CAPI (Cappi, Cappo, de Cappo, de Cappis), Giacomo
Nacque a Mantova da Lodovico e da Pica Crema, probabilmente intorno al 1490. Ebbe fratelli Giovan Francesco e Antonio; sposò in prime nozze Elisabetta Grignani e in seconde Barbara Folengo. Ebbe il titolo di cavaliere e fu diplomatico al servizio del marchese Federico II Gonzaga; ma abbiamo notizie della sua attività solo relativamente a un breve periodo di tempo. Il 2 genn. 1522 il marchese gli conferì il commissariato di Governolo. Nel novembre 1523 fu mandato oratore a Firenze con l'incarico di partecipare a quella Signoria che il marchese, allora capitano generale dei Fiorentini, lasciava il campo e tornava a Mantova perché ammalato. Restò a Firenze vari mesi per sollecitare il pagamento del quartiere dovuto al Gonzaga. L'anno seguente fu inviato come oratore presso il duca di Milano. Da Soncino, dove lo Sforza si era ritirato dopo l'occupazione di Milano da parte dei Francesi, il C. poté mandare al marchese molte notizie sulle operazioni militari e sui maneggi politici, giacché Soncino, per le frequenti visite che vi facevano il Lannoy, il Pescara e il Borbone era divenuto un centro importante delle combinazioni diplomatiche e militari che precedettero la battaglia di Pavia.
Dopo la battaglia la diffidenza o meglio la coperta ostilità di Clemente VII verso Carlo V rendevano particolarmente delicata la posizione del marchese che era capitano delle truppe papali e al tempo stesso militava nell'esercito imperiale e aveva combattuto contro le truppe del Bonnivet. Corse anche voce (e il C. ne avvertiva la marchesa Isabella) che egli fosse consapevole, se non addirittura partecipe, della congiura del Morone. Si trattava probabilmente di una diceria infondata; ma essa prova quanto fosse incerta la posizione del marchese e quindi difficile quella del suo oratore.
Le lettere del C. al marchese sono spesso interessanti per le molte notizie che contengono sul movimenti degli eserciti (c'è anche una relazione sulla battaglia di Pavia) e sui tafferugli e gli scontri armati tra la popolazione milanese e i soldati spagnoli. Nel dicembre 1526 il marchese tolse al C. l'ufficio di oratore a Milano ed anche il commissariato di Governolo. Non si conosce il motivo di questo provvedimento, ma da una lettera del segretario marchionale Calandra a Giovan Francesco, fratello del C., si desume che quest'ultimo non aveva fatto nulla che potesse offendere il marchese e fargli perdere il suo favore. E di fatto nel 1528 il C. fu nuovamente adoperato dal marchese per commissioni a Bologna e a Piacenza.
Si ignora quando il C. sia morto.
Il Bandello nel proemio alla novella settima, parte prima, dice che essa fu narrata dal C. nel palazzo di Pirro Gonzaga a Gazzuolo.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga, bb. 876, 1108, 1372-75, 1654-57, Racc. D'Arco,Famiglie mantovane, II, p. 309; Patenti, reg. 5; M. Bandello, Le novelle, a cura di G. Brognoligo, I, Bari 1910, p. 101; M. Sanuto, Diarii, XXXVII-XLII, Venezia 1893-95, ad Indices; A.Luzio, Isabella d'Este e il sacco di Roma, in Arch. stor. lombardo, s. 4, X (1908), p. 20; Mantova. La storia, II, Mantova 1961, ad Indicem.