opera del duomo di Siena, Domenico di Vanni. Sempre nel 1362 compare nell'elenco degli orafi nel registro delle matricole di tutte le arti della città di Siena, testo che è anche l'ultimo in cui si parla di G. ancora in vita. In seguito, oltre che nel citato documento che testimonia la sua avvenuta morte, si ha ancora notizia della vedova Bartolomea nel 1384, quando risulta vivere ancora nel popolo di S. Angelo al Montone.
L'attività orafa di G. si inquadra in un'evidente tradizione familiare, testimoniata oltre che dagli intrecci documentari sin qui ripercorsi, dai riferimenti culturali che legano opere da lui firmate a quelle riconosciute a Tondino di Guerrino.
Il catalogo certo delle opere di G. tuttora conservate comprende due tipologie differenziate quali il calice e il reliquiario a busto, e permette quindi un'articolata analisi e contestualizzazione della qualità del suo lavoro. Perduti la citata croce pagatagli nel 1349 e un calice a sua firma descritto, insieme con una patena decorata con un angelo a smalto nell'Inventario del 1458 relativo alla sacrestia di S. Domenico di Perugia, sono stati sino a oggi identificati come di sua mano un calice conservato alla Martin D'Arcy Gallery of art della Loyola University di Chicago, il busto reliquiario di S. Felicita nella cattedrale di Montefiascone - entrambi firmati "Iacobus. Guerrini. de Senis me fecit" - e il busto reliquiario di S. Flaviano appartenente alla stessa chiesa e attribuito a G. per confronto stilistico (Cioni, 1996 e 1998).
Negli smalti del calice le figurazioni appaiono omogenee a quelle delle miniature di Lippo Vanni, con confronti in particolare datati agli anni Quaranta del Trecento, epoca cui conducono anche le più prossime opere di oreficeria, quali un calice del Tesoro di S. Pietro e uno conservato al Metropolitan Museum di New York, entrambi riferiti a Tondino di Guerrino e databili - per le circostanze biografiche dei committenti di cui conservano l'iscrizione dedicatoria - intorno al 1341-42. Le strette analogie sia formali sia tecnico-esecutive hanno fatto anzi supporre che non solo G. si sia formato direttamente a contatto con il più anziano e già affermato fratello, ma che a tali date avesse già raggiunto un ruolo di rilievo nella divisione del lavoro all'interno della di lui bottega, anche in considerazione del fatto che le notizie documentarie relative a Tondino si fermano al 1340, mentre opere ascrivibili al suo ambito procedono ancora all'interno del quinto decennio del secolo. Il periodo di apprendistato di G. andrebbe dunque collocato all'inizio degli anni Trenta o forse già in precedenza, mentre l'alto compenso di 34 fiorini d'oro pagatogli per la perduta croce del 1349 testimonierebbe un'ormai conseguita affermazione individuale e un riconosciuto prestigio da parte della committenza.
Ancora agli anni Quaranta sembrano riferibili anche i due busti reliquiario, caratterizzati da fisionomie prossime a dipinti di Ambrogio Lorenzetti, quali la personificazione della Giustizia nell'Allegoria del Buon Governo per la S. Felicita, o vari personaggi maschili dello stesso affresco per il S. Flaviano, che con essi condivide anche identiche larghe basette triangolari, evidentemente collegabili a una precisa moda circoscritta nel tempo. La presenza dei due busti nella chiesa di S. Margherita a Montefiascone, cui venne conferita la cattedra vescovile nel 1369, potrebbe far scivolare a tale data la loro esecuzione, che appare però troppo tarda per i citati motivi stilistici.
Inoltre Montefiascone rappresenta anche luogo di possibile contatto tra la bottega orafa senese di G. e il committente di un'opera firmata dal supposto nipote Giacomo di Tondino ma punzonata con lo stesso marchio "IA" che contrassegna il busto di S. Felicita. Si tratta infatti di Egidio de Albornoz, nominato cardinale nel dicembre 1350 e morto nel 1367, che tra il dicembre 1353 e il giugno 1354 visse proprio a Montefiascone. L'oggetto - un reliquiario della Mano di s. Lucia - presenta il suo stemma sormontato dal cappello cardinalizio, che lo vincola a una data non anteriore al 1351, e venne donato dal prestigioso prelato alla cattedrale di Toledo, città di cui era stato arcivescovo dal 1338 al 1350 e dove tuttora è conservato. Il cardinale Albornoz potrebbe dunque avere apprezzato i lavori della bottega senese a Montefiascone, decidendo di sceglierla per l'esecuzione di tale dono, anche se l'occasione della committenza potrebbe essersi verificata direttamente a Siena, dove il cardinale soggiornò nel mese di ottobre del 1353.
Che l'identità di punzonatura di opere firmate da artisti diversi non sia una mera casualità, ma indichi un concreto rapporto all'interno di una stessa bottega, è confermato tra l'altro dall'identità di impostazione decorativa e strutturale tra il calice di G. oggi a Chicago e due sottoscritti da Andrea di Petruccio (rispettivamente conservati nel Museo capitular di Avila e nel Fitzwilliam Museum di Cambridge), opere cioè dell'orafo che insieme con Giacomo di Tondino firma il reliquiario punzonato di Toledo.
Fonti e Bibl.: G. Milanesi, Documenti per la storia dell'arte senese, I, Siena 1854, p. 104; A. Rossi, Inventario della sacrestia di S. Domenico di Perugia nel secolo quindicesimo, in Giornale di erudizione artistica, I (1872), p. 76; A. Lisini, Notizie di orafi e di oggetti di oreficeria senesi, in Bullettino senese di storia patria, XII (1905), n. speciale (Antica arte senese), p. 662; C.G.E. Bunt - S.J.A. Churchill, The goldsmiths of Italy. Some account of their guilds, statutes and work, London 1926, p. 52; I. Machetti, Orafi senesi, in La Diana, IV (1929), 1, p. 41; P. Toesca, Storia dell'arte italiana, II, Torino 1951, p. 900 n. 127; L. Mortari, in La pittura viterbese dal XIV al XVI secolo (catal., Viterbo), Roma 1954, p. 78; D.F. Rowe, Enamels from the XII to the XVI century (catal.), Chicago 1970, n. 16; M. Andaloro, in Tesori d'arte sacra di Roma e del Lazio dal Medioevo all'Ottocento (catal.), Roma 1975, pp. 22 s., n. 45; L. Mortari, in Tesori d'arte sacra di Roma e del Lazio dal Medioevo all'Ottocento (catal.), Roma 1975, pp. XXIX s.; D.F. Rowe, The first ten years. Notable acquisitions of Medieval, Renaissance and Baroque art. The Martin D'Arcy Gallery of art, Chicago 1979, n. 31; E. Varricchio, in Medieval treasury (catal.), Chicago 1993, pp. 17 s.; E. Cioni, Per G. di G. orafo e smaltista senese, in Prospettiva, 1996, nn. 83-84, pp. 56-79; E. Taburet-Delahaye, Un reliquaire de St Jean-Baptiste exécuté par les orfèvres siennois Jacopo di Tondino et Andrea Petrucci pour le cardinal Albornoz, in Bollettino d'arte, LXXXI (1996), 95, Suppl. ("Studi di oreficeria", a cura di A.R. Calderoni Masetti), pp. 127, 133 n. 1, 134 n. 22, 135 n. 44; E. Cioni, Scultura e smalto nell'oreficeria senese dei secoli XIII e XIV, Firenze 1998, ad indicem.