COPPOLA, Giacomo
Nato ad Altomonte (Cosenza) il 16 luglio 1797 dal barone Tarquinio, cospicuo proprietario terriero, e da Maria Ludovica de Beaumont di Castelvetere si laureò in giurisprudenza nella università di Napoli e qui esercitò con successo la professione di avvocato, mostrando particolare competenza in materia civile e amministrativa, come documentano alcune sue comparse giudiziarie a stampa (Per il cittadino d. Antonio Caglia contro lo straniero Giovanni Roskelley, Napoli 1821; Per il signor d. Mariano Englen contro la signora Claudia Guillaut, ibid. 1821; Per il signor d. Berardino Galtieri-Major da Grumo in sostegno del richiamo prodotto nella Gran Corte dei conti, ibid. 1821; Pei signori d. Nicola e d. Carlo Uberti nella i Camera della Gran Corte civile, ibid. 1840; Difesa pel sig. d. Leopoldo Martino giudice del circondario di Montalto ricorrente contro il sacerdote sig. d. Alessandro De Marco, ibid. 1844).
Decurione dei comune di Napoli nel 1846 e nel 1847, il C. venne nominato intendente della provincia di Basilicata dal ministero costituzionale presieduto da N. Maresca duca di Serracapriola (decr. 22 marzo 1848). A Potenza, dove assunse la carica il 14 aprile, trovò fermento nella borghesia liberale e una irrequietezza assai più minacciosa nelle plebi delle campagne, che rivendicavano le terre demaniali usurpate. Senza celare i propri sentimenti conservatori e la propria lealtà dinastica (cfr. Giornale d'intendenza, Poteriza, 16 apr. 1848), il C. sollecitò la cooperazione del vescovo, M. Pieramico, e dei procuratore generale presso la Gran Corte criminale, P. Scura, rappresentanti delle frazioni più moderate del gruppo dirigente potentino, allo scopo di frenare le tendenze liberali più ardite, ed ebbe il sostegno di tutto il ceto dei "galantuomini" nel reprimere i moti contadini. Ma nelle tempestose giornate del 17 e 3 maggio, che sconvolsero la Basilicata quando giunse notizia dei fatti napoletani del 15, egli tenne un contegno debole e irresoluto; tra l'altro, la sera del 17, si lasciò trascinare dalla folla tumultuante sotto il suo palazzo a sottoscrivere una circolare e un proclama emanati da un comitato di guerra e di sicurezza pubblica, che miravano a sollevare la provincia.
Nei giorni seguenti i poteri dell'intendenza vennero quasi interamente surrogati dal Circolo costituzionale lucano, guidato da V. D'Errico, capo del partito liberale locale, il quale pretese, oltretutto, di controllare la corrispondenza, anche quella riservata, che il ministero dell'Interno inviava al suo rappresentante periferico.
A causa dell'invadenza sempre piú arrogante del D'Errico, il 29 maggio, il C. partì da Potenza, rinunciando all'incarico, come scrisse, più tardi, alla moglie di P. S. Mancini, in una lettera (datata: La Spezia. 5 luglio 1852), in cui egli tracciava un amaro bilancio della sua esperienza d'intendente.
Si astenne dalla vita pubblica fino al novembre 1848, quando si presentò come candidato governativo nelle elezioni suppletive alla Camera dei deputati napoletana, nei distretti di Castrovillari e di Lagonegro e risultò eletto in ambedue i collegi, ma la sua presenza in quell'Assemblea fu poco incisiva.
Nell'agosto 1849, durante la fase istruttoria del processo per i moti lucani del maggio-luglio 1848, venne interrogato come testimone a carico e depose in modo da migliorare la posizione giudiziaria di parecchi imputati. Ma, poco dopo, poiché la reazione borbonica cominciava a colpire anche alti funzionari dello Stato, colpevoli solo di aver mostrato scarsa energia di fronte alla pressione popolare, fu indotto a temere per la propria libertà e ad esulare. Peregrinò in Francia, in Toscana, nel Regno sardo, finché fissò la sua dimora, piuttosto stabilmente, dal gennaio 1853, a Genova.
Interessanti notizie sui primi anni di esilio del C. - e sul conto di altri fuorusciti meridionali che ebbero rapporti con lui - si leggono in alcune sue lettere indirizzate, tra il 1851 e il 1854, a P. S. Mancini, emigrato a Torino. All'illustre corrispondente egli confermava (da Genova, il 13 febbr. 1853) la circospezione del proprio liberalismo, fondato sull'"aborrimento estremo ai due estremi della tirannide borbonica ... e della libertà come la intendono gl'incomposti e stravaganti mazziniani". Tuttavia, secondo una informazione pervenuta alla polizia borbonica (e riprodotta in F. Guardione, Il dominio dei Borboni in Sicilia dal 1830 al 1861, Torino 1907, II, p. 102), nell'agosto 1855 la casa del C. in Genova ospitò due riunioni alle quali parteciparono anche prestigiosi esponenti democratici, come G. Garibaldi, R. Pilo, G. Interdonato, e in cui si tentò di organizzare una spedizione e una rivolta in Sicilia.
Intanto, con sentenza del 23 ag. 1854, la Gran Corte criminale di Basilicata lo assolveva dall'accusa di cospirazione, ma non veniva per questo revocata la confisca delle rendite dei suoi beni, stabilita con provvedimento di polizia nel 1851. Comunque, egli non tornò in patria finché non apparve imminente il tracollo del regime borbonico. Sbarcò a Napoli il 30 luglio 1860, provenendo da Livorno con P. Villari. Dall'8 ottobre all'8 novembre resse il dicastero delle Finanze nel governo diretto da R. Conforti, durante la prodittatura di G. Pallavicino, in una situazione di gravissimo disavanzo, che egli tentò di fronteggiare, con scarsi risultati, adoperandosi a ripristinare la regolare percezione delle imposte, ad arginare il contrabbando e a contenere il deprezzamento della rendita pubblica. Nell'antagonismo tra il ministero Conforti e le forze politiche democratiche, alla vigilia del plebiscito unitario (21 ottobre), il suo atteggiamento fu dei più ostili alla tesi dell'annessione condizionata o attuata da un'Assemblea elettiva del Mezzogiorno continentale.
Concluso il processo di unificazione nazionale, il C. fu consigliere della Corte d'appello di Napoli (31 dic. 1860), consigliere della Corte di cassazione nella medesima sede (21 dic. 1862), senatore (24 maggio 1863).
Prese parte vivacemente ai lavori parlamentari nello scorcio della VIII legislatura e all'inizio della IX: animò la discussione del progetto di legge sull'arresto per debiti, suggerendo, peraltro senza esito, il parziale recupero della normativa prevista in proposito dal codice civile delle Due Sicilie (Atti parlamentari, Senato del Regno, Discussioni, legisl. VIII, 2a sess., tornata del 22 giugno 1863, pp. 75-83);perorò il trasporto della capitale a Firenze e avanzò una interpretazione della convenzione di settembre oltremodo favorevole agli interessi italiani (ibid., tornata del 2 dic, 1864, pp. 2070-2073);sostenne la soppressione delle sottoprefetture (ibid., legisl. IX, 1a sess., tornata del 3 marzo 1866, pp. 293 s.), riprendendo le idee sull'autonomia amministrativa che aveva già formulato in un progetto dato alle stampe sei anni prima (Motivi d'un progetto di legge organatrice dell'amministrazione e governo civile de' mutticipii e provincie dello Stato napoletano, s.l. s.d. [ma Napoli 1860]).
Intervenne anche nelle polemiche pubblicistiche sull'alienazione dei fondi rustici appartenuti alle corporazioni religiose soppresse dalla legge del 28 giugno 1866, con un opuscolo nel quale abbozzava un sistema di vendita diretto a incrementare la piccola proprietà (Della maniera più utile e vantaggiosa onde eseguirsi l'alienazione dei predi rustici già ecclesiastici, Napoli 1866; sutale proposta cfr. F. Lomonaco, Sull'opuscolo del barone Coppola "Della maniera...". Rapporto, in Rend. delle tornate e dei lavori dell'Acc. di scienze morali e politiche [di Napoli], V [1866], pp. 110-114. Ivi è riprodotto alle pp. 114-121, l'opuscolo del Coppola).
Il C. morì a Napoli il 2 maggio 1872 e venne commemorato in Senato da V. Fardella di Torrearsa (Atti parlamentari, Senato del Regno, Discussioni, legisl. XI, 2a sess., tornata del 10 maggio 1872, pp. 686 s.).
Fonti e Bibl.: Notizie biogr. sul C. sono desumibili da: Parole pronunziate sul feretro del barone G. C. consigliere della Corte di cassazione e senatore del Regno nel dì 3 maggio 1872, Napoli 1872, in cui sono contenute oraz. funebri di V. Lomonaco, G. Pisanelli, G. De Simone; T. Sarti, Il Parlamento subalpino e nazionale, Terni 1890, sub voce;F. von Lobstein, Settecento calabrese ed altri scritti, Napoli 1973, ad Indicem. Per la sua partecip. alle vicende del 1848-49 cfr.: R. Riviello, Cronaca potentina dal 1799 al 1882, Potenza 1888, pp. 132-137; G. Mondaini, I moti politici del '48 e la setta dell'"Unità italiana" in Basilicata, Roma 1902, pp. 97 s., 103-117, 313 s.; D. Albini, I deputati lucani al parlam. napoletano. 1848-49, Roma 1922, pp. 31, 33, 67 s.; T. Pedio, La Basilicata nel Risorg. pol. ital. (1700-1870), Saggio di un diz. biobibliogr., I, Potenza 1962, p. 347; Id., Contadini e galantuomini nelle prov. del Mezzogiorno d'Italia durante i moti del 1848, Matera 1963, ad Ind. Per il periodo dell'esilio si veda: Arch. di Stato di Napoli, Ministero di Polizia, Gabinetto, 1848-1850, fascio 789, fascicolo 7819; Ibid., Ministero dell'Interno, Alta Polizia, fascio 43, fascicolo 332; Roma, Archivio del Museo centrale del Risorgimento, Carte Mancini, busta 615, fasc. 2; busta 672, fasc. 77; busta 870, fasc. 61; N. Nisco, Gli ultimi trentasei anni del reame di Napoli..., Napoli 1889, 11, p. 405; M. Mazziotti, La reazione borbonica nel Regno di Napoli, Milano-Roma-Napoli 1912, ad Indicem;E. Morelli, P. S. Mancini, da Napoli a Torino, in Tre profili, Roma 1955, pp. 76 s. Per la sua azione di ministro nel gabinetto Conforti si veda: B. Caranti, Alcune notizie sul plebiscito delle provincie napolitane, Torino 1864, pp. 12, 35; A. Scirocco, Governo e paese nel Mezzogiorno nella crisi dell'unificazione..., Milano 1963, ad Ind. Per la sua attività parlam. postunitari, si veda: Atti Parlam., Senato del Regno, Discussioni, legislatura VIII, 2a sessione e legisl. IX, 1a sess., ad Indices.