COLOMBO, Giacomo
Nacque ad Este (Padova) nel 1663 da Giovanbattista.
Fu scultore in marmo, legno policromo e stucco; pittore, disegnatore d'argenterie sacre e di incisioni riproducenti le sue opere. La sua formazione artistica ebbe luogo a Napoli e la sua poliedrica attività s'inserisce nel contesto dell'ambiente (ove gli artisti sperimentavano contemporaneamente varie espressioni), partendo dalla tradizione lignea policroma barocca per evolversi entro il primo decennio dei Settecento a personalissimi risultati di gusto arcadico-rococò.
Non sappiamo come mai il C. sia giunto a Napoli (nel 1678):probabilmente al seguito dello scultore Pietro Barberis col quale nel 1688collaborava alle acquasantiere in marmo nella chiesa della Croce di Lucca; qui realizzò anche la prima grossa commessa negli stucchi che sovrastano gli archi e nel monumentale organo con sculture ed ornamenti lignei (distrutto nel dopoguerra). Nel 1689firmava e datava il Crocifisso per la.chiesa di S. Pietro di Cava dei Tirreni, ove l'amore per l'antico tempera il pietismo controriformista.
Il 1689 èanche l'anno dell'ingresso nella corporazione dei pittori (con annessa accademia di nudo), un sodalizio al quale si era ammessi solo dopo aver presentato opere di rilievo. Dell'attività di pittore del C. non restano tracce, ma dovette essere vasta a giudicare dal fatto che nel 1701egli fu eletto prefetto della corporazione. Nel 1691 firmava e datava il Crocifisso in legno policromo per la chiesa di S. Stefano a Capri (ill. in Borrelli, 1967, p. 19), un'opera che nell'annunciare le eleganze neomanieristiche negava le affermazioni berniniane e fanzaghiane allora in auge.
Il Crocifisso poggia su di una tela che raffigura La Maddalena, la Madonna e S. Giovanni Evangelista ai piedi della croce (Borrelli, 1967, fig. 2): dato che, come si è detto, il C. faceva parte della corporazione dei pittori, questa potrebbe essere una testimonianza di tale sua attività, ma non abbiamo finora prove documentarie.
Il grosso avvenimento dell'affermazione del presepe napoletano mobile trovò nel C. un artista che non si limitava ad attingere dalla tradizione degli scultori che l'avevano preceduto (P. Ceraso, i fratelli Perrone, i fratelli Patalano e D. Di Nardo) e tanto meno da quella dei contemporanei (N. Fumo, G. Buonavita, F. Picano, ed altri), ma un interprete che creava una serie di nuovi personaggi ritratti tra quelli che osservava, quotidianamente. Così per il C., come del resto per le analoghe esperienze degli scultori napoletani, il di vario tra immagini religiose (imposte dalla codificata casistica) e figure da presepe si prospetta notevole; anche se queste ultime sono istate recuperate attraverso il confronto stilistico con le sue sculture sacre, firmate e datate, o documentate, si presentano intagliate con tecnica incisiva e personalissima in forme realistiche senza conccssione al gusto corrente, ponendosi come archetipi della futura tipologia presepiale, finanche nella visione cromatica.
Esse sono da collocare in due distinti periodi: al primo, caratterizzato da un vivace realismo, appartengono il "cantante, lo scugnizzo, il cavaliere, la vedova, la foritanella" ed altre, e sono da considerare come i "modelletti" (da cm 30 a cm 60) occorrenti per i complessi lignei presepiali di S. Maria in Portico di Napoli (1695circa) e di S. Maria in Aracoeli di Roma (1696circa), entrambi composti da figure a grandezza naturale, ma di cui sussistono solo alcuni elementi. Al secondo periodo - dal 1714 al termine dell'attività - sono da assegnare le figure (quasi tutte siglate e conservate a Napoli in coll. priv.), raffiguranti il "cuoco, il giovin signore, la vecchia" ed altre, ove l'icasticità è temperata alla luce dello sperimentalismo del gusto arcadico-rococò, che traduce in raffinatissimi e fluidi volumi (commentati da una preziosa cromia) le crude espressioni del primo periodo.
Come imponevano i tempi, il C. attuò una perfetta organizzazione. artigianale (Arch. di Stato di Napoli, Notaio Matteo Grimaldi, 1712, f. 139), che gli consentì di realizzare gran parte di quella attività che raggiunse tutte le province del viceregno: S. Antonio di Padova, 1691, Lecce; S. Teresa, 1697, Sulmona; S. Giuliano, Benevento; S. Gaetano, Chieti; Gruppo della Visitazione, Capracotta; S. Candida, Castel di Sangro; S. Francesco e S. Agostino, Troia; Assunta e S. Giuseppe, 1702, Celenza Val Fortore; S. Vito, 1706, Salerno; S. Andrea, firmato e datato 1706, Gricignano di Aversa, parrocchia di S. Andrea (Rass. d'arte, III [1974], ill. a p. 36); S. Giuseppe, 1712, Lucera (D'Elia, 1964); Crocifissoe Maddalena, Marcianise. Il C. inviò opere anche in Spagna: di esse si conoscono, a Madrid, un Cristo alla colonna nell'oratorio del Cristo nella chiesa di S. Ginés datato 1698 e firmato "Giacomo Colombo", assegnato al C. da A. Ponz (Viaje de España [1793]. Madrid 1947, p. 468; v. anche M. Padin Kreisler, Notas y noticias sobre la capilla de la Congregación del Cristo..., in Revista de la Bibliot., Archivo y Museo... Madrid, VI [1929], p. 346), e una S. Teresa nellachiesa delle trinitarie, firmata dal C. e datata 1726 (E Orozco Diaz, Una escultura firmada de G, C., in Cuadernos de arte [Granada], III [1938], pp. 179 s.). Il timbro barocco delle sculture in marmo del C. appare temperato dalla vena classicista, come nella opulenta Maddalena del 1695 (già nella chiesa omonima a Napoli: ill. in Borrelli, 1967, p. 20), per giungere ad annunciare nel 1701, nelle complesse tombe Ludovisi (Napoli, chiesa dell'Ospedaletto) quelle istanze arcadico-rococò di cui sarà assertore unitamente al pittore Paolo De Matteis ed agli scultori N. Fumo, F. Picano, ed altri.
La notizia del De Dominici (1742) che F. Solimena fece da padrino al C. e che non solo l'indirizzò all'arte, ma gli fu prodigo di consigli, disegni e bozzetti, e ciò particolarmente per le tombe Ludovisi, non trova riscontro nell'autonomia della sua arte, né nei documenti. È vero, invece, che il C. collaborò con sculture di angeloni e putti alla realizzazione dei complessi "modelli in legno" degli altari per la certosa di S. Martino e la cappella del Tesoro di S. Gennaro (1700, 1707), le cui impaginazioni generali erano state affidate al Solimena. Questo non influì sulla formazione culturale del C., che in realtà sostanzialmente diverge da quella del Solimena, ma può avere determinato, nei contemporanei, la novella di un C. dipendente dal Solimena.
Tra il 1724 ed il 1726 il C. realizzò la vasta decorazione marmorea per il cappellone di S. Vincenzo nella chiesa di S. Caterina a Formiello (Napoli), ove le sculture, pur nella loro sensibilità settecentesca, denunziano stanchezza e l'evidente larga partecipazione della bottega. Stanchezza che non si rivela nelle coeve sculture lignee policrome nelle quali il C. estrinseca la ricerca preludente ai risultati della plastica settecentesca. Così, dalla S. Caterina, firmatae datata 1718, della chiesa di S. Chiara del Borgo a Santa Lucia di Serino, all'Assunta, firmata e datata 1724, di Carano di Sessa Aurunca (Borrelli, 1967, p. 20) - che rivela l'ansia rocaille negli svettanti parmeggi resi in sottigliezze estreme nel senso della stoffa serica mossa dal vento -, è tutto un incessante impegno nella ricerca dell'intimizzazione del mezzo espressivo plastico e di levità cromatiche: un punto di arrivo di notevole anticipo rispetto alla coeva scultura lignea europea.
Il C. morì a Napoli nel 1730.
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